Eugenio Occorsio

D uecento miliardi di dollari di sanzioni comminate dalle autorità Usa fra il 2008 e oggi, metà a carico delle banche americane e metà di quelle europee. Che però hanno deciso di ribellarsi: il portabandiera è il presidente Hollande che accusa l’America di «misure che possono compromettere gli equilibri finanziari dell’intera eurozona». E non passa giorno senza che si registrino critiche, accuse e polemiche che coinvolgono – sia pure a titolo di “fonti interne” citate dal Financial Times – la Bce. Sembra che ogni occasione sia buona. Le autorità finanziarie dalla Sec alle agenzie che fanno capo al Tesoro – avevano già sparso a piene mani multe salate alle banche europee per l’antica vicenda dei subprime. Sembrava tornata la calma, invece negli ultimi mesi l’offensiva è ripartita in grande stile e le multe sono diventate multimiliardarie. Le motivazioni sono le più disparate. Il Credit Suisse in maggio si è dichiarato colpevole (mossa che presuppone un accordo fra avvocati) per aver aiutato un manipolo di ricconi americani ad evadere le tasse: 2,6 miliardi di dollari di multa. Una sanzione meno salata ma altrettanto controversa era toccata in precedenza all’altra svizzera Ubs, rea di aver lasciato che alcuni suoi dipendenti effettuassero operazioni in America senza essere registrati presso le autorità di controllo: omesso controllo, un reato grave negli Stati Uniti. Altrettanto omessi sarebbero stati i controlli della Hsbc, accusata

 

addirittura di aver fatto affari con i narcosmessicani e punita con 667 milioni di dollari. Poi si è aperta la valanga dello scandalo del Libor (le manipolazioni sul tasso interbancario) tuttora in corso: finora sono stati comminati 5,7 miliardi di dollari di multe ad una serie di banche europee a partire da Ubs (ancora) per 1,5 miliardi, Barclays (multa di 490 milioni di dollari) e Royal Bank of Scotland (612 milioni). La stessa Barclays ha subito una sanzione di 435 milioni di dollari per aver «manipolato il mercato elettrico» in California con operazioni su derivati. Ma dove gli americani sono impietosi è sui Paesi sotto embargo: chi fa affari con gli “Stati-canaglia”, dall’Iran alla Siria, dalla Libia alla North Korea, da Cuba al Sudan (dove la Casa Bianca sospetta che si celi la centrale di al-Qaeda), è punito senza sconti. Prima la britannica Standard Chartered ha pagato 1,9 miliardi e a nulla è valsa la spiegazione che è una banca ramificata nei Paesi in via di sviluppo (è per esempio la prima banca del mondo in Africa) e quindi è difficile controllare ogni operazione. Poi è toccato all’olandese Ing (619 milion), all’altra inglese Lloyd (350 milioni) e infine alla Bnp che si è vista comminare la raggelante sanzione di 10 miliardi di dollari per aver infranto l’embargo contro l’Iran. È stato il “movente” dell’accusa di Hollande di cui si diceva, a cui ha risposto subito Obama: è inviolabile l’indipendenza del sistema giudiziario. E il Department of Justice ha rincarato la dose minacciando di aggravare ancora la sanzione fino a 13 miliardi se la banca non si sbriga a pagare. La crisi che si è aperta fra le due sponde dell’Atlantico ricorda quella che quindici anni fa ebbe come protagonista, la Bnl (guarda caso ora confluita nel gruppo francese Bnp), quando si scoprì che tramite la filiale di Atlanta finanziava nientemeno che Saddam Hussein. La situazione è diversa, ma molti si chiedono il perché di tanta durezza. Precisa Brunello Rosa, capo delle macrostrategie al Roubini Global Economics: «Il maggior attivismo è dovuto alla logica pragmatica del sistema fiscale e sanzionatorio americano, che accertato il fatto illecito (a volte solo potenzialmente) procede rapidamente a comminare e riscuotere le sanzioni. In Europa il processo di scoperta del malfatto e della sanzione sono molto più lunghi ». È pur vero che non sono mancate le multe alle banche americane per i misfatti compiuti all’epoca del boom immobiliare: «Sembra che le autorità Usa – spiega Rosa vogliano rispondere all’accusa loro spesso rivolta di aver solo salvato le banche e non le famiglie, le imprese e il lavoro. Queste sanzioni a risarcimento di comportamenti illeciti sarebbero la dimostrazione che le iniezioni di liquidità dalle banche centrali sono servite sì a evitare situazioni di dissesto degli istituti, le cui prime vittime sarebbero le famiglie e le imprese, ma che i comportamenti illeciti vengono puniti. La parte ancora mancante di queste sanzioni è semmai quella della responsabilità penale personale: alla fine a pagare è la persona giuridica banca, che poi tende a rivalersi sulle persone fisiche depositanti e azionisti». Anche Salvatore Cantale, docente di finanza all’Imd di Losanna, ha dei dubbi procedurali: «Tutti i casi vengono risolti in via extragiudiziale, ma a questo punto sarebbe il caso di tenere un vero e proprio processo verso qualcuna di queste banche, dal quale far emergere in modo pubblico e trasparente le decisioni degli istituti, il modo con cui vengono prese, le motivazioni americane contro di esse». Ma quali possibilità esistono che, per esempio nel caso Bnp, si arrivi a questo? «Temo non molte. Se non altro perché un processo sarebbe costosissimo per tutti, a partire dalle banche che dovrebbero pagare stuoli di avvocati superspecializzati. E’ forse per questo che casi sempre più macroscopici vengono risolti nel silenzio delle salette riunioni senza nessun beneficio per l’accertamento della verità».