Giovanni Pons

U n fiume di liquidità mai visto prima sta invadendo le Borse europee stimolando la ripresa di operazioni di vario tipo sui mercati dei capitali, quasi scomparse nel periodo successivo alla grande crisi iniziata nel 2008. È una liquidità che arriva dall’estero e che potrebbe dissolversi da un momento all’altro, se solo cambiassero alcune variabili fondamentali tra cui i tassi di interesse americani. Ma finché lo scenario prevalente sarà quello delineato dai banchieri centrali, di lotta alla deflazione, è possibile che i capitali restino dove vi sono più possibilità di inversione del ciclo economico. Certo i prezzi delle società potrebbero salire talmente da scostarsi ampiamente dai valori fondamentali e minacciare lo scoppio di una nuova bolla. Ma in Europa siamo ancora lontani da quei livelli. I banchieri, però, che più guadagnano da questa situazione, potrebbero metterci lo zampino e cominciare a impacchettare prodotti strutturati sempre più sofisticati con l’intento di renderli più rischiosi e giustificare così un maggiore rendimento. Ma questa è una deriva che solo le autorità di regolazione nazionali e internazionali possono scongiurare. Dunque, il grande afflusso di liquidità dev’essere accolto con favore ma anche con qualche sospetto, e il giudizio finale potrà essere dato solo tra qualche anno. A quel punto soltanto si potranno constatare, dati alla mano, gli effetti positivi sull’economia

reale e sulla distribuzione del reddito. E non le statistiche sugli uomini più ricchi del mondo che diventano sempre più ricchi. Fino a quel momento non si può far altro che osservare e analizzare un fenomeno che sta assumendo proporzioni gigantesche. Basti dire che dall’inizio del 2014, in Europa, sono state effettuate 221 operazioni di equity capital market per un totale di 94 miliardi di euro. Tra queste si distinguono 102 collocamenti di quote azionarie ( accelerated bookbuilding) per 44 miliardi; 13 aumenti di capitale conclusi per 12,2 miliardi più altri cinque in corso e già prezzati per altri 8,3; 28 emissioni di bond convertibili per 7,1 miliardi e 55 Ipo (collocamenti di aziende in Borsa) del valore di 19,9 miliardi più altre 18 già in fase avanzata per 2,2 miliardi. Numeri che con ogni probabilità faranno del 2014 l’anno più effervescente per la finanza europea dal 2008 a oggi. D’altronde i flussi finanziari in entrata nel Vecchio Continente sono in forte aumento da circa un anno a questa parte e sono dovuti allo smobilizzo dei portafogli dei grandi investitori istituzionali sui mercati emergenti, soprattutto Asia e America Latina, dove negli anni scorsi hanno guadagnato moltissimo. Poiché l’Europa è contrassegnata da sei anni consecutivi di crisi economica con conseguenti valutazioni molto basse di ogni tipo di asset, quest’area del mondo è tornata a rappresentare la meta preferita dei grandi capitali alla ricerca di rendimenti più elevati di quelli che attualmente si possono riscontrare in America o in Giappone. In sostanza i gestori stanno seguendo una regola aurea: puntare sulle aree più a buon mercato nella consapevolezza, o speranza, che prima o poi si registri un’inversione del ciclo a livello macroeconomico. In questo quadro l’Italia risulta uno dei paesi in cui la liquidità si sta dirigendo con maggiore intensità, per una serie di peculiarità che in passato erano considerate degli ostacoli mentre oggi sono viste come degli atout. Il primo elemento da mettere sul tavolo è sicuramente la svolta politica in atto nel Belpaese, con un primo ministro che promette di fare molti cambiamenti e di realizzare in campo economico quelle riforme che i mercati finanziari chiedono da tempo. In secondo luogo c’è un tessuto di medie imprese con elevata propensione alle esportazioni, a controllo famigliare ma spesso con l’inserimento di management professionale, a corto di capitali ma con ampie possibilità di crescita. Elementi che messi insieme rappresentano un unicum nel panorama europeo. Tra l’altro molte di queste aziende non sono quotate in Borsa e sono state nel tempo finanziate prevalentemente dal settore bancario, per cui oggi rappresentano un target ideale per quei capitali internazionali alla ricerca di alti rendimenti. «Con i tassi di interesse vicino allo zero si è prodotto un flusso di denaro molto importante di investitori istituzionali verso l’Italia, a cui interessano le Ipo e specifici settori», conferma Carlo Pagliani, tra i promotori e partner della Space, il veicolo (Spac) quotato in Borsa alla fine del 2013 con 130 milioni da investire in una media società italiana. L’accoglienza riservata dal mercato a Space è stata tale che l’esperimento verrà presto replicato, inoltre i suoi promotori stanno già