Giurisprudenza

Autore: Massimo Caifa
ASSINEWS 243: giugno 2013

Il crescente interesse per il complesso mondo dei veicoli e del  collezionismo “d’epoca”, nei suoi poliedrici aspetti (mostre, associazioni, raduni, rievocazioni di gare del passato come la Mille  Miglia, competizioni, etc.) costituisce un affascinante fenomeno  culturale, ampiamente radicatosi negli ultimi 30 anni, anche nei  nostri confini, pur rinvenendosi precedenti più datati, riconducibili ad ambiti ristretti (il collezionista Giorgio Franchetti già negli  anni ‘50 aveva curato una importante collezione di automobili).
Tanto si spiega per la naturale italica propensione per il bello, il prestigio delle nostre case costruttrici, le tecnologie di avanguardia dei nostri progettisti, le linee di eleganza delle carrozzerie nazionali (ad es. Touring, Zagato, Bertone, Pininfarina), la superiorità dei risultati in sede agonistica (Ferrari, Maserati, Osca, etc.) e per le moto (Gilera, MV, Mondial, Ducati, etc).
In Italia, il collezionismo è stato favorito dalla presenza di musei di importanza internazionale (Biscaretti di Torino, Bonfanti di Romano d’Ezzelino, Nicolis di Villafranca di Verona, Militare della Cecchignola, Piaggio in Pontedera), concorsi di eleganza (Villa d’Este già dal 1929), collezioni (Fiat – Torino, Mario Righini in Anzola Emilia) e dalla nascita di club, anche di marchi storici (ad es. Bugatti, MG, Jaguar).
Sulla stessa linea si è sviluppata una vasta bibliografia nei vari  settori del collezionismo (editore Lea, Gilena, Nada, etc.) e la  diffusione di riviste specializzate: in pratica, oggi, per quasi tutti  i marchi automobilistici delle vetture costruite in Italia (che sono  circa 600 comprendendo, per la metà, piccoli costruttori e artigiani) e delle moto, vi sono profili storici individuali con manuali,  caratteristiche ed operazioni per il restauro e, per i veicoli da  competizione, con i risultati delle varie gare, il tutto in una eccellenza di informazione che ha allargato notevolmente il parterre  degli appassionati ed un forte pubblico di riferimento, coinvolto  dall’ampia gamma dei prezzi.
Il “mondo” dei veicoli d’epoca, al di là dell’orgoglio nazionale  giustamente rivendicato, costituisce, oltre agli aspetti tecnici, uno  scenario estetico e culturale che si  rapporta al fenomeno dell’automobilismo industriale e commerciale  come la poesia si rapporta alla prosa: andrebbe ulteriormente agevolato dal Legislatore e meglio interpretato dalla giurisprudenza che ha  affrontato il problema, ritenendo,  al contrario, il collezionismo un fenomeno di élite, individuando nella  proprietà e nella particolare manutenzione da parte del proprietario  una presunzione di capacità contribuiva (Cass. Civ. sez. V 22.1.2007  n. 1294) laddove – come è notorio  – l’interesse si è allargato anche ai  ceti medi. Il legislatore, nel contempo, con la normativa introdotta  con il D.L. n. 78/2010 convertito  nella legge 122/2010 ha consentito  all’Agenzia dell’Entrate di stabilire  i criteri per la individuazione della  capacità contributiva dei cittadini  ad onta del fatto che lo stesso codice della strada, agli artt. 59 e 60,  qualifica i veicoli d’epoca “atipici”  che non possono, quindi, rientrare  nei parametri di costo annuale previsti per i veicoli ordinari in quanto  non sono, totalmente o nella quasi totalità, oggetto di uso quotidiano, percorrono poche centinaia di chilometri all’anno nel solo caso di partecipazione a manifestazioni consentite con costi di esercizio (pneumatici, carburanti, etc) ridotti.

Classificazione
Lo scambio e le vendite delle auto e delle moto d’epoca (nelle quali, per unità di trattazione, includiamo anche le auto e le moto storiche), ormai, hanno assunto contenuti economici rilevanti con spazi e settori specializzati talmente ampi (contrattazione tra privati, appositi siti rinvenibili nelle mostre di esposizioni ed internet) che hanno captato necessariamente gli interessi del legislatore, costretto a disciplinare il fenomeno, prevedendolo nel codice della strada agli artt. 60 e 215 del regolamento (limitatamente all’Asi – Automotoclub storico, FMI –  Federazione motociclistica italiana ed ai marchi sto- rici italiani Alfa Romeo, Fiat, Lancia) e con speciali disposizioni e facilitazioni per i proprietari di tali veicoli (bollo, assicurazione, etc.).
Precisiamo che le auto (e le moto) d’epoca sono quei veicoli cancellati dal PRA e non adeguati, per requisiti ed equipaggiamenti, all’immissione nella circolazione e non sono, quindi, reimmatricolabili, destinati esclusivamente alla loro conservazione in musei o appositi locali pubblici e privati ai fini della salvaguardia delle originarie caratteristiche tecniche e di conservazione del nostro patrimonio culturale.
La loro circolazione può essere consentita, in via eccezionale, in manifestazioni e nell’ambito degli itinerari previsti, previa una particolare autorizzazione rilasciata con foglio di via e targa provvisoria  dal competente ufficio del dipartimento per il trasporto terrestre nella cui circoscrizione è compresa  la località sede della manifestazione (un utilizzo  prolungato nel tempo, a causa dell’usura che ne  deriva, potrebbe obbligare il proprietario ad introdurre modifiche che allontanano la situazione di  origine dalla condizione storicamente corretta).
I veicoli di interesse storico
sono quelli collegati a importanti eventi o perché appartenenti a personaggi famosi (ad esempio: l’Itala 34-45 HP del Principe Borghese nel raid Pechino – Parigi del 1907, la moto Guzzi Gran Premio Reale ‘34 del leggendario pilota Omobono Tenni). La qualifica, ovviamente,  riguarda il singolo esemplare.
I veicoli di interesse collezionistico, invece, sono quelli che, indipendentemente dal valore venale,  possono essere oggetto di desiderio di collezione per svariati motivi sempre che siano in condizione di manutenzione quantomeno scrupolosa e – si ripete – aperta ad una platea di appassionati non necessariamente facoltosi (anche studenti, meccanici, etc).
Per essere considerati di interesse storico o collezionistico in Italia (perché in ogni Nazione vigono diverse disposizioni), i veicoli devono conservare  le caratteristiche originarie di fabbricazione, salvo eventuali modifiche imposte da adeguamenti per la circolazione, devono essere costruiti da almeno  venti anni ed iscritti in uno dei richiamati registri  mentre, raggiunti i trenta anni di età – se non utilizzati ad uso professionale – sono esenti dal pagamento della tassa di proprietà (art. 63 della legge 342/2000) con possibilità, nella ipotesi di circolazione, di pagare un importo forfetario annuo.
I veicoli di interesse storico o collezionistico, possono circolare sulle strade purché posseggano i requisiti previsti dalla legge e siano assicurati per la  responsabilità civile.
Gli appassionati, in più occasioni hanno manifestato l’auspicio di una libera circolazione di tali veicoli nei centri storici anche perché la scarsa diffusione  degli stessi non provocherebbe alcun intralcio o inquinamento, mentre il passaggio costituirebbe una nota di eleganza, di sicuro interesse (all’uopo, si attende un intervento del legislatore).
La Suprema Corte III sez. civ. n.15478 del 14.7.2011  ha ritenuto che “… in caso di incidente stradale provocato dal titolare di un autofficina cui era  stata affidata una vettura d’epoca priva di assicurazione e di bollo di circolazione – ad integrare la  prova liberatoria della presunzione di colpa stabilita dall’art. 2054 III comma c.c. – non è sufficiente  la dimostrazione che la circolazione del veicolo sia  avvenuta senza il consenso del proprietario ma è al  contrario necessario che detta circolazione sia avvenuta contro la sua volontà, la quale deve estrinsecarsi in un concreto ed idoneo comportamento  ostativo, specificamente inteso a vietare ed impedire la circolazione del veicolo mediante l’adozione  di cautele tali che la volontà del proprietario non  possa risultare superata”. In effetti, la Suprema Corte con la sentenza in oggetto ha definitivamente differenziato il concetto di  circolazione “invito domino” (senza il consenso del  proprietario) e “prohibente domino” (contro la volontà dello stesso).

