Ora GB non ha fretta d’uscire. Spagna, Rajoy ci riprova
di Franco Adriano e Emilio Gioventù

Milano lascia sul terreno un altro 4 per cento: è la maglia nera d’Europa nell’era del dopo Brexit. Piazza Affari dall’inizio dell’anno ha perso quasi il 30 per cento. E non è un sollievo pensare che la sterlina non è mai andata così male negli ultimi 30 annie che è in rosso anche Wall Street.

Dopo il venerdì nero tornano nel mirino a Piazza Affari ancora una volta i titoli bancari, ventre molle dell’intero listino. «Il voto in Gran Bretagna pesa come un macigno ma rafforza le ragioni per cui finora abbiamo criticato l’Unione», ha affermato il presidente del consiglio Matteo Renzi. E se Londra ora chiede tempo per avviare la procedura di uscita, l’Europa pressa chiedendo maggiore rapidità. In particolare, a frenare, ora, sono quei leader conservatori che hanno appoggiato l’opzione Leave. Il primo ministro David Cameron ha annunciato che il governo britannico non attiverà l’articolo 50 sulla richiesta di uscita dalla Ue oggi al Consiglio europeo. Il ministro dell’Economia britannico George Osborne nel suo primo discorso pubblico post referendum rassicura: «Per l’articolo 50 non c’è fretta». Ma a poche ore dal vertice di Berlino che vedrà al tavolo il presidente francese, Francois Hollande, la cancelliera tedesca, Angela Merkel e il premier italiano, Matteo Renzi, il messaggio è netto: dopo una breve riflessione l’uscita di Londra deve essere veloce, perché sarebbe dannoso sia per la Gran Bretagna che per l’Unione. Il portavoce di Cameron intanto, ha escluso che il Regno Unito possa tornare alle urne per un nuovo referendum. Sullo sfondo la sfida fra Osborne e Boris Johnson per la leadership dei Tories. Johnson, infatti, uno dei più fieri oppositori alla linea Remain di Cameron, ora sostiene che l’uscita del Regno Unito dalla Ue deve realizzarsi «senza fretta», perché la Gran Bretagna «fa parte dell’Europa» e la cooperazione con i suoi vicini del continente deve «intensificarsi». «Capisco che ci sia bisogno di tempo, ma non potremo permetterci un lungo periodo di incertezza. Non sarebbe bene né per la Gran Bretagna né per i 27 Stati della Ue», ha scandito Angela Merkel. «La procedura per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea deve attuarsi rapidamente», le ha fatto eco il ministro delle finanze francese, Michel Sapin. «Bisogna negoziare subito, rapidamente, con il Regno Unito questo articolo 50, che avvia la procedura di divorzio, e bisogna farlo il più rapidamente possibile», ha ribadito il Commissario Ue agli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici.

Renzi apre il pronto soccorso per le banche

Il governo italiano sta considerando la possibilità di effettuare un’iniezione di capitali nel sistema bancario del Paese. Lo ha riferito a DowJones Newswires una fonte a conoscenza del dossier. La misura sarebbe allo studio dopo che a seguito della Brexit le banche italiane sono state colpite da vendite diffuse. L’intervento allo studio potrebbe esplicitarsi in un’iniezione fino a 40 miliardi di euro nel contesto di un sistema bancario che è alle prese con 360 miliardi di sofferenze e che deve fare anche i conti con costi elevati, ridotta dotazione di capitale e con una scarsa profittabilità ormai cronica legata ai tassi d’interesse bassi. Parlare di interventi da 40 miliardi in aiuto alle banche «è assolutamente errato perché se si deve fare un intervento prima si fa e poi se ne parla, prima di dare numeri a vanvera bisogna essere documentati», è stata la dura reazione dell’ex presidente del Monte dei Paschi di Siena ed ex amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, nel suo intervento a una tavola rotonda organizzata dal sindacato dei bancari Fabi. «Esistono delle regole europee, ciò nonostante tutto quello che servirà per dare fiducia ai cittadini sarà fatto», Renzi non ha smentito la notizia in serata. Ma «occorre buon senso, prudenza ed equilibrio», ha aggiunto il premier. «Siamo nelle condizioni di poter affrontare qualsiasi difficoltà e fare quanto necessario, nel quadro normativo vigente per far fronte ai problemi che si verificassero», è la conclusione.

