di Lucio Sironi

Già il mese scorso questa rubrica si era occupata della triste situazione che vede l’Inps in difficoltà nel fornire ai futuri pensionati qualsivoglia garanzia sulle prestazioni previdenziali a venire, dal momento che gli scenari che l’istituto va prospettando, anche all’interno della decantata busta arancione che dovrebbe offrire indicazioni affidabili in materia, in realtà si fondano su presupposti che il prolungato rallentamento dell’economia italiana minacciano seriamente di sconfessare nei fatti. Si ricordava al riguardo che nel 2014, per la prima volta, la media quinquennale del pil italiano è risultata negativa (-0,19%). Mentre tra il 2008 e il 2015 le annate di recessione sono state cinque, tra cui un terribile -5,5% nel 2009 e un -2,8% nel 2012.

Ma se dal sistema previdenziale pubblico giungono segnali preoccupanti, anche il sistema dei fondi integrativi mostra qualche elemento di dubbio. A fine maggio il gestore attivo Gam ha condotto un sondaggio su un campione di 78 investitori istituzionali su larga scala, nel corso di una riunione tenutasi in Svizzera, dal quale è emerso che il 78% ritiene che la maggioranza dei fondi pensione non riuscirà a raggiungere gli obiettivi di investimento a lungo termine. Questo perché, tenuto conto della longevità della popolazione, la regolamentazione è avvertita come una barriera cruciale per la generazione di rendimenti sufficienti a soddisfare gli impegni. Secondo il 65% degli intervistati la normativa dovrebbe essere cambiata per permettere ai piani pensionistici una maggiore flessibilità nelle scelte di asset allocation. La metà degli investitori istituzionali che hanno risposto al sondaggio di Gam prevede infatti di aumentare la propria allocazione su prodotti attivi nei prossimi tre anni, mentre solo il 13% intende incrementare i propri investimenti in prodotti passivi. Per la seconda metà del 2015, il 38% si dice intenzionato ad accrescere i suoi investimenti in prodotti alternativi, il 35% nell’azionario europeo e il 27% in quello dei mercati emergenti.

L’incognita geopolitica, un’insufficiente ripresa economica e i movimenti dei tassi di interesse sono percepiti dagli investitori come i rischi principali. Ma solo il 34% degli intervistati prevede un’uscita della Grecia dall’Eurozona nei prossimi 12 mesi e solo il 9% ritiene che il Regno Unito abbandonerà l’Unione Europea con il governo appena formatosi. «Gli investitori sono giustamente preoccupati per le modalità con cui gli impegni pensionistici potranno essere soddisfatti», ha osservato il ceo di Gam, Alexander Friedman, «e ritengono che occorra un approccio di investimento flessibile per porvi rimedio». La sfida per i gestori dei fondi e per chi si occupa di dare consulenza finanziaria è offrire ai clienti strategie differenziate e in grado di aggiungere valore significativo. Facile a dirsi, ma riuscirci è un’altra faccenda. Perché, come ha aggiunto il ceo di Gam, il contesto di investimento è cambiato sensibilmente negli ultimi anni: «Crediamo che i mercati abbiano raggiunto un punto di svolta; il rally indiscriminato del mercato sta per finire e gli investitori devono adottare un approccio autenticamente attivo per identificare le fonti di alpha (cioè di valore aggiunto, ndr) per gli anni a venire».

Interpretare il mercato è sempre complesso e dopo una fase toro lo è ancora di più. Ma se gli strumenti di riferimento per chi investe con obiettivi di lungo termine minacciano di non centrare gli obiettivi prefissati, il ruolo della consulenza finanziaria è decisivo per rassicurare i clienti e metterli nella giusta direzione per fare in modo che tutta la loro previdenza non si riveli vana.