Fonte legislativa  
Specificamente in ordine alla problematica “della vendita” in genere e della tutela per le garanzie degli acquirenti in un mercato crescente che si svolge in organizzazioni imprenditoriali, non sempre  facilmente controllabili, i giuristi, preliminarmente,  devono affrontare – seppur nel generale ed imprescindibile concetto della compravendita come inquadrato dal legislatore nell’art. 1470 c.ce degli obblighi del venditore di cui all’art. 1476 c.c. – il problema delle normative applicabili: se le norme codicistiche specifiche (artt.1490 – 1495 c.c.) e/o la disciplina contemplata dal codice del consumo, recepito dalla dottrina comunitaria di cui al d. lgs. 6. 9.05 n. 206, testo normativo di riordino e di riferimento in materia di tutela dei diritti dei consumatori con recepimento delle disposizioni emanate dall’Unione Europea, integrato con il D.L. 24 del 2.2.2002,  con trasferimento della responsabilità da contrattuale ad extracontrattuale, a favore di un sistema di  responsabilità oggettiva.
È sorto, quindi, il problema dell’autonomia, sinergia  o conflittualità delle due fonti legislative, problematica di importanza assorbente, in considerazione delle differenze sostanziali e degli aspetti ispiratori (ad esempio, termine decadenziale di denuncia dei  vizi in otto giorni dalla scoperta e termine prescrizionale di un anno dalla consegna per le norme codicistiche contro un termine di due anni dalla consegna per difetti c.d. di conformità ed il termine per la denuncia di due mesi dalla scoperta per il codice  del consumo).
A nostro avviso, il problema sussiste solo in astratto o in dispute di tipo accademico laddove non si pone nella applicazione giuridica, in quanto le norme comunitarie non possono che riferirsi a prodotti  costruiti in serie, fungibili e di costruzione recente,  alienati da venditori professionisti (Trib. Milano IV sez. civ. 7.6.2012 n. 6864), situazioni estranee a vendite isolate di veicoli di antica progettazione, spesso non costruite in serie, con caratteristiche particolari, quasi si trattasse di un “prototipo”, anche se riferentesi alla stessa marca e tipo, non più in produzione  da quel minimo di tempo necessario per far considerare il veicolo “d’epoca” o di interesse storico o collezionistico.
Ed in effetti, l’accezione di “difetto” ex art. 117 del  codice del consumatore è concettualmente diversa da quella di “vizio” considerata dal codice civile che consente l’esperimento della relativa azione di  garanzia ex artt. 1490 – 1495 c.c.: infatti, si intende per difetto, ai sensi della prima fonte normativa indicata, quello di fabbricazione in senso stretto e di  insicurezza del prodotto, concetti estranei all’essenza del collezionismo d’epoca.
L’ammissibilità dell’applicazione delle norme comunitarie potrebbe – al limite – raffigurarsi esclusivamente in relazione ad alcuni veicoli costruiti da oltre  20 anni ma in numero considerevole (ad es., Fiat 500  e Fiat 600 anni 1955-1962 o, per le moto, la Guzzi  Falcone anni 1950-1959 e Gilera Saturno Telescopica  anni 1952-1961) che si trovano piuttosto facilmente  sul mercato: anche tale ipotesi – poco convincente  in diritto e nella configurazione del fenomeno – non  avrebbe motivazione di ordine pratico.

Normative applicabili con richiami  dottrinari e giurisprudenziali
Esclusa, pertanto, la possibilità di applicazione delle norme di consumo di attuazione comunitaria, va precisato che i veicoli di interesse storico e collezionistico non si differenziano – sotto il profilo giuridico della garanzia – dagli altri: il fenomeno dei vizi nella compravendita nei veicoli c.d. “d’epoca” e di interesse collezionistico e della garanzia a tutela dell’acquirente, va, quindi, inquadrato esclusivamente negli articoli 1490 – 1495 c.c.  (anche sentenza della Suprema Corte a S.U. 24.1.95 n. 806) con i quali il legislatore del 1942 ha magistralmente disciplinato i rimedi per eliminare lo squilibrio delle attribuzioni patrimoniali determinate dall’inadempimento del venditore. Questi rimedi – che sono rafforzativi e non sostitutivi di quello di carattere generale previsto per i contratti in genere  – operano nei limiti del ripristino della situazione economica del compratore anteriori alla conclusione del contratto e si inseriscono nell’architrave codicistico con le richiamate normative che si riportano integralmente con – in corsivo – commenti interpretativi e annotazioni di sentenze, applicabili anche per analogia all’oggetto della pubblicazione, riservata non solo agli operatori del settore  ma anche agli appassionati ed ai collezionisti:
•  Art. 1490 c.c.: “il venditore è tenuto a garantire  che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendono inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore. Il  patto con cui si esclude o si limita la garanzia  non ha effetto se il venditore in mala fede ha taciuto al compratore i vizi della cosa”.
La garanzia per i vizi, richiamata in linea generale dall’art. 1476 c.c., indica la responsabilità di tipo contrattuale conseguente alla irregolarità dell’effetto  traslativo per il semplice fatto oggettivo dell’esistenza dei vizi, indipendentemente dalla colpa del venditore (Cass. Civ., sez. II, 3.9.2008 n. 14665 e Cass. Civ., sez. VI, 10.10.2011 n. 20877).
Le azioni di garanzia perseguono il fine di tutelare il compratore nella fase dinamica dell’esecuzione del contratto, anche quando il venditore abbia fatto tutto il possibile per evitare il pregiudizio al compratore (la colpa dell’alienante è richiesta solo al fine della risoluzione del contratto per difetto di qualità promesse, secondo la previsione del successivo articolo 1497 c.c.).
La garanzia per il buon funzionamento, pur essendo dovuta in relazione a quelle pratiche utilità che  il compratore mira a conseguire mediante il contrat- to, presuppone che il vizio di cattivo funzionamento sia dovuto a causa intrinseca, inerente alla cosa venduta e non a deficienze ambientali, addebitabili esclusivamente al compratore.
La garanzia per i vizi, di cui all’art. 1490 c.c. è, quindi, operante, anche nelle vendita di cose mobili usate, dovendosi, all’uopo, distinguere il vizio della  cosa dal logorio di essa dovuto all’uso normale che se ne sia fatto ed esclude categoricamente sia le imperfezioni che le manchevolezze di lieve entità che determinano soltanto un aumento delle spese per il  ripristino (Cass. II sez. 18.2.2010 n. 8195).
Secondo la prevalente dottrina (Rubino, Bianca), l’art. 1490 c.c., si riferisce esclusivamente ai vizi materiali della cosa e non ai vizi relativi alla condizione giuridica della cosa medesima (per i quali si applicherà la disciplina relativa alla evizione) ed  ai vizi relativi agli acquisti di cose immateriali o di credito.
Sempre secondo la prevalente dottrina – sul punto condivisibile – la garanzia di cui all’art.1490 c.c. riguarda solo i vizi preesistenti alla vendita o quelli insorti dopo ma derivanti da cause preesistenti  (donde l’onere del venditore – in caso di contestazione – di provare che il vizio è stato provocato da eventi successivi alla consegna del bene).
Costituisce  vexata quaestio l’applicabilità delle norme sulla garanzia per vizi alla promessa di vendita. Una dottrina qualificata ed una sentenza della  Suprema Corte (sez. II n. 26943 del 15.12.2006)  opinano in tal senso, collegando l’applicabilità in relazione alla quanti minoris di cui all’art 1492 c.c.  mentre la Suprema Corte II sez. civ. con sentenza n.16969 del 17.8.2005, di diverso taglio, ha espresso parere negativo, soluzione, questa ultima, alla  quale aderisce il sottoscritto estensore poiché la  garanzia dei vizi presuppone la traditio del bene  ed è estranea al contratto preliminare che ha per  oggetto non un “dare”, ma un “facere” (resterebbe,  in tal caso, il rimedio della risoluzione del contratto o l’esecuzione in forma specifica, previa eliminazione degli stessi).
I vizi si distinguono dalle qualità del bene (successivo art. 1497 c.c.) e consistono (in dottrina, Bianca) in imperfezioni della cosa tali da incidere sulla sua utilizzabilità o sul suo valore e relative ad anomalie del processo di costruzione o conservazione (quest’ultimo aspetto riguarda i veicoli d’epoca):  come tali, devono diminuire in modo apprezzabile  il valore o rendere inidoneo all’uso il bene avuto  riguardo alla sua funzione economico – sociale “in guisa che, se il compratore avesse conosciuto il vizio, non l’avrebbe comprato o avrebbe offerto un prezzo minore” (come prevede testualmente il Codice civile francese all’art. 1641).
Le qualità del bene (art.1497 c.c.), invece, sono costituite dall’insieme degli attributi che esprimono la funzionalità o il pregio e che – nell’ambito di un  medesimo genere – influiscono sulla classificazione della cosa in una specie piuttosto che in un’altra. Le qualità essenziali sono quelle indispensabili per l’uso cui il bene di un determinato tipo è normalmente destinato (per le quali il venditore risponde anche se non siano state specificamente dedotte).  Le qualità promesse sono quelle atipiche se inerenti  ad un uso diverso da quello proprio del bene venduto oppure particolari se inerenti ad un uso della cosa conforme alla sua destinazione, ma da farsi a determinate condizioni (per le quali il venditore risponde solo se siano state oggetto di specifico impegno).
Riteniamo necessario evidenziare che è difficile individuare il confine tra la presenza di un vizio e l’assenza di una qualità essenziale o promessa tant’è che spesso la stessa situazione è stata oggetto di contrastanti decisioni giurisprudenziali.
La dottrina (Bianca), in difformità ad un precedente  autorevole indirizzo (Carnelutti) – al quale aderisce  il sottoscritto estensore – sostiene la necessità di  equiparare a tutti gli effetti la disciplina della tutela  del compratore nel caso di presenza di vizi e in quello di mancanza di qualità e ciò in quanto sia l’azione di riduzione del prezzo per vizi sia l’azione di risoluzione costituirebbero rimedi generali posti a tutela del contraente al quale, dunque, dovrebbe essere concessa la possibilità di ricorrere alla quanti minoris anche nella ipotesi prevista dall’art. 1497 c.c., non sussistendo incompatibilità.
Il problema della individuazione diviene, in alcuni casi, ancora più arduo, rispetto ad alcune vendite dove è possibile configurare anche l’aliud pro alio che svincola il compratore dal rispetto dei termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c. e legittima la richiesta di adempimento o di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. con eventuale richiesta di danni.
Si ha presenza di aliud pro alio (un plus di gravità rispetto alla mancanza di qualità disciplinata dall’art. 1497 c.c.) quando il bene venduto sia  completamente diverso da quello pattuito, poiché,  appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere alla destinazione economico – sociale della res venduta e, quindi, a fornire l’utilità richiesta, ovvero risulti compromessa la destinazione del bene all’uso che abbia costituito elemento determinante dell’acquisto (Cass. Civ. II sez. 11.11.2008 n. 26963 e Cass. Civ. II sez. 18.5.2011 n. 10916).
La Suprema Corte, II sez. civ. con sentenza del 29.4.2010 n. 10285 ha, con mirabile sintesi, inquadrato le differenze tra le tre fattispecie giuridiche: “in tema di compravendita il vizio redibitorio (art.  1490 c.c.) e la mancanza di qualità promesse o essenziali (art. 1497 c.c.), pur presupponendo entrambi l’appartenenza della cosa al genere pattuito, si differenziano in quanto la prima riguarda le imperfezioni e i difetti inerenti al processo di produzione,  formazione e conservazione del bene medesimo mentre la seconda è inerente alla natura della merce  e concerne tutti quegli elementi essenziali e sostanziali che, nell’ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie,  piuttosto che in un’altra. Vizi redibitori e mancanza di qualità si distinguono, a loro volta, dall’ipotesi della consegna di aliud pro alio, la quale ricorre  quando la cosa venduta appartenga ad un genere  del tutto diverso o presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti (c.d.  inidoneità ad assolvere la funzione economico – so- ciale), facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto. Sotto un profilo processuale ne consegue che, ove mai nella fase di merito il compratore abbia sostenuto che il bene fosse privo delle qualità essenziali per le quali era stato acquistato, in sede di legittimità, non può dedurre la consegna di aliud pro alio,  in quanto tale censura – sollevando una questione del tutto nuova- sarebbe inammissibile ex art.  345.c.p.c.
Infine, è opportuno considerare che la garanzia per i vizi della cosa venduta disciplinata dagli artt. 1490 e seguenti del codice civile differisce da quella di buon funzionamento prevista dall’art. 1512 c.c. per il fatto che, mentre la seconda impone all’acquirente solo l’onere di dimostrare il cattivo funzionamento della cosa venduta, la prima – cui il venditore è tenuto anche se incolpevole, essendo la colpa di questi richiesta solo ai fini dell’obbligo del risarcimento del danno – impone all’acquirente anche  l’onere di dimostrare la sussistenza dello specifico vizio che rende la cosa venduta inidonea all’uso cui essa è destinata; inoltre, la garanzia di cui all’art. 1512 c.c., che attua – con l’assicurazione di un determinato risultato il buon funzionamento della cosa  per il tempo convenuto – una più forte garanzia del compratore, in via autonoma ed indipendente rispetto alla garanzia per vizi ed alla responsabilità  per mancanza di qualità, trova fondamento in un patto contrattuale e, pertanto, può essere invocata  solo previa deduzione e dimostrazione dell’esistenza di un tale patto nel contratto di compravendita (Cass. Civ., sez. III, 30 ottobre 2009, n. 23060).

