di Angelo di Mattia

Ascoltate, il 30 maggio, le Considerazioni Finali del governatore della Banca d’Italia, avremo ora modo di assistere alla presentazione pubblica delle relazioni annuali di alcune authority – in particolare dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nonché dell’Ivass – a distanza di diverse settimane dalla relazione al mercato della Consob, tenuta agli inizi di maggio.

Questi appuntamenti si intrecceranno anche con la tradizionale Assemblea ordinaria dell’Abi nella quale intervengono il ministro dell’Economia – sarà la prima uscita ufficiale di Pier Carlo Padoan nel mondo bancario – e il governatore della Banca d’Italia. Intanto, proprio nell’ordinamento delle authority sono state proposte, in sede di riforma della pubblica amministrazione per la parte destinata alla delega, alcune isolate modifiche che riguardano limiti alla possibilità di essere nominati nel collegio di vertice di un’autorità dopo che si è svolto in precedenza un incarico della specie presso un’altra autorità, la gestione in comune, fra più autorità, di determinati servizi e specifiche norme sulle assunzioni di personale.

 

Si tratta, in sostanza, accanto alle misure mosse dall’intento di accrescere l’efficienza operativa, di un giusto divieto delle «porte girevoli», a cui si sarà pensato anche forti dell’esperienza fatta nell’ultimo governo Prodi quando proprio mentre si presentava una proposta riformatrice delle autorità contenenti anche il divieto di questi giri di valzer, contemporaneamente si decideva la nomina come commissario Antitrust di una persona che aveva da poco compiuto il periodo di permanenza nel collegio di vertice della Consob.

Ma, ovviamente, non è questa del divieto di indossare in tempi brevi nuove casacche la riforma delle autorità. Un intervento giusto, ma quasi manutentivo. In effetti, tra le diverse rivisitazioni che si stanno progettando non compare ancora, pur essendo essenziale, quella, vera, sostanziale, delle autorità di regolazione, controllo e garanzia. Nel contesto di una riforma istituzionale che prevede la radicale trasformazione del Senato così come è oggi, muovendo verso una struttura sostanzialmente, ancorché non anche formalmente, monocamerale, la presenza dei contrappesi, dati dagli organismi di garanzia in senso lato, è ancor più necessaria. Ma occorre che l’assetto di questi sia adeguato all’evoluzione intercorsa dopo anni, in alcuni casi lunghi, di attività. Della riforma delle authority – dopo il fallimento della Bicamerale presieduta da D’Alema che intendeva costituzionalizzarle con un’apposita norma – si parla sin dagli inizi del primo decennio 2000, quando fu promossa un’indagine parlamentare sulla situazione di questi soggetti, nella quale si sarebbe voluto comprendere anche la Banca d’Italia, che poi opportunamente venne espunta, non essendo essa una authority, bensì una banca centrale con funzioni anche di authority (cosa, dunque, diversa). Seguirono alcune proposte, alle quali però non fu dato un approdo legislativo.

L’argomento fu ripreso in occasione del dibattito sulla predisposizione della legge n.262 del 2005 per la tutela del risparmio, ma le soluzioni ipotizzate erano confuse, slegate da una visione organica, cosicché, alla fine, le modifiche riguardarono soltanto il coordinamento tra le autorità operanti nel comparto del credito e del risparmio e l’allocazione di qualche funzione comune.

 

