di Nicola Mondelli 

Impazzano nella scuola le voci secondo le quali anche il personale di settore potrà andare in pensione dal 1° settembre 2016 potendo fare valere non meno di 62 anni di età, unitamente ad una anzianità contributiva non inferiore a 35 anni, ma subendo alcune penalizzazioni nel calcolo del trattamento pensionistico. La possibilità, connesa alle ipotesi di riforma del sistema previdenziale fatte trapelare dal governo, di andare in pensione anticipatamente rispetto all’età anagrafica richiesta dalla normativa vigente (sessantasei anni e sette mesi di età nel 2016, 2017 e 2018) è accolta positivamente soprattutto dal personale femminile, sia docente che Ata, perplessità e pareri contrastanti invece si registrano invece sulla natura e sull’entità delle penalizzazioni.

Sulla misura della riduzione percentuale ipotizzata da più parti (due per cento per ogni anno di anticipo rispetto all’età anagrafica in vigore, fino ad un massimo dell’otto e cinquanta per cento), non sembrano esserci resistenze pregiudiziali se non per quanto concerne il calcolo della pensione, sia con il sistema solo contributivo che con quello misto (retributivo e contributivo). Sotto questo aspetto diverse sono le preoccupazioni che si registrano tra il personale della scuola in servizio che decide di non andare in pensione anticipata.

Alti sono i timori del personale la cui pensione, in futuro, sarà calcolata esclusivamente applicando il sistema di calcolo contributivo, nei termini indicati dalla legge 335/1995. Nei confronti di tale personale oggi in servizio di età compresa tra trenta e quaranta anni e con dieci anni di contribuzione, se non saranno apportate modifiche, soprattutto per quanto attiene al meccanismo di rivalutazione annuale dei contributi versati, rivalutazione il cui coefficiente è agganciato alla crescita del Pil, il trattamento pensionistico, ancorché con il massimo di anni di anzianità contributiva e di servizio a tempo pieno, non potrà essere superiore al cinquanta per cento della retribuzione in godimento all’atto della cessazione dal servizio. Una percentuale che, per il personale attualmente in servizio con età anagrafica compresa tra i quaranta e i cinquantacinque anni, e che può fare valere una anzianità contributiva compresa tra i dieci e i diciannove anni, non potrebbe superare il sessanta per cento della retribuzione in godimento.

Al personale attualmente in servizio di età compresa tra cinquantacinque e sessanta anni e una anzianità contributiva compresa tra venti e venticinque anni, l’ammontare della pensione, rispetto alla retribuzione in godimento all’atto della cessazione dal servizio, potrebbe invece aggirarsi tra il sessanta e il sessantacinque per cento.

Situazione decisamente migliore, salvo modifiche dei criteri di calcolo anche con effetto retroattivo, è quella che al momento si prospetta per il personale che sarà collocato a riposo dal 1° settembre 2015 potendo fare valere non meno di 38 anni di contribuzione piena. La pensione spettante, calcolata con il sistema contributivo per il servizio prestato fino al 31 dicembre 2011 e con quello contributivo per gli anni successivi, potrebbe infatti anche superare, seppur di poco, l’ottanta per cento della retribuzione in godimento.

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