Giovanni Pons

 [ L’ACCUSA ] P er la prima volta nella sua storia quarantennale la Consob, istituita con la legge 216 del 7 giugno 1974, è entrata nel mirino della magistratura. La sua reputazione di autorità amministrativa indipendente è oggi messa seriamente in discussione dalla deposizione al pm di Milano Luigi Orsi, di un ex commissario, Michele Pezzinga, nella quale si ricostruiscono per filo e per segno i passaggi e l’iter che hanno condotto all’approvazione della tormentata fusione a quattro tra Unipol Assicurazioni, Fonsai, Premafin e Milano Assicurazioni. L’accusa sostanziale che Pezzinga muove al presidente Giuseppe Vegas e al suo fidato braccio destro Gaetano Caputi, direttore generale della Consob, è quella di aver fin dall’inizio dell’operazione agito per il buon esito finale della stessa, omettendo di evidenziare gli aspetti critici.

[ L’ACCUSA ] UNA GESTIONE NATA TRA I CONTRASTI ALL’INTERNO DEL GOVERNO BERLUSCONI E CONDOTTA CON DUE PESI E DUE MISURE: RICHIESTO SEMPRE IL RISPETTO DELLE REGOLE NEL CASO DI GRUPPI STRANIERI COME LACTALIS E GROUPAMA; SVISTE E MAGLIE LARGHE QUANDO SI GIOCA “IN FAMIGLIA’ PER GARANTIRE L’INTERESSE NAZIONALE Segue dalla prima A spetti che erano insiti nel bilancio della Unipol, la società aggregante, arrivando così ad avallare dei termini di concambio che non rispettano i corretti “pesi” delle forze in campo. L’ultimo strappo si è consumato il 13 dicembre 2013, a soli due giorni dalla scadenza del mandato

