Pagina a cura di Vincenzo Dragani 

I nuovi delitti d’inquinamento e disastro ambientale possono abbracciare le più diverse forme di aggressione all’ecosistema, colpire anche le condotte solo formalmente aderenti a prescrizioni normative e con portata che va temporalmente oltre la prima materiale alterazione delle matrici verdi. Ma necessitano di un’attenta verifica dell’effettivo nesso di causalità tra condotta ed evento dannoso, un riscontro dei livelli di inquinamento provocato da condursi sulla base dei parametri offerti dalla normativa e la prova della violazione di regole precauzionali conoscibili ed esigibili. Queste le prime coordinate di navigazione sulla nuova mappa dei delitti ambientali disegnata dalla legge 22 maggio 2015, n. 68 che appaiono essere tracciate dall’Ufficio del massimario della Corte di cassazione, il quale con una relazione dello scorso 29 maggio 2015 (giorno dell’entrata in vigore della normativa) ha fatto luce su alcuni punti critici della disciplina. Al centro del documento i due nuovi eco-delitti di inquinamento e disastro ambientale introdotti dalla citata legge nel Codice penale insieme a quelli di morte o lesioni come conseguenza di inquinamento ambientale, traffico o abbandono di materiale altamente radioattivo, omessa bonifica, impedimento di controlli.

 

Inquinamento ambientale. Il nuovo articolo 452-bis del Codice penale introdotto dalla legge 68/2015 punisce chiunque abusivamente cagiona compromissione o deterioramento significativi e misurabili di: acque, aria, porzioni estese e significative suolo o sottosuolo; ecosistema, biodiversità, flora o fauna.

La Corte di cassazione sembra rilevare come la nuova fattispecie vada inquadrata tra i reati di danno, caratteristica che comporterà sul piano processuale la necessità di uno scrupoloso accertamento del nesso di causalità (tra condotta ed evento) ai fini della contestazione, soprattutto in presenza di comportamenti segmentati nel corso del tempo.

Ad ampio raggio sembrano per il Massimario essere le condotte riconducibili nel nuovo delitto laddove in materia richiama anche, per la funzione ermeneutica che potrà svolgere, la definizione di «inquinamento ambientale» prevista dall’articolo 5 del Codice ambientale (dlgs 152/2006) a mente del quale è tale «l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore o più in generale di agenti fisici o chimici, nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento dei beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi».

A indicare i confini del nuovo delitto sono i parametri di «significatività e misurabilità» della compromissione o deterioramento delle eco-matrici che rendono rilevanti il danno ambientale ai fini penali.

Sotto questo profilo la Cassazione appare suggerire che la condotta dovrebbe essere inquadrata nel nuovo delitto d’inquinamento entro l’arco logico che si colloca tra il superamento delle «concentrazioni soglie di rischio» previste dal dlgs 152/2006 (cd. «Csr», che oltrepassati determinano la classificazione della matrice ambientale come contaminata, facendo scattare obblighi di bonifica o messa in sicurezza) e quello della compromissione «irreversibile o particolarmente onerosa» dell’ecosistema, che integra il più grave e nuovo delitto di disastro.

 

Disastro ambientale. Il nuovo articolo 452-quater del Codice penale punisce infatti chi, fuori dai casi ex articolo 434 C.p., abusivamente cagiona (alternativamente): un’alterazione dell’equilibrio dell’ecosistema irreversibile o con eliminazione particolarmente onerosa tramite provvedimenti eccezionali; una rilevante offesa pubblica incolumità (per estensione compromissione, effetti lesivi o numero persone offese/esposte a pericolo).

Anche questo nuovo delitto, sembra la Corte sottolineare, si pone come reato di danno laddove il delitto di «disastro innominato» ex articolo 434, C.p., si ricorda, è dalla giurisprudenza normalmente inquadrato come illecito di pericolo, in quanto integrato con la realizzazione della minaccia concreta di un macro evento dannoso, eventualmente aggravato dal suo realizzarsi.

Rispetto alla storica figura ex articolo 434, c.p., il nuovo delitto, si evince dalla Relazione della Corte, sarebbe però configurabile anche ricorrendo solo uno degli elementi «dimensionali» (l’alterazione) o «offensivi» (il pericolo per la pubblica incolumità) previsti dal neo articolo 452-quater. Anche qui sono i parametri del danno ambientale a definire i confini dell’illecito. E per la Cassazione la caratteristica dell’«irreversibilità» dell’alterazione dovrebbe non essere considerata in assoluto, ma relativamente alle categorie dell’agire umano, per sui sarebbe tale anche quella ovviabile solo in un ciclo temporale che lo superi. Ancora, varrebbe a configurare il neo delitto anche l’arduità della reversibilità coincidente con la necessità di provvedimenti amministrativi deroganti all’ordinaria disciplina ambientale.

 

Abusività della condotta. La Suprema Corte appare evidenziare come la caratteristica dell’abusività che qualifica come illecita la condotta di entrambi i reati abbia confini molto estesi. Per suggerirne la dimensione, la Relazione chiama in rassegna l’interpretazione già data al termine «abusivo» dalla giurisprudenza di legittimità, in base alla quale è da considerarsi tale sia una condotta non autorizzata (alla quale è paragonato anche l’agire in dispregio di prescrizioni e limiti imposti da titoli validi o in presenza di atti scaduti) sia una condotta formalmente ed esteriormente corrispondente (sì) a una prescrizione normativa o a un’autorizzazione, ma di fatto incongruente rispetto a questi e posta in essere sviando dalla funzione tipica del diritto o facoltà concessi.

 

Ipotesi colpose. Per entrambi i nuovi delitti è prevista (dal nuovo articolo 452-quinquies del Codice penale, con una riduzione di pena) anche una fattispecie colposa, in alcuni casi con una anticipazione della punibilità alla condotta che cagioni il semplice pericolo di danno ambientale.

La Corte pare arginare una lettura estensiva di tali norme, sottolineando come esse non conferiscono un carattere direttamente precettivo al principio di precauzione previsto dal Codice ambientale. L’attribuzione a titolo di colpa dell’inquinamento o del disastro non dovrà infatti prescindere dall’accertamento della effettiva prevedibilità (sulla base di comportamenti precauzionali già tipizzati) ed evitabilità (da parte dell’agente modello) degli eventi antigiuridici posti in essere.

 

Prescrizione. Due gli aspetti del tema messi in luce dalla Relazione della Cassazione. In primo luogo l’evidente allungamento dei termini di prescrizione previsto dalla legge 68/2015 mediante la diretta modifica dell’articolo 157 del Codice penale (che portano fino a 50 anni, in presenza di atti interruttivi, la perseguibilità del disastro doloso).

In secondo luogo la citata formulazione in chiave «naturalistica» degli eventi dannosi sottesi ai neo delitti di inquinamento e disastro ambientale, che potrebbe avere come conseguenza il perfezionamento degli illeciti stessi molto tempo dopo rispetto all’ultima condotta di materiale immissione di sostanze nell’eco-sistema o di sua fisica alterazione. Riflessioni, queste della Cassazione, che se lette insieme potrebbero effettivamente suggerire l’introduzione da parte della nuova legge 68/2015 di un vero e proprio «effetto moltiplicatore» delle prescrizioni relative ai nuovi delitti ambientali.