Si apre il dibattito sul futuro dell’Europa in parlamento. M5s chiede referendum

«Il voto in Gran Bretagna pesa come un macigno, ma rafforza le ragioni per cui finora abbiamo criticato l’Europa dall’interno. E’ il momento della responsabilità e dell’equilibrio, ma anche del futuro. La Ue ora si dedichi alle politiche sociali e alla crescita». Il presidente del Consiglio Renzi è intervenuto ieri nelle Aule di Senato e Camera per informare il parlamento in vista del Consiglio europeo di oggi. «È il momento della saggezza», ha sostenuto, «ma anche della visione per il futuro, senza rinfacciarsi gli errori del passato». Vi è una condivisione da parte di tutti, ma mettendo per un attimo da parte Le Pen o Farage, è venuto il momento di far sentire insieme la voce dell’Italia». «È il momento in cui l’Europa deve tornare a fare l’Europa», ha proseguito, «per noi l’Europa è la casa e noi non immaginiamo di andarcene da casa nostra. Ma sappiamo anche che così com’è questa cosa non è accogliente come in passato. Dobbiamo mettere al centro quei valori che la maggioranza ha messo al centro del dibattito europeo», ha aggiunto Renzi. «Mi rivolgo a tutti, ma in particolare a quei partiti che credono nelle grandi famiglie europee. Per la verità tutti i membri di questo parlamento hanno un riferimento» in Europa, «dunque vi è una condivisione da parte di tutti» sull’Europa, «ma mettendo da parte chi crede che il proprio leader sia Farange o Le Pen, è arrivato il momento di provare a far sentire insieme la posizione dell’Italia al di là delle divisioni». Dura la risposta del Movimento 5 Stelle. Quelle pronunciate da Renzi oggi, ha attaccato Alessandro Di Battista, sono «parole vuote. L’unica cosa che lei deve dire in Europa è che occorre un reddito di cittadinanza». E

ancora: «Siete totalmente distaccati dalla realtà», ha rincarato la dose riferendosi anche al risultato delle amministrative, «altrimenti lei non potrebbe pronunciare la frase «l’Europa parli meno di banche e più di valori». Lei è il rottamatore della vergogna e del senso del pudore». Di Battista ha preso di mira «i decreti approvati dal governo a favore delle banche» e «l’ipocrisia del governo: si dovrebbe mettere una tassa sull’ipocrisia, in Europa e soprattutto in questo Parlamento». Quindi, ha ribadito: «Basta con questa storia che noi siamo euroscettici. Noi ci vogliamo restare in Europa ma vogliamo un referendum sull’euro. In questa Europa noi ci ritroviamo ma non voi che avete tradito i suoi valori fondanti». .Il capogruppo di FI alla Camera, Renato Brunetta, rivolgendosi al premier, ha indicato «una cosa da fare: la crescita, perché non è pensabile che in 8 anni di crisi la Germania ha accumulato un surplus insopportabile danneggiando tutti gli altri paesi dell’Ue: oggi al vertice di Berlino deve chiedere una cosa sola, che la Germania reflazioni». Mentre al Senato, dove Renzi è intervenuto prima di parlare a Montecitorio, Giulio Tremonti ha sostenuto che sul quadrante europeo la nuova Costituzione «non è e non sarà affatto uno scudo protettivo, ma piuttosto un pericolo aggiuntivo». E poi, facendo riferimento al referendum sulla Brexit, ha osservato: «Chi semina referendum non necessariamente raccoglie plebisciti. Quello dell’Inghilterra è l’incidente del futuro; per fortuna, si è verificato ancora prima che la Costituzione entrasse in funzione. Potremmo dire che non è stata colpa di nessuno, ma, su questo, almeno per una volta, nell’interesse del paese, ascoltateci».

Spagna, Rajoy ci riprova ma il Pse persiste nel no

In Spagna il Partito socialista di Pedro Sanchez non intende appoggiare i Popolari, guidati dal premier uscente Mariano Rajoy, che alle elezioni politiche di domenica hanno guadagnato terreno rispetto alle consultazioni elettorali di dicembre, ma non hanno comunque ottenuto i numeri sufficienti per governare.

Forse sarebbe diverso l’atteggiamento Pse se i popolari indicassero come premier un volto nuovo. Comunque, la posizione dei Socialisti verrà delineata in occasione del prossimo comitato federale, convocato per il 9 luglio. Ieri il 33% degli elettori spagnoli ha optato per il Partito popolare. I Socialisti di Sanchez si sono invece confermati come seconda forza politica nel Paese, con il 22,7% dei voti. Seguono Podemos, che con il 21,1% non è riuscito a sorpassare i Socialisti, e Ciudadanos, quarto Partito con il 13,1% dei voti.

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