La giurisprudenza è oscillante nel qualificare i casi di vendita di autoveicolo recante alterazione dei dati di identificazione o nel quale motore, telai e strumenti fossero in situazioni di illegittimità che, per quanto riguarda le vetture d’epoca, sono spesso oggetto di trasformazione o contraffazione soprattutto a seguito della diffusione delle “repliche”. Queste vetture sono la copia realizzata dal costruttore  del veicolo originale (mentre deve parlarsi di riproduzione se sono fabbricate da terzi): costituiscono un fenomeno sviluppatosi in maniera imponente negli ultimi anni con grave pregiudizio per le vetture originali (secondo alcuni, sarebbe utile uno statuto e un regolamento per l’individuazione esatta delle stesse onde avere una chiara diversificazione  dagli originali).
Nel passato, la dottrina e la giurisprudenza di merito avevano assunto un atteggiamento oscillan te mentre, poi, la Suprema Corte si è orientata per l’inquadramento della fattispecie nell’aliud pro alio (Cass.Civ. II sez. 30.3.2006 n. 7561: “la vendita di un’autovettura immatricolata con falsa documentazione e recante il numero di telaio contraffatto  configura una ipotesi di inadempimento contrattuale (aliud pro alio), diversamente dalle ipotesi di vendita di cosa affetta da vizi o mancante delle qualità promesse che integrano la fattispecie dell’inesatto adempimento; nel primo caso, infatti, al compratore spetta l’azione generale di risoluzione contrattuale per inadempimento con conseguente  rilevanza della colpa ai fini del giudizio di inadempimento mentre, nell’altro caso, operando la speciale garanzia di cui agli artt. 1492 e 1497 c.c., la colpa rileva soltanto ai fini dell’eventuale risarcimento  dei danni”.
Il Tribunale di Bari, in diversa e meno grave ipotesi,  con sentenza del 20.3.2007 in “Riv. Giur. circolaz. e trasporti”, 2007, 515 ha statuito: “non integra una ipotesi di aliud pro alio la vendita di veicolo usato non sottoposto a prescritta revisione. La fattispecie, infatti, ricorre solo quando la res tradita si rilevi funzionalmente e definitivamente inidonea ad assolvere alla destinazione economico-sociale propria  dell’oggetto della compravendita e, quindi, a soddisfare le esigenze che determinarono il compratore  stesso all’acquisto: tale ipotesi va esclusa con riguardo alla consegna di un autoveicolo corrispondente a quello compravenduto ma inidoneo alla circolazione per la sola mancanza della prescritta revisione periodica, ai cui adempimenti amministrativi l’acquirente sia in grado di provvedere”.
Con riferimento alle auto d’epoca i principi sopra illustrati sono davvero pertinenti in quanto per un veicolo che negli anni abbia subito una serie di riparazioni e/o sostituzioni di pezzi, ben potrebbe accadere che lo stesso seppur apparentemente integro,  sia, di fatto, privo di quelle caratteristiche tecnico – meccaniche cha vanno a caratterizzare il veicolo d’epoca (ricambi di dubbia provenienza, motore  del tutto diverso – sia per cilindrata che per epoca di  costruzione – da quello originario ed altro…): qualora il compratore non venga opportunamente informato di tali modifiche, si potrà configurare senza dubbio l’aliud pro alio.
Sebbene non sia attinente nello specifico alle auto
 d’epoca, la sentenza che segue appare significativa  rispetto alla fattispecie che ci occupa, in quanto è relativa ad una tipologia di beni che per la loro  unicità sono molto vicini alle auto d’epoca: le opere d’arte.
La cessione di un’opera d’arte, pur autentica, ma modificata e rimaneggiata in modo tale da non essere più corrispondente all’originale concepito dall’artista, costituisce una ipotesi di vendita di “aliud pro  alio” giacché, soltanto nell’integrale consistenza in cui è stata creata dall’autore, l’opera d’arte può  reputarsi genuina, posto che l’essenziale sua unitarietà fa rifluire sul tutto la non autenticità anche solo di una parte. Ne consegue che l’acquirente è legittimato a richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento del venditore, ex art. 1453 c.c. (Cass. civ., sez. II, 8 giugno 2011, n. 12527).

