Tassazione dei risparmi atto secondo. Che cosa cambia adesso nelle scelte di portafoglio? Dopo appena due anni e mezzo dall’innalzamento dell’aliquota sulle rendite e sulle plusvalenze finanziarie dal 12,5% al 20% che tuttavia lasciò invariata l’aliquota per i titoli di Stato italiani e per le emissioni governative dei paesi fiscalmente «trasparenti», dal 1° luglio l’aliquota salirà al 26% e, anche in questo caso, non andrà a toccare i titoli di Stato. 
In pratica si pagherà il 26% sui rendimenti e sui guadagni in conto capitale, se realizzati, di azioni, obbligazioni societarie, fondi, Etf che investono in azioni e obbligazioni corporate, interessi di conti correnti i bancari e depositi. Pagheranno «pro quota», in base alla porzione di portafoglio detenuta in questi strumenti anche i fondi bilanciati e i prodotti assicurativi. Continueranno a godere dell’aliquota «privilegiata» del 12,5% i Bot, i Btp, i Cct, i Ctz, i buoni fruttiferi postali e le emissioni governative «white list», dei Paesi fiscalmente virtuosi, e quindi Stati Uniti, Gran Bretagna, tutti i paesi dell’eurozona e altri. 
Si tratta di una rivoluzione che porta il livello della tassazione del risparmio a soglie molto elevate, se si considera anche l’imposta patrimoniale del 2 per mille e la Tobin Tax sulle transazioni finanziarie. Un coacervo di balzelli che rischia di divorare gran parte dei guadagni realizzati. 
Ma a suscitare dubbi e interrogativi tra gli investitori non è soltanto la disparità di trattamento fiscale tra i diversi attivi finanziari, che potrebbe influire sulle scelte di portafoglio, ma anche, per quanto riguarda le plusvalenze, l’opportunità o meno di utilizzare il meccanismo dell’«affrancamento» (vedi articolo qui sotto). Un sistema di compensazione tra plusvalenze e minusvalenze latenti (maturate ma non realizzate) fino alla data del 30 giugno, il cui ammontare netto può essere tassato con la vecchia aliquota del 20%. 
Scelte di portafoglio
«Le decisioni di asset allocation, vale a dire relative alla composizione di un portafoglio finanziario, sono più importanti rispetto all’ottimizzazione fiscale e di conseguenza i diversi livelli di tassazione non dovrebbero incidere sulla preferenza a detenere una quota maggiore o minore di titoli azionari, obbligazionari, o di titoli di Stato», afferma Raffaele Zenti, strategist di Advise Only (www. adviseonly.com), un social network dedicato al risparmio e agli investimenti. 
Infatti, secondo Zenti, «non avrebbe senso che un risparmiatore di 30 anni, che investe ad esempio il 60-70% del suo portafoglio in azioni o in fondi azionari modificasse le sue scelte di lungo periodo soltanto per ragioni fiscali». E questo perché l’extra-rendimento di una asset allocation efficace incide più di qualunque altro fattore sul rendimento finale del portafoglio. 
Alcune classi di investimento, tuttavia, oltre alle azioni, subiscono un impatto sensibile dalla nuova aliquota sulle rendite finanziarie. «Tra le categorie più svantaggiate ci sono sicuramente le obbligazioni societarie e la liquidità», conclude Zenti. 
Il fatto che i titoli societari a reddito fisso abbiano una tassazione più che doppia rispetto ai titoli di Stato, insieme ad altri fattori (vedi articolo a fianco) potrebbe scoraggiare l’investimento nei singoli corporate bond a vantaggio dei fondi comuni di categoria. Mentre tra i possibili beneficiari della nuova aliquota di imposta, secondo gli strategist di Advise Only, rientra il risparmio previdenziale, che gode tuttora di una aliquota molto favorevole, sia pure innalzata dall’11% all’11,5%. Un vantaggio fiscale che potrebbe favorire nuove sottoscrizioni. 
Plusvalenze
«Il trattamento delle plusvalenze e delle minusvalenze maturate fino al 30 giugno viene regolato in via automatica dai fondi e dagli Etf, mentre richiede una scelta deliberata da parte del risparmiatore che amministra in proprio il suo dossier titoli», afferma Domenico Del Borrello, responsabile della divisione private banking di Banca Generali. Infatti il meccanismo tecnico dell’«affranca-mento» (vedi articolo qui sotto) permette agli investitori che decidono per questa soluzione di «nettizzare» guadagni e perdite in conto capitale latenti fino al 30 giugno pagando subito il 20% sul saldo positivo, la vecchia aliquota, mentre per le variazioni successive a questa data entrerà in vigore la nuova soglia di tassazione al 26%. 
«Non esiste a priori una convenienza assoluta a scegliere il meccanismo dell’affrancamento. La decisione è influenzata in modo decisivo dall’entità del patrimonio e dall’ammontare delle plusvalenze e delle minusvalenze maturate», conclude. L’alternativa è quella di vendere entro il 30 giugno e poi ricomprare. Ma qui bisogna stare molto attenti alle commissioni applicate dalle banche sulle compravendite, specie alle soglie minime introdotte, Il totale da pagare, tra commissioni di cessione e di riacquisto, deve essere inferiore al 6% (la differenza tra 26% e 20%). 

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