studiando altre forme di raccolta di liquidità, come gli Yield co, strutture costruite per possedere asset con stabili e prevedibili cash flow, tipicamente nel settore delle energie rinnovabili, già sperimentate negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. In Italia la liquidità internazionale si è diretta principalmente a sottoscrivere gli aumenti di capitale delle banche, che solo quest’anno supereranno di gran lunga i 10 miliardi, di cui 5 stanno andando a finanziare il rilancio del Monte dei Paschi di Siena. Gli investitori hanno comprato a prezzi scontati reti bancarie che in prospettiva dovrebbero riprendersi con il ciclo economico e beneficiare di una nuova fase di aggregazioni. Ma le stesse banche, dopo le ultime mosse di politica monetaria della Bce – che ha reso non conveniente tenere parcheggiati i soldi presso la banca centrale – potrebbero ricominciare a erogare credito verso le imprese. Il problema è la polarizzazione del credito: le aziende medie che già sono in grado di emettere bond e dunque di finanziarsi sui mercati diventeranno nuovamente appetibili anche per i crediti bancari. Le aziende più piccole e magari in difficoltà che hanno bisogno di un po’ di ossigeno per sopravvivere non vengono al momento finanziate dal sistema bancario, poiché si teme di perdere soldi. Se il periodo di grande liquidità sui mercati durerà ancora un po’ è giocoforza che il sistema bancario tornerà a prendersi rischi più elevati andando a finanziare le imprese più in difficoltà, contribuendo così alla ripresa dell’economia. «In questo momento i gestori internazionali preferiscono comprare titoli azionari e obbligazionari di aziende italiane rispetto a quelli di altri paesi, purché abbiano una bella storia da raccontare – osserva Filippo Boria, capo dell’investment banking di Bnp Paribas che nel 2013 è risultata prima nella classifica delle operazioni di capital market in Italia -. Oggi chi possiede un’azienda privata con una storia di eccellenza internazionale deve considerare la quotazione, mentre chi è già sul mercato azionario ha un’opportunità unica per emettere bond convertibili per rifinanziarsi a tassi estremamente interessanti con elevati premi di conversione ». Se queste sono le variabili in gioco la grande scommessa dell’Italia sta diventando quella di portare in Borsa una buona fetta di aziende con i conti a posto, in settori tipici italiani e in grado di internazionalizzarsi con i giusti afflussi di capitali. E in effetti il mercato delle Ipo italiane si è risvegliato dopo un lungo torpore. Sul finire del 2013 hanno fatto scalpore i fuochi d’artificio sull’offerta Moncler, quotata a multipli molto elevati anche rispetto al settore luxury. Quest’anno è già sbarcata sul mercato principale Anima ma sulla rampa di lancio ci sono nomi come Cerved, Fineco, Fincantieri, Sisal, e dopo l’estate sarà la volta di Favini, Segafredo, Rottapharm, Raiway e Poste Italiane, forse la più difficile da effettuare in questo contesto di mercato. Ma attenzione, l’eccesso di domanda non significa che si possa collocare tutto a qualsiasi prezzo, come nei momenti di “esuberanza irrazionale”. Gli investitori in questa fase sono diventati selettivi anche per la mancanza di risorse umane che possono dedicare all’esame delle numerose aziende che vogliono quotarsi. La soluzione, sempre più spesso, sta diventando quella di sottoscrivere tutti le offerte che arrivano sul mercato ma solo a prezzi e multipli in linea con i competitor già quotati, non di più. Forse questo potrebbe essere un modo per autoregolarsi anche se negli Stati Uniti questo principio non è di certo preso in considerazione, se solo si giudicano le valutazioni stellari che hanno raggiunto alcune società tecnologiche come Alibaba o AirBnb. Nel catino di Piazza Affari il timore è che l’euforia da liquidità attiri sul mercato aziende non pronte o senza i numeri a posto per sostenere il grande passo. Le fregature sono sempre dietro l’angolo e i regolatori dovrebbero monitorare attentamente gli ingressi su listini come l’Aim, dove i controlli sono minori proprio per facilitare l’accesso al mercato. Nuovi casi di risparmio tradito sarebbero deleteri per l’immagine dell’Italia e per la fiducia degli investitori. «Se la politica della Bce ri
mane quella delle ultime settimane, se ci sarà un recupero del Pil, che si porta dietro una crescita degli utili delle società quotate, questa finestra favorevole non dovrebbe chiudersi a breve prevede Andrea Donzelli, senior banker di Credit Suisse -. Inoltre le valutazioni di Spagna e Italia sono più basse di quelle di altri paesi e l’aspettativa di indebolimento dell’euro le favorisce». Insomma, fin che la barca va lasciala andare. Poi si vedrà.