Esclusione della garanzia
La garanzia, di cui si parla, non opera se la stessa  sia stata esclusa o limitata, così come previsto dal  Legislatore a determinate condizioni.
Nella pratica, soprattutto in relazione alla vendita di auto in genere, chiaramente applicabile alle auto storiche o di interesse collezionistico, si fa ricorso alle clausole “vendita nello stato di fatto o di diritto in cui si trova”, “merce vista, gradita e verificata” (“tal quel”).
In tema, vi è – in linea di massima – divergenza tra l’indirizzo dottrinario maggioritario e quello giurisprudenziale. La dottrina prevalente (Rubino, Vivante) ritiene che vi sia esclusione della garanzia mentre la giurisprudenza prevalente ed una dottrina minoritaria (Galgano, che parla di clausole di stile) ritiene che simili clausole importano semplicemente che la merce sia già stata esaminata, sicché il venditore non risponde dei vizi riconoscibili “ictu oculi”  ma risponde pur sempre di quelli occulti (ed anche  di quelli riconoscibili se li ha taciuti in mala fede, in questo caso, con collegamento concettuale all’art. 1229 c.c.) con sottile differenziazione, rectius, sfumatura della colpa grave.
La Corte di Appello Bologna con sentenza del 22.4.04 in Arch Circ. 2004, 1187 ha ritenuto che, anche per le auto usate (categoria che comprende lato  sensu le auto di interesse collezionistico) la clausola di esonero potrebbe anche significare semplicemente una limitazione dell’impegno traslativo del venditore che alienerebbe il bene senza promettere  che esso abbia certi requisiti di qualità o integrità.
In conclusione, le richiamate clausole (che in ogni  caso devono essere specificatamente accettate ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c.) per parte della dottrina, costituirebbero la volontà di sopprimere la garanzia mentre per altri costituiscono clausole di stile (caratteri per la verità, sostenibili solo in contesti contrattuali complessi): il venditore, per garantirsi in maniera totale, dovrebbe fare ricorso non tanto alle clausole sopra indicate ma a clausole più chiaramente definite e non soggette ad interpretazioni  quali “senza garanzie” e “avariato o non”.
In particolare,  per le auto storiche o di interesse collezionisticotali clausole hanno una valenza particolare, riflettendo non solo i vizi riscontrabili ictu oculi ma tutti i vizi: se così non fosse, poiché è difficile che una vettura d’epoca non presenti qualche difetto, la clausola sarebbe del tutto inutile. D’altra parte, la clausola di esclusione mentre è eccezionale nella vendita del nuovo ha, invece, senso concreto  nella vendita dell’usato e, quindi, delle auto d’epoca  e di interesse collezionistico.
È interessante ed applicabile ai veicoli d’epoca o di interesse collezionistico, oggetto della presente pubblicazione, la seguente sentenza della Suprema Corte Sez. II 10.3.1987 n. 2473: “la garanzia  per vizi ex art. 1490 c.c., che sussiste anche nella  vendita di beni mobili usati (estensibile sul piano  pratico – applicativo ai veicoli d’epoca), non è operante allorché le parti contraenti abbiano espressamente pattuito la particolare clausola di “messa a  punto” del bene mobile venduto che ben può concretare una obbligazione distinta da quella accessoria di buon funzionamento della cosa e, quindi,  legittimare in caso di eccepito inadempimento il  ricorso all’art. 1460 c.c.”.    Art.1491 c.c.: “non è dovuta la garanzia se al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa; parimenti non è dovuta, se i vizi erano facilmente riconoscibili, salvo, in questo caso, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi”.

Nel contesto dell’art.1491c.c. – che esclude la garanzia in due ipotesi di chiaro lessico – la “conoscenza” e la “facile riconoscibilità” dei vizi non costituiscono profili diversi di una unica fattispecie, ma ipotesi distinte, accomunate quoad effectum: nel primo caso, l’esclusione della garanzia che – come sanzione – neppure si profila mancando in radice l’inadempimento, risponde ad una esigenza logica.  Nel secondo, il sorgere della garanzia è impedito  dalla inosservanza di un onere di diligenza del compratore sicché, solo in questa ultima ipotesi, assume  un ruolo assorbente la dichiarazione del venditore che la cosa è immune da vizi.
La riserva, di cui al capoverso della normativa, deve interpretarsi nel senso che, nell’ipotesi di vizi facilmente riconoscibili, la garanzia opera solo in presenza di una affermazione diretta ed esplicita del venditore che attesti che il bene sia esente da vizi.  L’esclusione della garanzia per i vizi della cosa venduta, prevista dall’ultima parte dell’art. 1491 c.c. presuppone che i vizi siano riconoscibili al momento in cui il contratto viene concluso e non opera, quindi, nel caso di compravendita di cosa futura laddove il compratore non può, al momento della conclusione del contratto, prendere visione della cosa. Pertanto, nel caso in cui l’acquirente non abbia potuto esaminare anteriormente la cosa da lui acquistata, il termine per la denuncia dei vizi  decorre, ovviamente, solo da quando egli la riceve  in consegna (Cass. II Civ. 3.4.2009 n. 8192 e Cass. I sez. Civ. 18.4.2011 n. 8880).
Secondo la dottrina prevalente, il vizio (con esclusione delle imperfezioni) è riconoscibile quando  può essere avvertito anche con un impegno minimo di diligenza (Bianca) e si differenzia dal vizio apparente ossia quello emergente da un controllo  ictu oculi del bene senza, però, approfondimenti  secondo il principio di auto – responsabilità. Non si richiede, quindi, per la riconoscibilità del vizio un eventuale accertamento con impiego di nozioni e di mezzi tecnici, non potendosi addossare al  compratore l’onere di diligenza di ricorrere all’ausilio di esperti o disporre indagini al fine di individuare eventuali vizi, al momento della contrattazione (Cass. III sez. civ. 27.2.2012 n. 2981).
Tanto però non è applicabile de plano alla compravendita di auto d’epoca e di collezionismo, in quanto si presume una particolare conoscenza del settore  e la certezza che per le auto d’epoca i vizi sono quasi mai facilmente riconoscibili, mentre per le auto storiche diventano appariscenti solo in conseguenza di un uso anche breve.

La F.I.V.A. e l’A.S.I. sono benemeriti enti morali di diritto privato, baluardi del motorismo storico, che rappresentano, rispettivamente in campo internazionale ed in campo nazionale, le principali autorità per i veicoli (auto e moto d’epoca e di interesse  collezionistico, a propulsione meccanica fabbricati  da oltre trenta e venti anni, mantenuti in condizioni corrette, i primi se non utilizzati come mezzo di trasporto quotidiano) che fanno parte del patrimonio tecnico e culturale da proteggere e tramandare  con potere di certificazione attestante le caratteristiche di storicità, autenticità e stato di conservazione degli stessi. La F.I.V.A (Féderation Internazionale  des Vehicules Anciens) rilascia una carta di identità internazionale ai singoli veicoli classificandoli in base al loro stato, al loro valore di eredità culturale ed alla loro anzianità. In relazione a tale ultimo requisito ha ipotizzato una suddivisione delle automobili nelle seguenti categorie: 

  • antique : dagli inizi al 1905; 
  • veteran: dal 1906 al 1918;
  • vintage: dal 1919 al 1930;
  • post Vintage: dal 1931 al 1945;
  • classic: dal 1946 al 1960;
  • post Classic: dal 1961 al 1970;
  • modern: dal 1971 al 1985.

Per quanto riguarda i veicoli d’epoca, ad evitare contenziosi,sarebbe opportuno per l’acquirente  farsi rilasciare, qualora non vi sia certificazione dell’A.S.I. o – addirittura – della F.I.V.A., una apposita dichiarazione (integrativa del semplice modello che, di solito, il venditore compila innanzi al notaio o al PRA per i successivi adempimenti di aggiornamento della carta di circolazione) con tutti  i dati necessari relativi al libretto di circolazione,  all’anno di costruzione e ai documenti di origine, all’identificazione del telaio e del motore, alle caratteristiche tecniche, alle ricevute dei bolli pagati, alle revisioni ed ai servizi di manutenzione periodica, effettuati con relative fatture di pagamento, al curriculum sportivo – in caso di auto da competizione – onde, avere un quadro chiaro ed ampio – anche nel senso cronologico – con tutti gli elementi idonei a ricostruire la storia del veicolo.
In casi di veicoli
di particolare pregio è auspicabile cercare di ottenere eventuali citazioni di esperti o di giornali specializzati o elenco di partecipazioni a mostre e competizioni.
Ovviamente questi suggerimenti riguardano  fattispecie eccezionalmente esaustive non sempre  attuabili, ipotizzate, quindi, nell’aspetto più ampio mentre, pur senza raggiungere la ottimale situazione esposta, si deve puntare ad ottenere la prova dei requisiti sopra richiesti “per quanto possibile”.

Art. 1492 c.c.: “nei casi indicati dall’art. 1490 c.c.  il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo,  salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione. La scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale. Se la cosa consegnata è perita in conseguenza dei vizi, il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto; se invece è perita per caso fortuito o per colpa del compratore, o se questi l’ha alienata o trasformata, egli non può domandare che la riduzione del prezzo”.