Quella legge, densa di incongruenze, fu anche la sede della introduzione di nuove norme sulla governance della Banca d’Italia, promosse dall’allora ministro dell’economia in chiave conflittuale con l’Istituto; furono norme in cui l’intento ostile era chiaramente individuabile, anche perché poi portò, proprio per la mancanza della necessaria ponderazione e lucidità, a prevedere la illegittima nazionalizzazione dell’Istituto rimossa con la recente legge che ha rivalutato le quote della proprietà e introdotto alcune modifiche nel governo della stessa banca. Successivamente, nella legislatura iniziata nel 2006, fu proprio Enrico Letta il primo firmatario di un disegno di legge che riformava le Autorità in questione, accorpandole per finalità, definendo i rapporti con il governo e il Parlamento, fissando i criteri per la nomina nei rispettivi collegi di vertice, dettando vincoli e incompatibilità, distinguendo due livelli al riguardo, quello delle autorità propriamente dette e quello, di secondo grado, delle agenzie. Il disegno di legge, presentato al Senato, non fece però molta strada perché furono sollevate diverse obiezioni che riguardavano soprattutto la necessità di distinguere il ruolo e le responsabilità politiche del governo da quelle delle authority non ben chiarite nella proposta presentata. Mentre il disegno si arenava e cessava anticipatamente la legislatura, faceva progressi la definizione della nuova architettura europea, in materia di credito e risparmio, delle tre autorità per le banche (Eba), per i mercati (Esma), per le assicurazioni (Eiopa). Più di recente, poi, la Vigilanza bancaria ha subìto, come noto, una evoluzione con l’accentramento presso la Bce di quella sulle banche «europee», nel quadro del progetto di Unione bancaria. In Italia, invece, non sono stati più affrontati i temi del rapporto delle istituzioni in discorso con il governo e il Parlamento, ma si è compiuto un passo avanti nell’accorpamento di attribuzioni, sopprimendo l’Isvap e assegnando la maggior parte delle sue funzioni sulle imprese assicurative all’Ivass incardinato nella Banca d’Italia. Nel quadro della riforma della Pubblica amministrazione si è ipotizzato pure di ricondurre anche le funzioni della Covip, l’autorità di controllo sui fondi pensione, nell’alveo della Banca d’Italia, in modo da attribuire a quest’ultima, direttamente o indirettamente, l’intero controllo di stabilità in materia di credito e risparmio. Tuttavia, una decisione conclusiva non è stata ancora presa. Una distinzione per funzioni – finalità dovrebbe prevedere, appunto, la tutela da assegnare, per la stabilità, all’Istituto di Via Nazionale, per la trasparenza e correttezza alla Consob, per la concorrenza all’Antitrust, come in effetti è già ora. Ulteriori aggregazioni di competenze sarebbero, comunque, necessarie per realizzare un tale disegno. Ma anche altre Authority dovrebbero essere accorpate e, soprattutto, dovrebbe essere chiaramente definito il rapporto di tutte con il Governo e il Parlamento. Non penso, invece, che, come qualcuno ha proposto, si possa tornare indietro, riportando nelle amministrazioni pubbliche competenze esternalizzate nelle autorità. Si tratterebbe di un regresso, in antitesi allo stesso disegno riformatore della pubblica amministrazione che ora deve muovere verso il deflazionamento di compiti, la snellezza operativa, la maggiore efficienza ed efficacia.

 

Piuttosto, si dovrebbe tener presente l’architettura europea e creare un assetto nazionale che possa fare, per le diverse materie affrontate dalle altrettanto diverse Istituzioni della specie, da adeguato interfaccia. Infine, ma non per importanza, andrebbe definito il rapporto tra authority e organi della giurisdizione sia ordinaria, sia amministrativa. La recente, storica sentenza della Corte di Strasburgo sulla vicenda Exor, che ha sancito la confliggenza con il principio del «ne bis in idem» del concorso, in una stessa vicenda, di una sanzione amministrativa di un certo rilievo e di un successivo procedimento penale (nel caso, si trattava di manipolazione del mercato) finora non è stata oggetto dell’attenzione che meriterebbe, innanzitutto da parte del governo per le conseguenze che ne potrebbero derivare e che andrebbero adeguatamente prevenute facendo chiarezza su tali relazioni, al fine di definire lo spazio delle authority e quello della giurisdizione per evitare sovrapposizioni e duplicazioni. O si deve attendere una nuova bocciatura della Corte per decidere di studiare il caso e agire in sede legislativa, amministrativa e organizzativa? Non mi sembrerebbe saggio. Comunque, la materia delle autorità non può essere considerata secondaria. Se non altro per valutare la esperienza sinora fatta – essendo esse abbastanza giovani mentre quella più anziana, la Consob, che si avvia a un’età non avanzata, 40 anni – e per verificare ciò che conseguentemente vi è da modificare, pur senza schemi preconcetti. Insomma, la riforma, vera, delle authority dovrebbe essere finalmente posta all’ordine del giorno. Il disegno di legge delega, allora, potrebbe essere l’occasione per ampliare, in modo organico e coerente, la rivisitazione di queste istituzioni neutre di garanzia. (riproduzione riservata)