Nonostante i dati macroeconomici parlino di una lenta uscita dalla recessione, per le pmi, che rappresentano gran parte del tessuto economico italiano, non è sempre così. Le imprese che percepiscono il mercato in contrazione sono il 46% del campione, in aumento di quasi il 20% sul 2012. È pur vero che il 54% risulta più ottimista.

Questi i dati emersi dall’Osservatorio Permanente sul Risk Management realizzato da RiskGovernance-Politecnico di Milano, giunto alla seconda edizione, che è stata realizzata in collaborazione con Cineas e Confapi Industria.

L’indagine ha preso in considerazione un campione di 701 aziende distribuite su tutto il territorio nazionale e appartenenti a tutti i settori dell’economia, con particolare concentrazione nei macro-settori servizi (36%) e manifattura (41%).

In questo scenario, la leva più ricorrente di intervento per le piccole imprese è quella della sostituzione e del rafforzamento della struttura con nuove competenze manageriali. Dai dati analizzati dall’Osservatorio emerge che il 90% delle imprese che percepiscono il mercato in contrazione decide di operare cambiamenti all’interno della struttura di vertice, mentre il 45% apre a nuovi mercati che abbiano una domanda in crescita e/o disponibilità di materie prime a costi inferiori, in diminuzione rispetto al 2012 dove questa scelta veniva fatta dal 59% delle aziende. È carente, invece, la disponibilità ad effettuare nuovi investimenti nel Paese.

Ben il 63% del campione non adotta tecniche di gestione del rischio. Tra quelle che adottano tecniche di gestione del rischio, il 52% delle aziende valuta i rischi in maniera formale e secondo un processo strutturato, percentuale in aumento di circa il 10% rispetto al 2012.

Negli ultimi 5 anni le piccole e medie imprese italiane hanno risposto alla crisi con molte operazioni anche straordinarie, per la maggior parte entrando in nuovi mercati; ciò ne ha aumentato il profilo di rischio – afferma Marco Giorgino, Direttore di RiskGovernance-Politecnico di Milano. Non sempre le dimensioni media e, soprattutto, piccola sono in grado di reagire a tale rischiosità e di raccogliere le nuove sfide competitive che i mercati pongono. In assenza di adeguati sistemi per la gestione dei rischi, il rischio effettivo è quello della stasi e, di conseguenza, in ultima analisi del peggioramento del panorama economico italiano.

Dall’Osservatorio emergono però segnali positivi: la spesa per il risk management nelle PMI italiane è in aumento – continua Giorgino – sia in termini assoluti che percentuali, in modo più marcato per le medie imprese, passando dal 2012 al 2013 dallo 0,3% al 3,8% del fatturato per le aziende con più di 10 milioni di fatturato”.

Rispetto al 2012 la percezione del profilo di rischio è pressoché costante e di tipo “medio”, diminuiscono invece coloro che percepiscono il rischio come “altalenante”. (il rischio medio è quello attuale e quello altalenate è quello legato agli ultimi 5 anni). Da notare che per l’81% del campione all’apertura di nuovi canali di vendita e all’ampliamento del portafoglio prodotti corrisponde una diminuzione della percezione dell’esposizione al rischio.

Il contesto economico è aggravato dall’immaturità con cui le pmi affrontano il rischio, tanto più che la percezione del rischio è piuttosto elevata. Nel 2013 il rapporto con il rischio peggiora. Aumentano, infatti, le aziende che lo percepiscono come eventi da evitare (47% in crescita rispetto al 2012 dove erano solo il 31%). Inoltre coloro che percepiscono il rischio solo come negativo e non anche come un’opportunità sono perlopiù piccole imprese (68% nel 2013, mentre erano il 48% nel 2012).

I rischi finanziari sono quelli che vengono maggiormente percepiti come rilevanti, si passa da un 48% a una 58% nel 2013 e sono perciò quelli che assorbono maggiori risorse.

In particolare, si registra un vertiginoso aumento delle imprese che hanno una significativa esposizione al rischio di credito (dal 30% al 78% del campione dal 2012 al 2013) e al rischio di liquidità (dal 15% del campione nel 2012 al 42% nel 2013). Diminuisce drasticamente, invece, il rischio inflazionistico che scende dal 53% a un 2%.

Meno rilevante nel 2013 è il rischio operativo, che interessa il 19% delle imprese, contro il 35%nel 2012.

Per quanto riguarda i ruoli e le responsabilità per la gestione del rischio, bassissima è l’incidenza delle imprese intervistate che dedica una risorsa a tempo pieno ad attività di risk management: nella grande maggioranza dei casi (90% per le piccole imprese italiane e 82% per le medie) il compito è assolto da una figura interna che ricopre altri ruoli come l’Amministratore Delegato (72%) o il Direttore Finanziario nel caso delle medie imprese (13% per tutte le imprese, in particolare nelle medie imprese la percentuale arriva ben al 36%).

 

Focus Lombardia

Per quanto riguarda la Lombardia, il campione analizzato è composto da 319 aziende con particolare concentrazione nei macro-settori servizi (32%) e manifattura (46%).

Il 58% delle aziende lombarde, percentuale inferiore rispetto a quella nazionale (63%), non adotta tecniche di gestione del rischio. La metà delle aziende lombarde che adottano tecniche di risk management si sono dotate di procedure formali per valutare i rischi cui sono esposte.

Per quanto riguarda il contesto, le imprese lombarde hanno una percezione più ottimistica rispetto al resto d’Italia: in Lombardia le imprese che percepiscono il mercato come “stabile” rappresentano il 40% del campione del totale, contro il 36% dell’intera popolazione delle aziende italiane. Inoltre, chi in Italia percepisce un mercato in contrazione decide quasi sempre di cambiare il top management (90%), mentre le aziende lombarde preferiscono ampliare il proprio portafoglio prodotti.

La percezione dell’esposizione al rischio, sia per le aziende lombarde (59%) sia per quelle italiane (46%), è aumentata nel corso degli ultimi anni. Inoltre, il 71% delle aziende lombarde ha un profilo attuale di rischio di tipo “medio” e pochissime di esse (7%) ha un profilo di rischio “alto”.

I rischi finanziari sono quelli che vengono maggiormente percepiti come rilevanti sia dalle aziende italiane (58%) sia da quelle lombarde (65%) e sono perciò quelli che assorbono maggiori risorse per la gestione, in termini economici e di personale.

È in questo contesto che va giocato il nostro ruolo per fare cultura d’impresa. I dati ci confermano che chi si approccia alla gestione del rischio e ne sistematizza i processi, anche se in forma empirica, riesce a fronteggiare la situazione congiunturale e a valorizzare le peculiarità delle piccole imprese, facendone elementi vincenti” afferma Stefano Valvason, direttore generale CONFAPI INDUSTRIA.

Per quanto riguarda i ruoli e le responsabilità per la gestione del rischio, bassissima è l’incidenza delle imprese intervistate che dedica una risorsa a tempo pieno ad attività di risk management: nella grande maggioranza dei casi il compito è assolto da una figura interna (il 96% per piccole aziende lombarde e l’86% per le medie) che ricopre altri ruoli come l’Amministratore Delegato (75% per le piccole e 50% per le medie) o il Direttore Finanziario nel caso delle medie imprese (35%).

Il report dell’Osservatorio è disponibile per il download all’indirizzo:

www.risk-governance.eu/rmpmi