di Pezzinga, quando la Commissione composta da soli tre membri si è trovata a dover deliberare il via libera finale all’operazione UnipolSai, dovendo scegliere tra due opposte relazioni elaborate dagli uffici interni e frutto di una feroce spaccatura e diversità di vedute che si è consumata nei tre anni di presidenza Vegas. La delibera presa con il voto contrario di Pezzinga, l’astensione di Paolo Troiano (motivata con l’impossibilità di valutare la montagna di carte arrivata solo nelle ultime ore ai commissari) e il voto favorevole del presidente che vale doppio in caso di stallo, dà la misura del laceramento dell’istituzione che per legge ha il compito istituzionale di vigilare sui mercati. Ora toccherà al governo di Matteo Renzi cercare di riportare la Consob sui binari che le competono, non solo nominando il sostituto di Pezzinga (il colpevole ritardo del governo ha ridotto la Commissione ad organo monocratico) ma cercando di restituire all’istituzione la credibilità e l’autorevolezza che sono andate assottigliandosi negli ultimi undici anni. Cioè da quando Lamberto Cardia (2003-2010) è salito alla presidenza spinto dal governo Berlusconi e succedendo in ordine temporale a due personaggi del calibro di Luigi Spaventa (1998-2003) e Tommaso Padoa Schioppa (1997-1998), indicati sotto il governo Prodi. I sette anni di mandato di Cardia si possono infatti leggere sotto diverse angolature. Se da una parte la Consob da lui guidata ha contribuito a far emergere il clamoroso “buco” della Parmalat sul finire del 2003 e a fermare, insieme alla magistratura, i famigerati “furbetti del quartierino” nella calda estate del 2005, la sua condotta è stata messa in discussione dall’eccessiva vicinanza alla famiglia Ligresti e dal conflitto di interessi emerso più volte a causa delle consulenze alle principali società quotate del figlio Marco Cardia. Esperto conoscitore della macchina dello Stato, avendo ricoperto nel corso della sua carriera i ruoli di capo di gabinetto, sottosegretario e segretario del Consiglio dei ministri per conto di diversi governi, Lamberto Cardia è poi riuscito a farsi prolungare il mandato alla presidenza Consob da cinque a sette anni. Da giugno a dicembre 2010 la Consob rimase senza presidente poiché le divergenze sorte all’interno del governo Berlusconi non permettevano di trovare una soluzione. Ma in quei cinque mesi, con i soli tre commissari Vittorio Conti, Luigi Enriques e Michele Pezzinga, la Consob ha girato come mai prima. La cinghia di trasmissione e il dialogo tra Commissione e struttura hanno funzionato a meraviglia. Ed è proprio in quell’ottobre 2010 che si cominciano a puntare gli occhi sul gruppo Ligresti e in particolare sulla Premafin, il cui valore di Borsa rimaneva inchiodato nonostante la sua principale controllata Fondiaria scendesse in picchiata. È da lì che è iniziata l’inchiesta interna della Consob sulla galassia Ligresti poi sfociata nei clamorosi fatti del 2012 e 2013. Pur in ritardo, nel dicembre 2010 il ministro dell’Economia Giulio Tremonti riesce a far prevalere la sua voce sullo storico nemico Gianni Letta e così dal ministero viene catapultato al vertice dell’organismo di vigilanza dei mercati Giuseppe Vegas, deputato, più volte sottosegretario dei governi di centrodestra e dal 2008 viceministro all’Economia. Il suo obbiettivo primario, già nei primi mesi, diventa quello di esautorare la macchina operativa della Consob infarcita di uomini fedeli alla precedente gestione. I risultati non tardano ad arrivare: per la prima volta nella sua storia il 10 febbraio 2011 il personale della Consob entra in sciopero “Contro il commissariamento della Consob e l’invadenza della politica”, citano i volantini delle tre sigle che hanno interrotto le relazioni sindacali. Vegas non se ne preoccupa più di tanto e prosegue nel suo disegno di farsi affiancare da persone di sua fiducia, mortificando la struttura interna. Dall’ufficio legislativo del ministero dell’Economia arriva così Gaetano Caputi, prima come segretario generale di un ufficio creato ad hoc e poi come direttore generale quando Antonio Rosati va in pensione. Fin da subito si capisce che Vegas vuole far svolgere alla Consob un ruolo più politico che tecnico, di supporto alla linea di politica economica indicata dal governo Berlusconi, mettendo in secondo piano la caratteristica fondamentale dell’indipendenza. I suoi primi discorsi da presidente indicano come obbiettivi da perseguire quelli di «convincere le aziende a quotarsi a Piazza Affari» e «fare in modo che il risparmio italiano non trasmigri fuori dei confini nazionali». Il primo banco di prova importante della Commissione trova casualmente d’accordo sia il neo presidente che gli altri commissari dando il segno di una svolta: ai francesi di Groupama viene imposta l’Opa su Premafin. In un sol colpo si difendono gli interessi italiani e si mette fine allo strapotere dei Ligresti. Ma purtroppo sarà l’unico segnale di compattezza in tre anni di gestione. Vista dall’esterno, l’azione di Vegas sembra più ispirata da criteri naziona-listici che dall’analisi tecnica delle operazioni. Lo si percepisce quando la Consob si scaglia contro i francesi di Lactalis, colpevoli di aver conquistato la Parmalat sotto gli occhi di Tremonti, seppur con l’Opa. Oppure quando mette il fiato sul collo alla Fiat che non investe in Italia o quando si scaglia contro il fondo Blackrock che “dimentica” di comunicare le partecipazioni al vigilante italiano. Stellette cucite sulla giacca che cercano di far dimenticare la clamorosa svista su Mps: in quel frangente la Consob ignora un esposto che denuncia con un anno e mezzo di anticipo le spericolate operazioni finanziarie in quel di Siena. Però è a fianco del “sistema” quando si tratta di far confluire la Fonsai nelle braccia dell’Unipol sotto la regia di Mediobanca e Unicredit. Le indicazioni fornite in prima persona ad Alberto Nagel sono classificate nella voce “moral suasion” mentre i suoi uomini scatenano una guerra intestina con la struttura interna deputata ad analizzare le criticità del bilancio Unipol. Alla fine dell’aspra battaglia Mediobanca e Unicredit salvano i loro bilanci, i risparmiatori con titoli Fonsai e Unipol vengono lasciati sul lastrico, le banche d’affari internazionali si riempiono di commissioni e gli investitori istituzionali esteri che entrano con gli aumenti di capitale festeggiano la discesa dello spread e la ripresa del titolo. La UnipolSai diventa il secondo gruppo assicurativo in mano alle Cooperative ma se i rapporti di concambio sono falsati qualcuno ne dovrà rispondere. Di diverso tenore il giudizio sul proprio operato che Vegas tratteggia in un’intervista a La Stampa quando scoppia la bufera: «La vigilanza è importantissima, ma il fine ultimo di questa Authority, come delle altre, è far sì che ci sia un po’ di sviluppo nel Paese. Io non direi che ci sia stata una difesa di sistema, intesa come interessi consolidati di alcune imprese; tant’è vero che l’attività di Consob sta contribuendo a scardinare il cosiddetto salotto buono. Al contrario, abbiamo difeso gli interessi dei risparmiatori, e se vuole anche degli assicurati e dei dipendenti delle compagnie ». Ma ora la parola passa al governo e alla magistratura.