La normativa riveste un duplice sostanziale profilo giuridico in quanto comprende anche la c.d. actio aestimatoria o quanti minoris ossia la riduzione del prezzo diretta a salvaguardare l’equilibrio sinallagmatico nel caso in cui il compratore non voglia o  non possa ricorrere al rimedio della risoluzione. La scelta tra l’azione redibitoria e la quanti minoris (tra  le quali non vi è subordinazione) diventa irrevocabile allorquando la domanda giudiziale sia proposta e la Suprema Corte, proprio nello spirito della previsione della irrevocabilità a seguito di vocatio in ius, esclude che il compratore possa proporre la prima in via principale e la seconda in via subordinata, come sovente accade nella pratica (Cass. Civ. sez. un. 24.3.88 n. 2565, Cass. Civ. II sez. 27.1.2004  n. 1434, Cass. Civ. II sez. 29.11.04 n. 22415) sicché il compratore deve scegliere tra l’una o l’altra dal momento che entrambe le azioni si ricollegano ai medesimi presupposti circa la sussistenza di vizi con le caratteristiche fissate dall’art. 1490 c.c. : alcuni Autori ritengono che la scelta divenga definitiva anche quando, operata in via stragiudiziale, sia accettata dal venditore.
La domanda giudiziale (risoluzione o riduzione) “proposta per un determinato vizio, non preclude la possibilità di agire successivamente facendo valere  altri vizi, anche con modifica in corso di causa al  fine di ricomprendere i vizi diversi da quelli inizialmente fatti valere e ciò nei limiti in cui, in base ai principi processuali, sia possibile formulare nuove voci di danno, sempre con il rispetto dei termini di cui all’art. 1495 c.c.” (la datata sentenza della Suprema Corte III sez. 21.8.85 n.4471 non è condivisibile soprattutto in relazione agli attuali rigori e preclusioni processuali).
Per quanto riguarda il perimento della cosa a seguito dei vizi o a seguito di caso fortuito, la lettera della legge è molto chiara e non si presta a contrasti di natura esegetica (in claris non fit interpretatio): nel  primo caso il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto e, nel secondo caso, in cui avviene la perenzione per colpa del compratore, alla riduzione del prezzo.
Parte della dottrina sostiene che l’offerta del venditore di riparare o sostituire il bene sarebbe idonea a paralizzare l’azione di risoluzione del contratto per vizi (actio redhibitoria) quando il rifiuto di tale offerta da parte del compratore appaia contrario a buona fede.
Interessante perché attinente alla problematica che ci riguarda la sentenza della Suprema Corte – seppur datata – III sezione civile 21.8. 85 n. 4471 che esprime chiari concetti nel panorama delle garanzie per vizi e, specificamente dell’art.1492 c.c.: “la facoltà del compratore, in presenza di vizi della cosa venduta, di chiedere, anziché la risoluzione del contratto, la riduzione del prezzo, ai sensi dell’art. 1492 c.c., non viene meno per il fatto che detti vizi presentino  gravità tale da escludere la possibilità di utilizzare  il bene nella sua funzione tipica (nella specie, autovettura usata, risultante dall’anomalo assemblaggio di due tronconi di veicoli diversi), rientrando nella disponibilità del compratore medesimo l’optare per un mantenimento della residua utilità della cosa, con un congruo riequilibrio, in suo favore, dell’ammontare del corrispettivo”.
Per quanto riguarda l’applicazione della norma  alle “vetture d’epoca”, possono verificarsi – nell’ambito della previsione legislativa – tre situazioni (
permuta di autovetture, trasformazione o rivendita delle stesse nella dinamica delle c.d. vendita a catena) situazioni che sono state risolte dalle sentenze della Suprema Corte che seguono (non sono state rinvenute pronunce più recenti):
Cass. II sez. civile 12.4.79 n. 2167 ha statuito: “…l’azione di riduzione del prezzo, prevista dall’ultimo comma dell’art. 1492 c.c. in tema di vendita è applicabile, a norma dell’art. 1555 c.c. anche al contratto di permuta, dal momento che devono ritenersi compatibili con quest’ultimo contratto tutte quelle norme in materia di vendita che, pur facendo riferimento al prezzo, non si riferiscono al suo carattere pecuniario, ma considerano il prezzo come corrispettivo della prestazione e, quindi, si fondono genericamente sulla funzione di scambio del contratto. Poiché nella permuta ciascun bene permutato costituisce corrispettivo dell’altro, la riduzione del prezzo va intesa come riduzione della prestazione
 del contraente adempiente mercé conguaglio in da- naro imposto a carico del contraente non regolarmente adempiente”.
Cass. Civ. II sez. 23.1.88 n.521: “l’alienazione o la trasformazione del bene previsto dall’art. 1492 comma III c.c. può assumere ex sé il valore e produrre l’effetto giuridico propri di una rinuncia o di una deroga anche tacita alla risoluzione contrattuale ed alle conseguenti pretese quando il compratore non si limiti a far un uso normale della cosa ma ne modifichi l’originaria identità strutturale o la conformazione (anche senza mutarne il genere o la destinazione) in quanto tale trasformazione, intesa come condizione obiettiva della cosa, è di ostacolo alla risoluzione per inadempimento non permettendo o rendendo estremamente difficile la restituzione  del bene al venditore nello stato in cui trovavasi prima della consegna e denota l’intenzione del compratore di accettare la cosa nonostante la presenza  dei vizi”.
Cass. II sez. civ. n. 5732 del 10.3.2011 “la normati- va di cui agli artt.1490- 1492 c.c. prevede l’obbligo del venditore di garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendono inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore. Ad un tempo, quella normativa,  attribuisce al compratore il diritto di domandare a sua scelta la risoluzione del contratto, ovvero la riduzione del prezzo salvo che, per determinati vizi gli usi escludono la risoluzione…. Tuttavia l’art. 1492 c.c. prevede nel II comma, tra l’altro, una ipotesi particolare ed articolata e, cioè, quella in cui il  compratore abbia alienato la cosa…. in questa ipotesi, la norma citata stabilisce che il compratore può chiedere al venditore solo una riduzione del prezzo.  Ora,  avuto riguardo all’ipotesi del compratore che aliena il bene, va chiarito che ci sono due compratori e due venditori. Il primo acquirente potrà agire  nei confronti del suo immediato venditore con la limitazione di cui all’art. 1492 II comma c.c. mentre  il secondo acquirente potrà agire nei confronti del secondo venditore (ovvero primo acquirente) senza alcuna limitazione purché ricorrano le condizioni previste dall’art. 1493 e seguenti c.c.
Art.1493 c.c.: “in caso di risoluzione del contratto il venditore deve restituire il prezzo e rimborsare al compratore le spese e i pagamenti legittimamente fatti per la vendita. Il compratore deve  restituire la cosa, se questa non è perita in conseguenza dei vizi”.
L’obbligo di restituzione delle somme ricevute a ti- tolo di prezzo non ha carattere risarcitorio, ma è la conseguenza del venir meno del titolo in base al quale è stata eseguita la prestazione del prezzo: donde il suo carattere di debito di valuta, quindi insuscettibile di rivalutazione automatica laddove gli interessi sono dovuti anche se vi sono opinioni contrarie sulla decorrenza degli stessi (dalla consegna della somma, dalla domanda di risoluzione o dalla declaratoria giudiziale anche se la prima ipotesi appare più corretta).
A seguito della restituzione, di cui al secondo comma della normativa che sostanzia una conseguenza di indebito oggettivo, il magistrato potrà riconoscere  i rimborsi e gli interessi anche se non vi sia stata una specifica richiesta (Cass. II sez. civ. n 2566 del 20.02.2003).
Relativamente alla problematica settoriale delle vetture d’epoca, la normativa va applicata – con accortezza – in quanto l’aspetto “restituzione da parte del  compratore” previsto dal capoverso della normativa,  comporta una valutazione di particolare riflessione perché, per tali vetture, l’uso o l’utilizzo, anche di brevissima durata, può compromettere notevolmente la struttura dell’automezzo nella sua caratteristica peculiare di fragilità dovuta alla vetustà.
•  Art. 1494 c.c.“in ogni caso il venditore è tenuto  verso il compratore al risarcimento del danno, se non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa. Il venditore deve altresì risarcire al compratore i danni derivanti dai vizi della cosa”.

