di Lucio Sironi

Serve la consulenza in materia previdenziale? È la domanda che si è posto Gianemilio Osculati, da un anno alla guida del settore wealth management di Intesa Sanpaolo, ragionando sull’emergenza pensioni che sta montando in Italia in un’intervista a Class Cnbc, la tv di Class Editori (che pubblica MF-Milano Finanza). Di fronte all’avanzare, nei fatti e nella percezione dei cittadini, dell’idea che lo Stato dovrà ridurre le prestazioni, Osculati ha rimarcato che oggi la previdenza integrativa in Italia è un mondo complesso. Forse troppo, se richiede consulenza per affrontarlo. Aggiungendo che quando per un tema così centrale serve un consulente, significa che la legge non è chiara e va dunque semplificata affinché sia subito comprensibile a tutti qual è la situazione relativa al proprio futuro: «La previdenza pubblica mi informi di quale pensione avrò», ha detto Osculati, «e poi io, come privato cittadino, provvederò a sistemare la mia posizione». Spazio al fai-da-te, insomma. Ma è da verificare che, anche una volta adottate le semplificazioni che Osculati richiede, la questione si possa considerare risolta. Intanto perché il tema previdenziale è oggettivamente complicato per i tanti che non possono o vogliono occuparsi della questione in prima persona. Giusto muoversi per fare in modo che le informazioni giungano all’interessato: il lavoratore che si sente preparato quanto basta e che vuol fare da sé deve poter essere in grado di prendere decisioni in prima persona, assumendosi la relativa responsabilità. Ma il deficit culturale in materia finanziaria degli italiani è un primo e serio ostacolo che si incontra su questo percorso, inutile ignorarlo. Inoltre non è così scontato che un lavoratore capace di destreggiarsi con stime del tenore di vita, calcolo del montante e tassi di sostituzione, sia anche abile nel definire in completa solitudine un piano di investimenti adatto per costruirsi una pensione integrativa. Chi lo affianca in queste scelte fa per l’appunto consulenza, come lo farebbe al di fuori di un piano previdenziale, per un più ordinario programma d’investimento.

Quello che davvero manca e che invece sarebbe utile ci fosse, sul fronte pensionistico, è l’informazione, in concreto quei numeri che l’ente previdenziale pubblico dovrebbe fornire per consentire a chiunque, come suggerisce Osculati, di capire quanta parte del suo attuale reddito (potendo) deve destinare a un’integrazione. Ma in uno scenario in evoluzione come l’attuale, in cui tante variabili stanno cambiando, l’operazione non è semplice. Sta cambiando la durata media della vita, i redditi schiacciati dalla crisi, il tenore di vita che si vuole mantenere (anche qui le aspettative sono in ribasso), la sostenibilità del welfare e dei conti dello Stato. Trasformazioni di fronte alle quali l’Inps si guarda bene dallo sbilanciarsi, fornendo numeri che avrebbero un’alta probabilità di essere smentiti dai fatti. Con tutti questi punti interrogativi, il lavoratore dovrà lavorare su soluzioni di sicurezza, che pur non coincidendo con il peggiore degli scenari, raffigurino tuttavia un’ipotesi molto prudenziale.

Detto tutto ciò, siamo davvero sicuri che sia così semplice ridurre i temi previdenziali alla portata di tutti? Pur dopo aver semplificato il più possibile normative e differenti regimi che oggi disciplinano le previdenza, a seconda delle categorie di lavoratori e della loro età, le situazioni da affrontare restano sufficientemente impegnative da suggerire di non affrontarle se non dopo aver ben studiato e messo a fuoco le problematiche. Non è un caso dunque che professionisti specializzati trattino tali questioni per conto dei loro clienti.