di Andrea Mascolini  

 

Dal 1° luglio rischio caos per gli appalti pubblici. Da un lato i piccoli comuni non potranno più fare gare se non attraverso le centrali di committenza, a loro volta non ancora a regime o non del tutto utilizzabili. Dall’altro, l’entrata in vigore del sistema di verifica dei requisiti dei concorrenti, fondato sul sistema Avcpass (messo a punto dalla soppressa Autorità di vigilanza sui contratti pubblici) potrebbe a sua volta creare un blocco delle procedure di gara.

Si segnala infatti che molte stazioni appaltanti non hanno aderito alla piattaforma e molti operatori ne hanno rilevato problemi di funzionamento, con il rischio di inevitabili contenziosi. Il ministero delle infrastrutture, dal canto suo, sembra orientato a una proroga dell’Avcpass a fine anno. E secondo quanto risulta a ItaliaOggi si sta già attivando affinché venga concesso uno slittamento. È questa in sintesi la «tempesta perfetta» che potrebbe abbattersi sul settore dei contratti pubblici in ragione del combinarsi della scadenza del 1° luglio, che ormai da tempo è oggetto di attenzione da parte di tutti gli operatori del settore, pubblici e privati.

Il rischio non è da poco se si considera che il totale dei contratti pubblici (lavori, forniture e servizi) affidati in Italia nel 2012 (stando alla relazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici presentata a governo e parlamento un anno fa) è stato pari a 95,3 miliardi di euro, per circa 125.700 contratti stipulati di importo superiore ai 40.000 euro.

Il primo elemento problematico è rappresentato dall’entrata in vigore della legge 23 giugno 2014, n. 89 di conversione del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 143 del 23 giugno 2014. In questa legge (si veda ItaliaOggi del 20 giugno 2014) si prevede, con decorrenza dal 1° luglio, l’obbligo per tutti i comuni non capoluogo di provincia di acquisire lavori, beni e servizi attraverso le centrali di committenza, la Consip, gli accordi consortili o le unioni di comuni. In realtà la stessa norma (l’articolo 9 della legge 89 che in un comma sostituisce integralmente il comma 3-bis dell’articolo 33 del codice dei contratti pubblici) fa comunque salva la possibilità di acquisire, mediante procedura a evidenza pubblica, beni e servizi (non lavori), qualora i relativi prezzi siano inferiori a quelli emersi dalle gare effettuate dalla Consip e dai soggetti aggregatori, lasciando quindi qualche spiraglio alle amministrazioni.

Rimane però il fatto che l’obbligo generale rimane e che, soprattutto, in caso di inosservanza dell’obbligo di ricorrere al «soggetto aggregatore», è previsto che l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (cioè l’Anac di Raffaele Cantone che l’ha assorbita) non rilasci alle stazioni appaltanti il codice identificativo di gara (Cig), adempimento necessario per potere bandire ogni gara.

Il problema si pone perché da un lato in molti casi le centrali di committenza a livello regionale non sono state istituite (la norma impone di farlo entro fine 2014); dall’altro lato non si può certo affermare con certezza che tutti i comuni non capoluogo di provincia abbiano provveduto o consorziandosi o unendosi per centralizzare le procedure acquisto di beni, lavori e servizi. Inoltre per alcune categorie di servizi e di lavori non esisterebbero convenzioni Consip a cui i comuni possano aderire. E su questo punto la preoccupazione è forte tanto che il presidente Anci, Piero Fassino ha trasmesso nei giorni scorsi una lettera al ministro per le infrastrutture, Maurizio Lupi, con richiesta di incontro urgente per individuare «soluzioni condivise». Altrettanto preoccupante è il secondo fattore di rischio, dipendente dall’entrata in vigore dell’obbligo di verifica dei requisiti dichiarati in sede di gara dai concorrenti esclusivamente tramite il cosiddetto Avcpass, il sistema gestito dalla soppressa Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. Al di là delle rassicurazioni che fino all’ultimo sono giunte dal consiglio dell’Authority, in realtà sia le stazioni appaltanti, sia diversi settori imprenditoriali, anche negli ultimi mesi, hanno segnalato difficoltà applicative che, in presenza di un obbligo come quello previsto dalla legge, potrebbero determinare seri rischi di blocco delle procedure e anche di contenzioso, laddove le amministrazioni continuassero invece con la usuale prassi di verifica documentale. Il tutto in un contesto in cui il passaggio di funzioni dell’Autorità di via di Ripetta all’Autorità anticorruzione rende ulteriormente problematica anche la gestione della stessa piattaforma, visto che il passaggio di funzioni e competenze dovrà avvenire sulla base di un piano che, in base al decreto legge 90, dovrà essere presentato da Cantone entro fine 2014.

Non è quindi un caso se mercoledì è stata anche presentata, a firma della senatrice Adele Gambaro, una interpellanza indirizzata ai ministri Lupi e Federica Guidi in cui, evidenziate le «molte difficoltà nell’accesso alla piattaforma informatica», si chiede se sia «opportuno riconsiderare il sistema Avcpass, la cui operatività dovrebbe decorrere dal prossimo 1° luglio o confermare, nelle more, la piena funzionalità dei meccanismi tradizionali di controllo cartacei». Ma, come detto, da indiscrezioni sembra che il ministero si sia già orientato verso l’idea di una proroga a dicembre che sarà portata sul tavolo del prossimo consiglio dei ministri.