Il risarcimento del danno spetta al compratore indipendentemente dal fatto che si sia avvalso dell’actio redhibitoria o della quanti minoris secondo i principi generali dell’inadempimento con gli oneri probatori conseguenziali.
La richiesta di risarcimento danni può essere proposta anche in via autonoma ma, in tal caso, postula il rispetto dei termini di cui al successivo articolo 1495 c.c.; la domanda di risarcimento, altresì, deve essere espressamente formulata dal compratore in quanto, in difetto, il giudice andrebbe a decidere  extra petitum (Cass. Civ. II sez. n. 26 del 3.1.2002).
In dottrina, onde approfondire i vari aspetti interpretativi – non strettamente rientranti nell’oggetto della pubblicazione – evidenziamo che sussiste ampio dibattito sulla natura della responsabilità, di cui al secondo comma: se trattasi di responsabilità  contrattuale o extracontrattuale, quindi, idonea a legittimare alla richiesta contro il venditore non solo il  primo acquirente ma anche i successivi. Riteniamo di aderire alla prima tesi poiché i danni sono una  diretta conseguenza della inesatta esecuzione della prestazione.
Alcuni autori, nell’immancabile tentativo di trovare una via di mezzo nell’interpretazione, hanno ritenuto ammissibile un concorso tra i due tipi di responsabilità nel caso in cui il compratore di un auto aveva  visto l’autovettura acquistata distrutta da un incendio generato dal suo malfunzionamento. In tal senso, Cass. III sez. civ. sentenza n. 8981 del 29.4.05:  “in tema di vizi della cosa venduta, è legittimamente  configurabile in capo al venditore, il concorso di una  responsabilità risarcitoria ex contractu con una di  tipo aquiliano qualora il danno lamentato dall’acquirente ex art. 2043 c.c. si configuri non quale derivazione diretta ed immediata del vizio di costruzione  (id est del funzionamento della cosa venduta), bensì  come conseguenza ulteriore del malfunzionamento  della res a sua volta produttivo di autonomi ed indipendenti eventi dannosi”.
L’art. 1494 c.c. sostanzialmente si pone come norma speciale rispetto a quello dell’art. 1218 c.c., secondo gli ordinari principi in materia di responsabilità  contrattuale, perché prevede a carico del venditore  una presunzione di colpa salvo che lo stesso provi  di aver ignorato incolpevolmente l’esistenza dei vizi dovendosi aver riguardo alla diligenza impiegata nella verifica dei vizi stessi, con riguardo al tipo di attività esercitata alla stregua del parametro di cui all’art. 1176 c.c. secondo comma (diligenza qualificata) e degli usi invalsi nel settore specifico. Nella valutazione degli elementi di prova contraria alla richiamata presunzione, il giudice deve avere  riguardo alla diligenza impiegata dal venditore nella verifica dei vizi alla stregua di un criterio di commisurazione più qualificato (art. 1176 c.c.) ed intenso rispetto a quello comune richiesto in riferimento alla figura media del buon padre di famiglia (Trib.  Monza – Desio sentenza 16.5.2003 in Giurisprudenza di merito 2003, 1932).
Sono da tenere in debita considerazione le seguenti decisioni della Suprema Corte che chiariscono i confini delle normative e delle azioni:
•  Cass. Civ., sez. II, 7 marzo 2007, n. 5202“L’azione di risarcimento dei danni proposta, ai sensi dell’art. 1494 c.c., dall’acquirente non si identifica né con le azioni di garanzia di cui all’art. 1492 c.c. né con l’azione di esatto adempimento. Infatti, mentre le garanzie operano anche in  mancanza della colpa del venditore, onde eliminare, nel contratto, lo squilibrio tra le attribuzio ni patrimoniali determinato dall’inadempimento del venditore, l’azione di risarcimento danni- che presuppone di per sé la colpa di quest’ultimo, consistente nell’omissione della diligenza necessaria a scongiurare l’eventuale presenza di vizi della cosa- può estendersi a tutti i danni subiti dall’acquirente, non solo quindi a quelli relativi alle spese necessarie per l’eliminazione dei vizi accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione della cosa o al lucro cessante per la mancata rivendita del bene. Da ciò consegue, fra l’altro, che tale azione si rende ammissibile, in alternativa ovvero cumulativamente, con le azioni di adempimento in via specifica del contratto, di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto medesimo”;
• Cass. Civ., sez. II, 3 giugno 2008, n. 14665: “L’azione di risoluzione per i vizi della cosa venduta  non presuppone l’esistenza della colpa dell’alienante, contrariamente alla diversa ipotesi dell’azione di risarcimento dei danni, nella quale  l’art. 1494 c.c. presuppone la colpa del venditore  ponendo a suo carico una presunzione di conoscenza dei vizi”.

Il Tribunale di Pistoia – sezione distaccata di Pescia – con sentenza 16.4.2000 ha determinato l’imputabilità dell’inadempimento ed in astratto la sussistenza di un obbligo risarcitorio nei confronti  dell’attore statuendo che “la semplice regolarità  della manutenzione non consente di escludere la prevedibilità del difetto o la possibilità di individuarlo attraverso una più approfondita revisione  del mezzo che – trattandosi di vettura usata- deve considerarsi rientrante nei doveri di diligenza del venditore in misura più ampia che se si fosse trattato di una vettura nuova con onere di controllo  più ampio del venditore. In tema di risarcimento  del danni per i vizi della cosa venduta, l’art 1494 primo comma pone a carico del venditore una  presunzione di colpa salvo che, questi non provi  di avere ignorato incolpevolmente l’esistenza degli stessi anche se occulti”.

A tale ultimo proposito, per quanto riguarda le auto d’epoca, bisogna tenere conto che un elemento di pregnante importanza è lo stato del lamierato  dalla sostanza intrinseca all’aspetto verniciatura,  esame di difficile esecuzione e foriero di frequenti contenziosi.
È bene tenere presente che, al di là dello stato della verniciatura, facilmente presentabile in ottimo stato con le attuali vernici esattamente riprodotte con quelle d’epoca (per quanto riguarda le tinte originali si interessa Lechler – Asi, sfruttando particolari sistemi di produzione ed analisi spettrofotometriche),  è necessario arrivare alla lamiera nuda ed esaminare eventuali inneschi di ruggine, ricostruendo, le parti corrose. La semplice sabbiatura ed il bagno in soluzione acida non arrivano agli scatolati ove si annida la corrosione, anzi, il bagno acido può indebolire e “mangiare” nel tempo le lamiere.  Altro elemento importante viene costituito dalle saldature la cui disamina consente di risalire al periodo di costruzione delle auto per la continua evoluzione della tecnica specifica.
  Art. 1495 c.c.: “il compratore decade dal diritto  alla garanzia, se non denunzia i vizi al vendi- tore entro otto giorni dalla scoperta, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge.  La denunzia non è necessaria se il venditore ha  riconosciuto l’esistenza del vizio o l’ha occultato. L’azione si prescrive, in ogni caso, in un  anno dalla consegna; ma il compratore, che sia  convenuto per l’esecuzione del contratto, può  sempre far valere la garanzia, purché il vizio  della cosa sia stato denunziato entro otto giorni dalla scoperta e prima del decorso dell’anno  dalla consegna”.

Le azioni, a tutela delle garanzie previste nei commi precedenti, sono soggette a un termine di decadenza di denuncia dei vizi al venditore entro otto giorni  dalla scoperta e di prescrizione di un anno dalla  consegna. La normativa, al secondo comma, prevede due eccezioni: se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio o lo ha occultato e la possibilità del compratore di fare valere la garanzia oltre il termine prescrizionale di un anno nel caso sia stato convenuto in giudizio per l’esecuzione del contratto  e sempre che abbia denunciato nei termini la scoperta dei vizi.
L’art. 1495 c.c. costituisce un limite posto dal Legislatore all’inoltro delle azioni (actio redhibitoria o quanti minoris) ai fini del rispetto del fondamentale principio della certezza del diritto (motivo per il quale a norma dell’art. 2965 c.c. è nullo il patto in  cui si stabiliscono termini di scadenza che rendono  eccessivamente difficile ad una delle parti l’esercizio del diritto).
La Suprema Corte ha ritenuto che la denuncia dei vizi non richiede speciali formalità né formule sacramentali o la necessità di denuncia analitica dei difetti e ha ritenuto, altresì, che la denuncia può essere effettuata con qualsiasi forma idonea di trasmissione, anche a mezzo telefono (Cass. Civ. II sez. 3.4.2003 n. 5142) decisione alla quale non si ritiene di aderire in linea con la sentenza n. 2997  della Corte di Appello di Roma II Sez. Civ., depositata in data 24.6.04 in Ergife /Samar, confermata  dalla sentenza della Suprema Corte II sez. civ. n. 8195, depositata in data 6.4.2010).
La tempestività della denuncia deve essere verificata con riguardo al momento in cui essa è emessa e non a quello in cui è ricevuta dal destinatario.
Riteniamo di segnalare, in merito alla problematica,  le seguenti sentenze:

