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Tim Cook, ceo di Apple, ama parlare chiaro, al limite della brutalità. Le sue dichiarazioni di pochi giorni fa per mettere in guardia i clienti (ma in realtà rivolte a tutti gli utilizzatori di internet, più o meno 3 miliardi di persone) sui rischi crescenti per la loro privacy hanno certamente il segno di un durissimo attacco ai concorrenti della Mela ma toccano un tema vero e sempre più sensibile.

Cook, senza fare peraltro alcun nome specifico, ha ammonito: «Attenzione, alcune delle società più importanti e di successo hanno costruito il loro business cullando i clienti con false rassicurazioni sulle informazioni personali» e « un giorno o l’altro i clienti le vedranno per quello che sono realmente».

Le frasi del boss di Cupertino seguono a stretto giro il lancio da parte di Google (avvenuto pochi giorni fa alla tradizionale conferenza degli sviluppatori) del nuovo servizio Google Photos, un’applicazione che permette di archiviare gratuitamente e senza limiti in Cloud fotografie e, in parte, anche video.

Il meccanismo, così come lo presenta Big G, è semplice ed efficace: si archiviano tutte le foto che si vogliono senza limite quantitativo purché le singole foto non siano più grandi di 16 megapixel (gli elementi puntiformi che costituiscono la rappresentazione delle immagini digitali), queste poi possono essere rintracciate e ordinate utilizzando le grandi capacità di ricerca del motore di Google anche per le immagini.

È chiaro che le foto contengono (o comunque possono contenere) un’enormità di informazioni personali o personalissime dei clienti che, di fatto, diventano patrimonio di Google. Big G, naturalmente, se ne è accorta tanto da dichiarare più volte formalmente che nessuna di queste foto sarà mai usata per scopi commerciali. Cook non ci crede come non crede che il servizio sia gratuito «quando in realtà ha un costo molto alto». È evidente lo scontro tra concorrenti per accaparrarsi un settore in crescita della clientela di rete, ma il tema della tutela della privacy va molto al di là delle questioni commerciali e tocca la sfera dei diritti individuali, il legislatore, prima o poi, dovrà intervenire.

 

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Mi corre l’obbligo di ringraziare i tanti lettori che mi hanno inviato mail per commentare il mio libro Internet ci rende più stupidi?. Grazie davvero e grazie per gli utili suggerimenti di cui terrò senz’altro conto.

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