Paolo Possamai

Vicenza “Q uo Vadis’ era la scritta che fino al cambio del millennio campeggiava dinanzi alla seicentesca villa Bonollo Anti, alle porte di Vicenza, lungo la strada Padana superiore verso Verona. È stato il nome di un ristorante, per decenni. La villa poi è diventata sede del gruppo Palladio Finanziaria e il quesito ‘dove vai?’ di questi tempi è vivissimo. Perché il suo principale azionista e ad, Roberto Meneguzzo, è in carcere nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti del Mose. Perché il sistema delle alleanze di Palladio, sia sul versante finanziario che politico, già da prima scricchiolava vistosamente. Perché tra gli azionisti serpeggiano imbarazzo e disagio. Non è una partita che riguardi solo il gruppo fondato da Meneguzzo, poiché la ‘Mediobanca del Nordest’ ha intermediato e/o co-promosso parte rilevante delle più importanti iniziative finanziarie nate a Est di Verona nell’ultimo decennio. Basti ricordare il (fallito) assalto a Fondiaria-Sai, in contrapposizione frontale con Unipol e il suo alleato Mediobanca. Ma prima ancora viene la presenza in Generali durante il lungo regno di Giovanni Perissinotto. Meneguzzo ha rappresentato in assemblea del Leone un incrocio bizzarro di interessi, coagulati in Ferak e Effeti. Ferak è un veicolo partecipato da Palladio, Finanziaria Internazionale, famiglia Amenduni, Veneto Banca, e detiene l’1,4% di Generali. Effeti ha invece in portafoglio il 2,2% della compagnia assicurativa e fa capo fifty-fifty a Ferak e Fondazione Cr Torino.

Che lunedì scorso ha deliberato lo scioglimento di Effeti, per rientrare direttamente in possesso dei titoli Generali, come aveva lasciato intendere già da vari mesi. La stessa mossa ha iniziato a coltivare per Ferak in aprile la Finanziaria Internazionale, il cui ammini-stratore delegato Enrico Marchi non ha avuto mai simpatia alcuna per Meneguzzo. Marchi vorrebbe duellare con Mario Greco, l’ad di Generali che ha rilevato i tanti e opachi rapporti d’affari tra il Leone e i soci veneti. Meneguzzo, invece, in coerenza con il nomignolo di ‘cardinale’, da sempre predilige la linea morbida e avvolgente. Traiettorie definitivamente divergenti. Una sorta di ‘liberi tutti’ è in atto, la caduta di una trama di accordi e partecipazioni incrociate che ha consentito a numerose famiglie industriali più in vista e ai principali attori finanziari del Nordest di accedere alla ribalta nazionale. Meneguzzo tenta ancora di salvare il salvabile nel rapporto con Generali, che nel 2004 pareva destinata a entrare tra i soci a Vicenza. Rapporto importante, nato nel 2007 con il fondo Venice dotato da principio di 211 milioni sottoscritti in particolare da Generali (15,7%), Efibanca (9,4%), Veneto Banca (7,1%). E poi rinforzato nel 2011, quando Palladio rileva da Generali i resti del fondo Alliance dedicato a investimenti in infrastrutture e rilancia con il fondo Vei (513 milioni e un commitment di Generali fino a 150). Ma il capitolo più delicato attiene al bond convertendo emesso nel 2007 da Pfh1, holding di controllo di Palladio, al servizio di un aumento di capitale di 300 milioni. Generali aveva sottoscritto 100 milioni dal collocatore Hsbc, salvo che Perissinotto nel 2011 aveva chiesto a Pfh1 di riacquistare tale quota del bond, nel frattempo svalutata a 75 milioni. Materia su cui la magistratura di Trieste sta indagando. A Meneguzzo, però, l’intraprendenza non fa difetto e, dinanzi alla decomposizione dell’asse con le Generali di Mario Greco, ha trovato un nuovo partner dalle spalle robuste: a due mesi fa risale l’ingresso di Banca Intesa in Palladio, con la quota del 9%, subito dietro a Veneto Banca (9,8%) e sopra a Banco Popolare (8,6%) e Mps (0,5%). Meneguzzo lo scorso anno aveva sondato pure la disponibilità di Gianni Zonin, che con la sua Popolare di Vicenza ha disegni ambiziosi. Non se n’è fatto nulla e Meneguzzo, dinanzi al sostanziale disimpegno del Banco Popolare e alle forti difficoltà interne di Veneto Banca, ha trovato in Intesa il nuovo perno delle sue relazioni con il mondo creditizio. Scorrendo poi il libro soci, emerge che il 50,5% fa capo, via la lussemburghese Pfh1, al management (e in primis a Meneguzzo, a seguire distanziato il coamministratore delegato Giorgio Drago), il 21,6% a una selezionata platea di famiglie industriali venete e lombarde. Tutti azionisti – e specialmente le banche – oggi in forte disagio dinanzi alle vicende Mose, in cui Meneguzzo è coinvolto quale presunto intermediario tra le aziende esecutrici delle dighe mobili per Venezia e il Marco Milanese braccio destro del ministro Giulio Tremonti. Ma le relazioni pericolose tra Meneguzzo e l’establishment politico/affaristico veneto sono testimoniate pure dalla presenza di Palladio nei contestatissimi project financing per gli ospedali di Treviso, Verona, Thiene-Schio. Un colosso come Bovis Land Lease, quotato a Sydney e con un portafoglio di investimenti immobiliari per 10 miliardi, ha scelto guarda caso proprio Palladio per candidarsi a costruire il nuovo ospedale di Padova, costo stimato da principio in 1,7 miliardi. A fare da sponsor politico per tutti i nuovi ospedali in project era l’allora governatore forzista e poi ministro Giancarlo Galan, da sempre in ottimi rapporti personali con Meneguzzo anche per via della comune amicizia con Amalia Sartori, europarlamentare forzista di lungo corso e originaria della stessa zona del fondatore di Palladio. Del resto, Galan è stato il riferimento politico pure di Enrico Marchi e Galan non poche parole ha speso per favorire un’intesa tra le due merchant venete.