Massimo Giannini

Se le promesse di Alberto Nagel sono sincere, per la finanza italiana si avvicina un terremoto ad altissimo impatto. Dopo le Generali di Mario Greco, anche Mediobanca si prepara a rompere tutti i vincoli che da decenni blindano il controllo delle poche, magnifiche prede rimaste nel perimetro della vecchia Galassia del Nord. Telco e Rcs in testa. Ma poi anche Pirelli. Il nuovo slogan dei manager che un tempo amministrarono con ben altre logiche i cosiddetti Poteri Forti è sulla carta rivoluzionario: non esistono più quote «strategiche». Esiste solo il core business, in nome del quale tutto il resto (favori da fare o rancori da sfogare) diventa sacrificabile. Vedremo se alle parole corrisponderanno anche i fatti. Nel frattempo la svolta suggerisce una doppia riflessione. La prima riflessione è di natura culturale. La criticità della recessione, e la modernità della globalizzazione, hanno finito per travolgere anche il piccolo mondo antico della finanza tricolore. Più che un’epoca, finisce un’era geologica. Quella del logoro e anti-storico capitalismo di relazione, «a suffragio ristretto», concepito nei Salotti Buoni e costruito sui conflitti di interesse e i patti di sindacato, le partecipazioni incrociate e le scatole cinesi. Il Sistema va in pezzi, non regge più. Sarebbe patetico, oltre che inutile, illudersi di poterlo salvare con le logiche di una volta, che hanno creato le premesse per i disastri attuali. Ed è significativo che a prenderne atto siano proprio gli eredi di Enrico

Cuccia a Mediobanca, che di quel Sistema è stata per mezzo secolo il cuore e la testa. L’Ircocervo voluto e allevato dal banchieresimbolo del catoblepismo si avvia verso l’estinzione. Ed è un bene che sia così. La seconda riflessione è di natura fattuale. Sciogliere i patti Telco, Rcs e Pirelli, come annunciato da Nagel, è un’opera meritoria. Ma è anche la certificazione di un triplice fallimento. Ciascuna di queste cassaforti non è servita a custodire valore, ma semmai a dissiparlo. Telco doveva salvare Telecom, dopo l’Opa oscura dei capitani coraggiosi e l’opaca gestione tronchettiana, mentre oggi il colosso delle tlc (affidato a un Bernabè senza più santi in paradiso) vaga con 29 miliardi di debiti. Rcs doveva riunire la crema del business milanese, coniugando la sana gestione della libera stampa e i valori civici della «capitale morale», mentre oggi è un groviglio di risentimenti (da Della Valle agli Agnelli) e un garbuglio di perdite (330 milioni nel 2012). Pirelli doveva essere un laboratorio di innovazione, mentre oggi, dopo innumerevoli stop and go nelle scelte strategiche, si ritrova squassata dalla faida tra Tronchetti e i Malacalza. Guido Carli avrebbe parlato di «povertà spirituali di un’Italia ricca». Il guaio è che questo capitalismo è povero in spirito, ma anche in portafoglio. m.giannini@repubblica.it