Londra (-2,76%) si difende. L’Europa brucia 411 miliardi
È stata una giornata di sell-off per l’azionario europeo. Dopo vari mesi di attesa, ieri mattina è arrivato il verdetto del referendum in Gran Bretagna sulla permanenza nell’Unione europea. Giovedì a fine giornata la vittoria del fronte «Remain» era data quasi per certa, ma durante la notte c’è stato il sorpasso del fronte «Leave», che porta, dunque, all’uscita del Regno Unito dall’Ue.

La tanto temuta «Brexit», come era stato predetto dalle varie case d’affari, ha fatto crollare i mercati azionari.

Il Ftse Mib ha archiviato le contrattazioni in calo del 12,48% a 15.723 punti (equivalente al minimo intraday, con un massimo invece di 17.946), mentre giovedì aveva segnato un +3,71% a 17.966 punti.

Non si era mai visto a Piazza Affari un ribasso come quello di oggi. Secondo i dati della Borsa italiana, che torna indietro fino al 1998, prima del tonfo post ‘Brexit’ il record negativo del mercato era la flessione dell’8,24% registrata il 6 ottobre 2008, nel pieno della crisi finanziaria seguita al crac di Lehman Brothers. L’uscita del Regno Unito dall’Ue ha scatenato sui mercati una tempesta peggiore anche di quella seguita all’attacco alle Torri Gemelle di New York che, l’11 settembre 2001, aveva portato l’indice S&P Mib (l’equivalente dell’attuale Ftse Mib) a cedere il 7,57%.

Negative anche le altre piazze europee. A registrare la flessione minore è tuttavia proprio Londra, con l’Ftse 100 in calo del 2,76% a 6.163 punti grazie agli acquisti sugli esportatori, favoriti dal crollo della sterlina.

Madrid ha invece ceduto il 12,35%, Parigi l’8,04%, Francoforte il 6,82%. In totale l’Europa ha bruciato 411 miliardi di capitalizzazione, 38 mld in fumo solo a Piazza Affari.

Una delle più rilevanti conseguenze del risultato del referendum è stata la decisione di David Cameron di dimettersi dall’incarico di primo ministro britannico. Inoltre, anche l’esito delle votazioni in Spagna, previste domani, 26 giugno, potrebbe essere condizionato dalla Brexit. Questo è quanto affermato da Stefano Caselli, prorettore dell’università Bocconi, ai microfoni di Class-Cnbc (tv del Gruppo Class Ed. che partecipa al capitale di questo giornale).

In Italia è stato il comparto bancario a subire le vendite più consistenti, appesantito anche dall’aumento dello spread Btp/Bund, attestatosi a 160,97 punti base (chiusura di giovedì a 130,67 punti base): Banca popolare di Romagna -24,61%, Banca popolare di Milano -24,28%, Unicredit -23,79%, B.Popolare -23,3%, Intesa Sanpaolo -22,94%, Mediobanca -21,22%, Ubi B. -20,69%, B.Mps -16,43%, Creval -15,67%, B.P.Sondrio -13,66% e B.Carige -8,2%.

Inoltre, Borsa italiana ha dichiarato la mancata ammissione Veneto Banca alla quotazione in Borsa, dato che «non sussistono i presupposti per garantire il regolare funzionamento del mercato». La decisione è legata al fatto che «un unico soggetto (il Fondo Atlante) sarebbe detentore del 96,56% del capitale sociale della società post offerta globale» e solo «un investitore istituzionale verrebbe a detenere lo 0,01% del capitale sociale».

Anche i prezzi del greggio sono stati influenzati dalla Brexit. Il Brent è stato trattato a 48,73 dollari al barile (-4,28%) e il Wti a 48,04 dollari al barile (-4,13%).

Tra le azioni del segmento Oil&Gas, Tenaris ha perso il 5,04%, Eni il 9,19% e Saipem il 10,53%.

Leonardo spa invece è stato uno dei peggiori titoli tra gli industriali con un -11,94%, anche alla luce dei forti legami commerciali in Gran Bretagna. Gli analisti di Equita Sim hanno affermato che il gruppo ha subito l’effetto traslativo negativo dovuto alla svalutazione della sterlina, ricordando che nel 2015 il business generato nel Regno Unito rappresentava il 14% del fatturato.

Grandi perdite anche per il settore del risparmio gestito: B.Mediolanum -15,05%, Anima H. -14,56%, Azimut H. -13,75%, B.Generali -11,66% e Finecobank -9,74%.

Nel lusso, Luxottica -3,33%, B.Cucinelli -6,25%, S.Ferragamo -7,32%, Tod’s -7,82%, Moncler -9,09% e Ynap -9,7%.

Sul resto del listino, le azioni peggiori sono state Salini Impregilo (-12,11%), Cattolica Ass. (-10,35%) e L’Espresso (-10,04%). Da segnalare invece Parmalat (+0,52%), Unicredit Rsp. (+2,06%) e Mittel (+2,32%), tra i pochi titoli in grado di chiudere in territorio positivo sull’Mta (non considerando quindi l’Aim Italia, ossia il segmento di Borsa italiana dedicato alle piccole e medie imprese ad alto potenziale).

Pochi spunti macro nella seduta. Il pil francese nel primo trimestre (dato definitivo) è salito dello 0,6% nel trimestre e dell’1,3% su base annuale, mentre in Germania l’indice Ifo si è attestato a 108,7 punti a giugno, in netto rialzo dai 107,7 di maggio (consenso a 107,4).

Passando agli Stati Uniti, gli ordini di beni durevoli a maggio sono scesi del 2,2% sul mese, nettamente sotto le attese del consenso (-0,8% nel mese). Infine, l’indice sulla fiducia dei consumatori si è attestato nel mese di giugno a 93,5 punti (94,1 il consenso).

Sul mercato valutario, la vittoria degli euroscettici al referendum sulla Brexit ha fatto sprofondare la sterlina sui minimi dal 1985 rispetto al dollaro. Ieri la divisa di Londra ha perso oltre l’11% del proprio valore rispetto al biglietto verde. L’euro in flessione sul dollaro. La divisa europea è stata scambiata a 1,1101 dollari, con un minimo a 1,0912, e un massimo a 1,1420.

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