  • Cass. Civ., sez. II, 27.7.86 n. 1277: “la pretesa risarcitoria fatta valere dal danneggiato, in sede penale, per il reato di truffa per la consegna di una autovettura diversa da quella venduta non si identifica con l’azione di garanzia per i vizi della cosa venduta perché la fattispecie penalmente rilevante, pur attenendo anche essa in senso lato, alla cosa venduta, si articola su presupposti più ampi. Ne consegue, che la costituzione di parte civile, per il reato di truffa nel procedimento penale non produce effetti interruttivi del termine  di prescrizione dell’azione di garanzia per i vizi della cosa venduta”.
  • Corte di Appello venezia 10.3.2000 in Caprara/Serra: “al contratto preliminare di vendita non si applica il termine di decadenza per la denunzia dei vizi prevista dall’art. 1495 c.c. per il contratto di vendita”. 
  • Corte di Appello di Napoli III sez. civ. sentenza depositata in data 11.4.2008 in Ma.Ma.An / P. Spa:  “il riconoscimento da parte del venditore dell’esistenza di vizi della cosa venduta non dà vita ad una nuova obbligazione sostitutiva di quella originaria ma consente al compratore di essere  svincolato dai termini di decadenza e prescrizione salvo che l’accordo tra le parti preveda l’impegno del venditore a costituire una novazione oggettiva ex art. 1230 c.c.”.
  • In conformità, Cass. Civ., II sez., 14.1.2011 n. 747 
  • In difformità, Cass. Civ., II sez., 26.3.2010 n. 7301:  “il riconoscimento da parte del venditore dei vizi  della cosa alienata che può avvenire anche per “facta concludentia” quali esecuzioni di ripara- zione o la sostituzione di parte della cosa medesima ovvero la predisposizione di una attività diretta al conseguimento o al ripristino della piena funzionalità dell’oggetto della vendita, determina  la costituzione di una obbligazione che, essendo oggettivamente nuova ed autonoma rispetto a quella originaria di garanzia, è sempre svincolata, indipendentemente dalla volontà delle parti, dai termini di decadenza e di prescrizione fissati dall’art. 1495 c.c. ed è, invece, soggetta soltanto alla prescrizione ordinaria decennale”. 
  • Cass. Civ., II sez., 10.3.2011, n. 5732: “in materia di denunzia dei vizi della cosa venduta, ai fini della decorrenza del termine di decadenza di cui all’art. 1495 c.c., pur dovendosi, di regola, distinguere tra vizi apparenti ed occulti – là dove per i primi detto termine decorre dalla consegna della  cosa, mentre per i secondi dal momento in cui  essi sono riconoscibili per il compratore – occorre comunque che il “dies a quo” si faccia risalire al momento in cui il compratore acquisisce la certezza obiettiva del vizio non essendo sufficiente il  semplice sospetto”. 
  • Cass. Civ., vI sez., 15.12.2011, n. 26967: “in tema di compravendita, l’azione del compratore contro il venditore, per far valere la garanzia a norma dell’art. 1495 c.c., si prescrive, in ogni caso, nel termine di un anno dalla consegna del bene compravenduto e ciò indipendentemente dalla scoperta del vizio”.

I termini che limitano, in maniera rigorosa sotto il profilo temporale, le azioni richiamate (decadenza e prescrizione) per la rigidità della normativa codicistica, ispirata alla certezza del diritto, spesso non rispettati dall’acquirente nel tentativo di risolvere  bonariamente le questioni, sono state ampliati dalle norme del diritto comunitario onde consentire  una tutela più ampia alla parte ritenuta debole (da qualificarsi come consumatore ma non acquirente)  che – si ribadisca – sono inapplicabili alle fattispecie  che ci riguardano, alla stregua delle argomentazioni già svolte.
È evidente che,
l’acquisto di un’auto d’epoca, sia più complicato che l’acquisto di qualsiasi altro bene: è, quindi, più difficile accertarsi della presenza di un vizio nell’immediatezza, ciò per varie motivazioni:  la vetustà del bene, l’impossibilità di valutare il vizio  come tale se non con l’ausilio di un esperto in materia (meccanico o carrozziere) ed il fatto che il vizio ben possa rivelarsi tardivamente, atteso che la vettura d’epoca viene utilizzata poco e per poco tempo.
Interessanti –
per la riferibilità alla compravendita  di auto d’epoca– appaiono le sentenze che seguono con le quali la Suprema Corte ha statuito che il termine di decadenza previsto dall’art. 1495 c.c. per l’azione di garanzia per i vizi della cosa venduta decorre dall’effettiva scoperta dei medesimi, che si ha quando il compratore ne abbia acquistato  certezza obiettiva e completa (Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2011, n. 6169 e la già menzionata sentenza 10.3.2011 n. 5732).

Ulteriori rimedi
Infine, la tutela dell’acquirente, in senso lato e a 360°, (quindi oltre le normative di cui agli artt.1490, 1491,1492,1493, 1494, 1495 c.c.) non  può prescindere dalla riconosciuta possibilità dello  stesso a fare ricorso, sussistendone i presupposti, ad ulteriori rimedi:
a) all’ordinaria azione di risoluzione contrattuale, svincolata dai termini di cui all’art. 1495 c.c., qualora, vi fossero i presupposti di ricorrere alle disposizioni di cui all’art. 1497 c.c.
La normativa codicistica è diretta ad ottenere la risoluzione del contratto per la mancanza delle qualità promesse ovvero quelle essenziali  per l’uso: la dottrina prevalente ritiene di dover tenere distinte le due fattispecie perché mentre la prima – che fa valere la mancanza delle qualità promesse – rappresenterebbe un’azione di garanzia in senso tecnico, la seconda rientrerebbe nella disciplina ordinaria dell’inadempimento contrattuale.
Una differenza certa esiste in quanto, la prima ipotesi costituisce un plus nei confronti della seconda,  per il fatto che, in mancanza delle qualità promesse, non è necessario accertare che il bene sia inidoneo all’uso per far scattare la responsabilità del  venditore.
b) All’azione di annullamento per errore (essenziale) di cui all’art. 1429 c.c. comma I e II nella generale previsione di cui all’art. 1427 c.c., che si concretizza allorquando la falsa rappresentazione  della realtà sia caduta sulla esistenza delle qualità anzidette, incidendo in modo determinante sulla prestazione del consenso.
Questa situazione,
per quanto riguarda le auto d’epoca e di collezionismo , si può verificare allorquan do un acquirente possa ritenere di avere acquistato un auto d’epoca “da competizione” rispetto ad un  “auto sportiva di serie”o un “prototipo”rispetto ad un auto prodotta in più esemplari.
La Suprema Corte II sez. civ. con sentenza del 16.4.1984 n. 2453 ha statuito: “Se oggetto della vendita sia stata una cosa individuata, ben determinata (nella specie: gruppo motore-cambio di autoveicolo sinistrato), e ne sia avvenuta la relativa  consegna, la mancanza di qualità (nella specie: inadattabilità tecnica a veicolo di tipo diverso) non comporta consegna di aliud pro alio e quindi non dà luogo all’azione di inadempimento, né all’azione di risoluzione per mancanza di qualità promesse, ma a quella di annullamento per errore, quando la falsa rappresentazione della realtà sia caduta sull’esistenza semplicemente supposta od anche espressamente promessa delle qualità anzidette, incidendo in modo determinante sulla prestazione del
 consenso”.
c) All’azione di annullamento del contratto per dolo ex art. 1439 c.c. che si perfeziona quando i raggiri usati dal venditore sono tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe concluso il contratto. I raggiri (animus decipiendi) si concretizzano allorquando, con il ricorso agli stessi, il venditore induce l’altra parte a perfezionare il contratto, in difformità al noto brocardo “nemo ex malitia commodum habere debet”.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale (Cass. II sez. 20.4.2006 n. 9253) anche il silenzio o la reticenza potrebbero integrare il dolo rilevante quando si inseriscono in un complesso comportamento preordinato a realizzare con malizia l’inganno perseguito, determinando l’errore del deceptus.
Nella modulazione delle valutazioni circa l’elemento psicologico, va distinto dal dolus malus il dolus  bonus ossia quegli accorgimenti normalmente tollerati in rapporto alla consuetudine ed alla tipologia del contratto tipico.
L’azione di annullamento per dolo è strutturalmente diversa da quella di garanzia trattandosi di due istituti autonomi, in quanto la prima attiene alla formazione della volontà del negozio ed è finalizzata all’annullamento dello stesso con effetti decorrenti  al momento della stipula. L’actio redhibitoria, di cui all’art. 1497 c.c., invece, è finalizzata alla risoluzione del negozio in relazione al profilo funzionale della causa e si collega al mancato adempimento del venditore nell’obbligo di fornire al compratore il bene  con le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l’uso cui è destinato.
d) All’art. 1440 c.c. che configura, in diritto, una autonoma e diversa ipotesi di dolo ossia il c.d. dolus  incidens ossia quel dolo che non rileva nella stipula della compravendita ma influisce sul suo contenuto perché l’acquirente avrebbe concluso, in ogni caso,  il contratto, ma a condizioni migliori (minore prezzo): onde ne consegue la possibilità di richiedere il  risarcimento del danno (differenza del prezzo).  La normativa di cui all’art. 1440 c.c. può essere  applicata, a favore del venditore, in caso di certificazione errata F.I.V.A. o A.S.I. per escludere la sua  responsabilità, quando sia in possesso – in buona  fede – di tale documento.

