L’accordo con il quale le compagnie assicurative della R.C.A. si impegnano, in caso di sinistro stradale catastrofale (tamponamento a catena, coinvolgente più di 40 veicoli), a corrispondere al proprio assistito il risarcimento del danno derivante dal sinistro in questione, deve interpretarsi esclusivamente come patto che impegna ogni società aderente a liquidare e pagare il debito delle consorelle salvo rivalsa e non come contratto a favore di terzo

Detto patto non può attribuire, quindi, al danneggiato, un credito e di conseguenza un’azione nei confronti del proprio assicuratore.

Nel contratto a favore di terzo il vantaggio che stipulante e promittente convengono di attribuire al terzo beneficiario è un vantaggio diretto e giuridico; è diretto perché costituisce l’oggetto immediato della pattuizione, è giuridico perché costituisce l’effetto voluto del contratto.

Nel caso di specie, correttamente il giudice di merito ha escluso che l'”Accordo tra compagnie” abbia avuto l’effetto di attribuire al terzo danneggiato un vantaggio che fosse conseguenza diretta e giuridica di esso, sebbene la motivazione sul punto meriti una integrazione.

La materia oggetto dell’accordo è l’adempimento delle obbligazioni scaturenti da un sinistro stradale e gravanti sugli assicuratori dei responsabili.

Gli assicuratori dei responsabili di un sinistro stradale sono tenuti, per legge, a risarcire i terzi danneggiati dal proprio assicurato; e sono tenuti per contratto a tenere indenne quest’ultimo dalle pretese del terzo.

Se si ritenesse che, per effetto dell'”Accordo”, ogni danneggiato da un sinistro stradale “catastrofale” abbia acquistato un diritto di credito immediatamente azionabile nei confronti del proprio assicuratore, si finirebbe per trasformare l’assicurazione della responsabilità civile in una assicurazione contro i danni, con radicale mutamento del rischio assicurato ed al di fuori di qualunque previsione normativa; è dunque evidente che una simile interpretazione produrrebbe effetti contra legem.

Se invece si muove dal presupposto che nell’assicurazione della r.c.a. il rischio assicurato è la deminutio patrimonii del responsabile, è agevole concludere che per effetto dell'”Accordo” di cui si discorre ciascuna delle compagnie aderenti si è obbligata, nei confronti di tutte le altre, a pagare al proprio assicurato non il debito proprio, ma il debito altrui; ciascuna di esse, infatti, si è obbligata a versare al proprio assicurato quanto avrebbe dovuto versargli l’assicuratore del terzo responsabile, salvo rivalsa.

L’effetto di questo accordo fu dunque quello di sollevare ciascuno degli assicuratori aderenti dai complessi oneri legati all’accertamento effettivo della responsabilità del proprio assicurato, scaturenti dalla richiesta di risarcimento loro rivolta dal terzo danneggiato; delegando al pagamento direttamente l’assicuratore della vittima, l’assicuratore del responsabile si libera di tali obblighi e, in cambio di una sostanziale ammissione di responsabilità nei confronti del terzo danneggiato, evita i maggiori oneri connessi al protrarsi degli accertamenti di fatto ed alla conseguente mora debendi.

Tanto si desume in particolare dall’art. 4 dell'”Accordo”, il quale rende evidente che, in virtù di esso, rivolgersi al proprio assicuratore era per la vittima una facoltà e non un obbligo (“Se il danneggiato intenda comunque essere risarcito dall’impresa cui ha avanzato la richiesta ai sensi della L. n. 39 del 1977, art. 3, o che ha chiamato in giudizio, questa procede alla gestione del danno avvisando tempestivamente l’impresa obbligata secondo l’accordo e la Commissione Sinistri Catastrofali”).

L'”Accordo”, in conclusione, era un patto in virtù del quale ogni società aderente si impegnava a liquidare e pagare il debito delle consorelle salva rivalsa, ma non era un patto che attribuiva al danneggiato un credito – e quindi un’azione – diretta nei confronti del proprio assicuratore; esso non ha attribuito vantaggi diretti e giuridici al terzo danneggiato, ma solo vantaggi di fatto; di conseguenza non può avergli attribuito nemmeno un’azione diretta nei confronti del proprio assicuratore.

Cassazione civile sez. III, 17/03/2015 n. 5218