Pagina a cura di Simona D’Alessio 

La contrattazione di secondo livello è viva. E le sue «armi» per lottare contro gli esiti della crisi sulla vita dei lavoratori, nonché per incrementare la produttività aziendale, riguardano tanto l’organizzazione delle mansioni e la retribuzione del personale, quanto le misure di welfare integrativo (di cui può godere l’intera famiglia del dipendente) e la formazione. Ancora al palo, invece, altri aspetti, pur rilevanti, del rapporto occupato-datore di lavoro: negli accordi di rado c’è spazio per la partecipazione all’attività d’impresa, così come per le garanzie delle pari opportunità di genere. L’immagine proviene dal rapporto sulla contrattazione territoriale dell’Ocsel (Osservatorio per la contrattazione di secondo livello della Cisl), curato dal Dipartimento contrattazione e mercato del lavoro del sindacato di via Po, di recente pubblicazione: partendo dall’analisi di 4.100 intese siglate sull’intero territorio nazionale, si scopre subito come le negoziazioni, che sono più frequenti nelle realtà medio-piccole, segnino una ripresa nel 2014, visto che il trend era positivo dal 2009 al 2011 (8-21-26%), a seguire c’era stata una discesa nel periodo 2011-2013 (26-17-12%), per poi arrivare alla lieve risalita dal 2013 all’anno scorso (12-16%).

Il macigno della congiuntura negativa pesa sull’intero contesto, giacché se la prima voce oggetto degli accordi è quella della gestione delle crisi aziendali (48%), le cosiddette azioni «difensive» per mantenere i livelli di organico e rimanere sul mercato, al secondo posto (32%) vi è la regolamentazione del salario, a seguire il riconoscimento dei diritti sindacali (18%), gli interventi sull’orario (16%), le misure di assistenza, sanità e benessere (13%), i piani di formazione e aggiornamento delle competenze (11%), l’organizzazione (9%), ambiente, salute e sicurezza in fabbrica o negli uffici (8%), inquadramento dei dipendenti (7%, stessa percentuale del capitolo concernente programmi inerenti il mercato del lavoro), partecipazione all’attività d’impresa e pari opportunità (entrambe ferme al 3%), fanalino di coda la bilateralità e la Rsi, Responsabilità sociale d’impresa.

La Cisl chiarisce, pertanto, come dal 2009 al 2014 nel 32% delle intese stipulate «sono disciplinati elementi economici»; nel solo periodo 2013-2014, in particolare, «si registra una propensione maggiore alla negoziazione di forme di retribuzione variabile (88%)», comprensive di «premi di risultato e premi presenza», allo scopo di incentivare la produttività, mentre «soltanto nel 44% dei casi» si istituiscono, confermano, o modificano elementi rigidi dello stipendio, come «premi fissi, una tantum, superminimi collettivi, 14ª mensilità» ecc.

Capitolo rilevante del rapporto quello dedicato alla riduzione della pressione fiscale sul salario di produttività, nel quadro della contrattazione di secondo livello, con l’indicazione che «le percentuali variano negli anni: 55% nel 2012 e 91% nel 2013». Successivamente, nel 2014 l’utilizzo della detassazione è contemplato «nel 79% degli accordi», in calo rispetto al 2013 di 12 punti percentuali.

Ma dove si incide maggiormente per rendere il fisco «light»? I fronti sono quelli, si legge, più «collegati ad indicatori quantitativi di produttività, redditività, qualità (32%), poi c’è una misura in almeno tre delle quattro aree di intervento che ricorre nel 10% delle intese sottoscritte: sistema orari flessibili (75%), distribuzione ferie (32%), nuove tecnologie (18%), fungibilità delle mansioni ( 36%).

Nel panorama del welfare integrativo, è l’assistenza sanitaria aggiuntiva rispetto alle prestazioni del Ssn a fare la parte del leone (63% nel 2013 e un lieve decremento lo scorso anno, quando è calata al 60%). E rialza la testa pure la previdenza complementare (40%), dopo una battuta d’arresto nell’annualità precedente (25%), complici, sottolinea il sindacato, «gli effetti della crisi, le misure di austerity e la riforma delle pensioni» (legge 214/2011), che ha spostato più in là il traguardo dell’accesso alla prestazione.

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