di Andrea Di Biase

Il nuovo piano strategico di Mediobanca, che oggi sarà presentato alla comunità finanziaria, rappresenterà davvero una svolta storica per l’istituto fondato nel 1946 da Enrico Cuccia? Le indiscrezioni trapelate nella giornata di ieri, dopo la riunione del consiglio di amministrazione che ha approvato all’unanimità il piano messo a punto dall’ad Alberto Nagel, poco aggiungono a quanto anticipato dalla stampa nei giorni scorsi. «Più banca d’affari, con una spiccata propensione internazionale, e sempre meno holding di partecipazioni».

Questo il ritornello che da qualche settimana si ascolta nei dintorni di Piazzetta Cuccia e che lascia intravedere un ulteriore irrobustimento della presenza estera della banca d’affari e una progressiva dismissione degli investimenti strategici, a partire da quelli in Telco-Telecom Italia e in Rcs MediaGroup, ma anche delle cosiddette partecipazioni stabili in Pirelli, Gemina e Italmobiliare, insomma quello che ancora rimane della vecchia Galassia del Nord, costruita negli anni da Cuccia e dal suo delfino Vincenzo Maranghi.

 Il punto cruciale del piano riguarderà tuttavia le possibili evoluzioni del rapporto traMediobanca e le Generali, di cui la banca d’affari è tuttora il principale azionista con il 13,2%, pur all’interno di una coalizione informale con un gruppo di investitori privati (Del Vecchio, De Agostini e Caltagirone) che assieme detengono una quota vicina al 10%.

Dalle indiscrezioni trapelate finora sembra infatti che, a differenza delle altre partecipazioni di Mediobanca, quella nelle Generali, pur alleggerita di qualche punto, continuerà comunque a rimanere a lungo nel portafoglio della banca d’affari. Le regole di Basilea 3, che entreranno in vigore nel gennaio 2014, seppure in modo graduale, prevedono infatti che le partecipazioni detenute dalle banche nelle compagnie di assicurazioni, se superiori al 10% del common equity (che per Mediobanca equivarrà di fatto all’attuale Core Tier 1), vadano dedotte per la quota eccedente. Attualmente il valore di carico del 13,15% della compagnia triestina nel bilancio di Piazzetta Cuccia è di 1,09 miliardi, mentre il Core Tier 1, calcolato secondo le regole di Basilea 2, era di 6,5 miliardi al 31 marzo scorso. A quella data, dunque, la quota nelle Generalipesava circa il 16,7% del Core Tier 1. Se non dovesse cambiare nulla di qui a fine anno, a partire dal 2014 Mediobanca sarà dunque chiamata a dedurre dal common equity quel 6,7% che eccede la soglia del 10%. Ma questo avverrà in misura graduale fino a quando Basilea 3 non entrerà a pieno regime nel 2018. Nel primo anno di applicazione, ad esempio, la deduzione avverrà in misura del 20% della quota eccedente. Quindi, supponendo che alla fine del 2013 la partecipazione nelle Generalicontinui a pesare il 16,7% del common equity di Mediobanca, quest’ultima, al momento di calcolare il common equity ratio (il rapporto tra capitale di base e attività ponderate per il rischio – Rwa), dovrà dedurre dal patrimonio solo 87 milioni, con un impatto dunque sui ratio patrimoniali (dando per scontato che gli Rwa rimangano quelli attuali) dello 0,13%. Il common equity ratio si attesterebbe dunque all’11,87%, non lontano dall’attuale 12%. Inoltre, sempre ipotizzando che capitale, Rwa e partecipazione in Generali rimangano sugli attuali livelli, l’impatto non dovrebbe essere pesantissimo nemmeno nel 2018. Il common equity ratio scenderebbe infatti all’11,2%. Una soglia ancora di tutto rispetto che non metterebbe Mediobanca di fronte alla necessità di procedere a una ricapitalizzazione.

Nonostante tutto Nagel, anche con il consenso del consiglio della banca, avrebbe deciso di ridurre progressivamente la partecipazione nelle Generali portandola dall’attuale 13,2% nell’intorno del 10%. Ma qual è la ragione di un alleggerimento così importante della quota nel Leone visto che, nel caso la partecipazione dovesse rimanere sugli attuali livelli, le regole di Basilea 3 non metterebbero comunqueMediobanca con le spalle al muro? Secondo quanto appreso in ambienti vicini al cda, Nagel avrebbe motivato questa svolta strategica con la necessità di liberare progressivamente capitale da investire nel business bancario. Agli attuali valori di mercato un 3% delle Generali vale circa 650 milioni, ma l’aspettativa è che nel medio termine, anche grazie alla strategia di focalizzazione sul core business assicurativo impostata a Trieste da Mario Greco, il titolo del Leone possa recuperare gran parte del valore perso negli ultimi anni.

Ma la necessità di recuperare risorse da investire nell’attività bancaria non è l’unica motivazione della svolta di Mediobanca sulle Generali. La discesa attorno al 10% consentirebbe infatti alla banca d’affari di continuare a contabilizzare la partecipazione al patrimonio netto, riuscendo in questo modo a stabilizzare il conto economico recependo pro-quota i risultati del gruppo assicurativo. Allo stesso tempo però a un tale livello di partecipazione e con ormai un solo rappresentante della banca nel consiglio di amministrazione del Leone accanto ai rappresentanti dei soci privati, diventerebbe più difficile sostenere quella tesi del controllo di fatto della banca d’affari sulle Generali, che negli ultimi dieci anni ha rappresentato l’architrave delle principali decisioni prese dall’Antitrust in materia di concentrazioni bancarie e assicurative. Basterà? In passato la Mediobanca Cuccia e la Lazard di André Meyer erano riuscite a consolidare la propria influenza sulla compagnia triestina proprio con una quota del 10%. Ma erano i tempi d’oro del capitalismo di relazione. Da oggi vedremo se inMediobanca sono definitivamente archiviati. (riproduzione riservata)