di Andrea Di Biase

«Non ho mai concepito Mediobanca come una banca di sistema. Le banche non devono essere azioniste stabili di realtà industriali e, se lo fanno, lo devono fare solo temporaneamente, visto che ormai detenere partecipazioni non è più un business profittevole».

Se a queste parole, pronunciate da Alberto Nagel nel corso della presentazione del piano strategico al 2016, seguiranno i fatti, l’attuale amministratore delegato di Mediobanca avrà chiuso definitivamente una pagina di storia: quella della banca fondata nel 1946 da Enrico Cuccia, che proprio sull’assunzione di partecipazioni stabili e gli incroci azionari con i gruppi clienti aveva fondato il proprio modello di business. Oggi, in tempi di mercati globalizzati, con un quadro normativo che penalizza le banche con eccessiva esposizione all’equity, la strategia che si impone è diametralmente opposta a quella impostata nel secondo dopoguerra da Cuccia e interpreta successivamente da Vincenzo Maranghi. Ma stando alle parole di Nagel non c’è solo il contesto, di mercato e normativo, ad aver spinto Mediobanca a cambiare pelle.

 

La decisione di ridurre dal 13,2 al 10% la partecipazione nelle Generali, ad esempio, non è legata (come anticipato da MF-Milano Finanza venerdì 21) all’introduzione di Basilea 3 ma alla volontà di liberare capitale da investire nell’attività bancaria e di rendere meno intenso lo storico legame partecipativo che negli anni passati aveva fatto di Mediobanca il vero dominus di ciò che accadeva a Trieste.

La partecipazione nel Leone, ridotta al 10%, rimarrà comunque in portafoglio a Piazzetta Cuccia, che continuerà a consolidarla a patrimonio netto nella speranza di poter registrare nei propri conti i risultati che l’ad delle Generali, Mario Greco, ha indicato nel corso dell’investor day dello scorso gennaio. Tutte le altre partecipazioni, comprese quelle in Rcs e Telco-Telecom Italia, saranno invece trasferite tra i titoli disponibili per le vendita e il loro valore adeguato a quello di mercato già entro la fine dell’esercizio al 30 giugno 2013.
Questo avrà un costo di circa 400 milioni, che sarà interamente spesato in questo esercizio, che dovrebbe pertanto chiudere con un rosso di circa 200 milioni (anche se non è escluso il dividendo). Dopo quest’ultima pulizia di bilancio, le partecipazioni disponibili per la vendita, compreso il 3% del Leone, ammonteranno a circa 1,5 miliardi e saranno cedute di qui al 2016 nell’ottica di concentrarsi sul business bancario, sia quello del corporate & investment banking, che vedrà un ulteriore rafforzamento della presenza estera della banca (dopo Francia, Spagna e Germania, si guarda ora a Turchia, Cina e Messico), sia nel consumer & retail banking, dove ci sarà una maggiore integrazione (pur senza arrivare alla fusione) tra Compass e CheBanca. Grazie a questa strategia Mediobanca intende crescere a un tasso medio annuo del 10% in termini di ricavi del comparto bancario, che nel 2016 dovrebbero attestarsi a 2,1 miliardi. Circa la metà dovrebbe arrivare dalle attività dedicate alla clientela corporate, con un incidenza dell’estero di circa il 45% del totale. Il tutto senza considerare la piattaforma di alternative asset management che sarà lanciata a Londra e il cui contributo ai ricavi del gruppo non è stimato nei target al 2016. L’altra metà dei proventi bancari arriverà invece dalle attività rivolte alla clientela retail. Confermata anche la solidità patrimoniale. Il Core Tier 1 è indicato stabile tra l’11 e il 12%, anche in ottica Basilea 3, e con un payout fissato al 40%. Finanziamenti a imprese e famiglie torneranno a crescere del 5% medio annuo e raccolta e impieghi di tesoreria raggiungeranno i livelli pre-crisi.

La svolta rappresentata dal nuovo piano di Mediobanca non è stata accolta calorosamente dal mercato, tutt’altro. Complici anche i rialzi delle settimane scorse, nella seduta di venerdì il titolo di Piazzetta Cuccia ha perso circa il 9%. Tonfo che però sul mercato alcuni spiegano con l’eccessiva prudenza con cui sarebbero state fatte scelte strategiche. Alcuni operatori si attendevano una riduzione più consistente nella quota Generali, altri sono rimasti delusi dalla politica sugli accantonamenti (150 punti su un attesa di 130), altri ancora si aspettavano un approccio più aggressivo su altri business, come il private banking, che verrà semplicemente accorpato alla divisione Cib. Nagel non si è comunque mostrato preoccupato dalla performance del titolo in borsa, invitando a lasciar digerire i numeri del piano agli analisti. Inoltre, secondo l’ad di Mediobanca, il forte ribasso di venerdì si spiega anche con il fatto che il titolo aveva «molto sovraperformato» nelle ultime due settimane. «C’è stata una reazione sell-on-news e buy-on-expectations», ovvero di vendere sulle notizie dopo aver comprato sulle attese. (riproduzione riservata)