Nell’ambito degli scambi economici del settore collezionistico, le già menzionate certificazioni rilasciate dagli enti morali di diritto privato a tanto abilitati  (F.I.V.A. e A.S.I.), rivestono la massima importanza  poiché attestano le caratteristiche di storicità ed autenticità del veicolo anche con finalità fiscali ed assicurative, altrimenti non conseguibili, concedendo  un particolare status ai veicoli registrati: è evidente che tale certificazione, alla quale è riconosciuta una esplicazione dei poteri dello Stato nella forma  di esercizio privato di pubbliche funzioni (Corte di Appello di Torino ordinanza 9.6.2000 in ASI c. Ditta Ass. Car.) costituisce un vero e proprio strumento di persuasione che facilita gli scambi, realizzando  una maggiore sicurezza nella trama delle relazioni  sociali con indubbio vantaggio del venditore che ne sia in possesso rispetto agli altri che ne siano sprovvisti.
L’A.S.I. rilascia, oltre al certificato di identità (documento di riconoscimento contenente la fotografia, la datazione, gli estremi identificativi, la storia del veicolo unitamente ed eventualmente alla carta di identità F.I.V.A.), due tipi di certificati, di fondamentale differenza: l’emissione dell’attestazione di  storicità (AdS) ed il certificato di rilevanza storica (CRS).
L’attestazione di storicità è il documento contenente  la datazione e gli estremi identificativi del veicolo che viene rilasciato “ad probationem” su domanda compilata dal proprietario il quale deve “certificare”- a sua responsabilità – le informazione indicate nel modulo di richiesta ai sensi dell’art. 63 commi  2 e 3 Legge 43/2000 nei veicoli costruiti da oltre 20
 anni. Il certificato consente di ottenere un partico- lare trattamento assicurativo ed è utilizzabile per le pratiche di sdoganamento.
Il certificato di rilevanza storica, invece, può essere emesso dopo che siano trascorsi 20 anni esatti dalla data di costruzione del veicolo: è previsto dal D.M. 17.12.09 entrato in vigore il 19.3.2010 e successiva circolare esplicativa del 4.10.2010 ed è necessario per reimmatricolare i veicoli storici. È l’unico documento che attesta la storicità di un veicolo, consentendo la facoltà di revisioni periodiche agevolate e di circolare nelle condizioni d’uso dell’epoca. Gli appassionati auspicano l’unificazione a livello nazionale del richiamato documento con possibilità di semplificarlo e di ottenere la previsione di una biblioteca telematica a livello nazionale, problematica già affrontata dall’A.S.I..
A questo punto, è necessario porsi – seppure nei limiti della finalità della pubblicazione – il problema  della patologia dei documenti indicati che si verifica quando gli stessi siano
 falsi o errati. Va premesso, preliminarmente, che è impensabile una falsificazione ab origine da parte degli enti all’uopo autorizzati, notoriamente virtuosi e di altissimo profilo morale. Deve, quindi, osservarsi:

A) Contraffazione
La contraffazione (consapevole) del certificato può avvenire per svariati motivi, principalmente per evitare il pagamento di una tassa statale o per ottenere da una società di assicurazione uno sconto sul premio: si è in presenza di illeciti di natura penale (truffa ai danni dello Stato o dell’ente assicurativo) che esulano dalla finalità della presente pubblicazione. Sotto un profilo civilistico, l’accertata contraffazione comporta un decisivo sostegno a favore del compratore che intenda intraprendere un’azione di risoluzione del contratto, anche per consegna di aliud pro alio o una quanti minoris o un’azione di annullamento per dolo ex art. 1439 c.c. e stronca ogni eventuale possibile difesa tattica poggiata su una buona fede presunta (mancanza di conoscenza della contraffazione) che, invece, deve essere provata dal venditore.
B) Errata certificazione
Questa situazione – di natura colposa – potrebbe verificarsi, anche se in ipotesi rara, dal momento che gli enti certificatori richiamati, eccessivamente scrupolosi nell’esame delle caratteristiche  necessarie per il rilascio, danno al certificato una  durata temporale e si riservano la possibilità di  controllare periodicamente la validità della carta di identità o di richiamarla per modifica.
Quid iuris, nel caso il venditore, evocato in giudizio, chiami in causa il certificatore a copertura della propria responsabilità nei confronti  dell’attore o nel caso un acquirente che abbia  fondato sulla certificazione errata alcune sue  aspettative (partecipazione a concorsi o a manifestazioni in caso di veicoli sportivi) intenda  promuovere direttamente azione nei confronti  dell’ente certificante per irreperibilità o insolvenza del venditore?

Sotto un profilo giuridico, il certificatore potrebbe rispondere solo in via extracontrattuale per  accertata negligenza nel controllo periodico delle certificazioni, in parziale analogia a quanto avvenuto in alcuni casi per le società di rating e di revisori dei conti. È, comunque, difficile anche connotare una situazione giuridica della c.d.
 “ingiustizia del danno” onde è che, allo stato, in  difetto di una precisa configurabilità analogica, manca un delineato indirizzo dottrinario e giurisprudenziale.
Una ipotesi di probabile verificazione si concretizza nel caso in cui il venditore, prima di perfezionare la vendita dell’auto d’epoca, abbia fatto certificare il veicolo dall’A.S.I., situazione evidenziata all’acquirente ottenendo dallo stesso l’esclusione della responsabilità di cui all’art. 1490 c.c. II comma. In  tale ipotesi, a nostro avviso, al compratore non sarà possibile alcuna azione nei confronti del venditore  perché la presenza della certificazione A.S.I. (seppure errata) esclude la mala fede.

Conclusioni
Alla luce delle osservazioni svolte, ribadiamo che la garanzia per i vizi della vendita riguardante i veicoli d’epoca e di interesse collezionistico deve essere  risolta esclusivamente alla stregua degli artt. 1490,  1491, 1492, 1493, 1494, 1495 c.c.. In sintesi:

  •   il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendono inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (art. 1490 comma I c.c.);
  • l’effetto di tale garanzia è quello di permettere al compratore di domandare, a sua scelta,  la risoluzione del contratto o la riduzione del  prezzo. Se avviene la risoluzione, il venditore  sarà tenuto a restituire il prezzo e rimborsare al compratore le spese ed i pagamenti legittimamente fatti per la vendita. In ogni caso, sarà tenuto a risarcire il danno ai sensi dell’art. 1223 c.c. se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa e, comunque, dovendo risarcire al compratore i danni derivati dai vizi della  cosa (art. 1494 c.c.);
  • la garanzia è esclusa se, al momento del contratto, il compratore conosceva i vizi della cosa o se i vizi erano facilmente riconoscibili, salvo, in questo caso, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi. È, comunque, possibile che le parti stabiliscano un patto di esclusione o limitazione di tale garanzia (necessario di accettazione specifica) che, tuttavia, non opererà allorquando il venditore abbia taciuto in mala fede i vizi della cosa al compratore (artt. 1490 comma II e 1491 c.c.);
  • il compratore decade dalla garanzia se non de- nuncia i vizi al venditore entro 8 gg. dalla scoperta, salvo diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge. L’azione si prescrive, in ogni caso, entro un anno dalla consegna (art. 1495 c.c.).

Le normative codicistiche richiamate dovranno essere applicate dal magistrato con riferimento all’essenza del bene (vetture d’epoca o di interesse collezionistico) con particolare attenzione e  sensibilità,  rectius, con particolare modulazione interpretativa e conseguenziale elasticità applicativa delle normative in relazione alle caratteristiche peculiari e di fragilità di tali veicoli, collegata  al concetto “tempo”, possibilmente sulla base di  una consulenza tecnica più ampia che risponda  ai quesiti particolari in relazione alle richieste  giudiziali, da affidarsi a persone particolarmente  esperte nel settore.
Inoltre, per determinate situazioni, in fatto ed in  diritto, dianzi accennate, la tutela completa dell’acquirente (in senso lato e non solo quale garanzia  per vizi) può essere risolta anche con ricorso al  generale rimedio della risoluzione contrattuale  (ex art. 1453 c.c.) o, sussistendo i presupposti  all’azione di annullamento ex art. 1427 c.c. per  errore o dolo, fermo restando a carico del venditore il dovere di lealtà e correttezza nelle trattative poiché, diversamente, anche se il contratto  non dovesse più concludersi, potrebbe incorrere  in una responsabilità di natura pre – contrattuale  con conseguenziale obbligo di risarcimento dei danni ex art. 1337 c.c.