di Anna Fasoli

Premessa della redazione di Assinews a un testo-meditazione dal titolo quanto meno enigmatico, (all’apparenza).

Riguardo all’incontro del 12 giugno all’Ata Hotel di Milano fra gli agenti che operano per la Milano Assicurazioni, presenti anche i rappresentanti dei Gruppi Agenti che fanno capo a quello che è il Gruppo Unipol-Fonsai, abbiamo fornito i ragguagli salienti. Non risparmiando ai lettori il botto della classica onnicomprensiva “mozionefFinale”.

Fra gli oltre cinquecento colleghi era presente anche Anna Fasoli, operante come titolare del mandato della Milano Assicurazioni in quel di Bussolengo (cittadina alle porte di Verona, il cui sindaco è diventata, al termine delle recenti elezioni amministrative, Paola Boscaini, nota al mondo assicurativo come già vicedirettore generale della Società Cattolica di Assicurazioni, attualmente dirigente alla Sasa Assicurazioni. Ha vinto al ballottaggio, con i voti di una lista civica che ha battuto in breccia il candidato unto nientemeno che dal leader della Liga Veneta, il sempretorvo Tosi).

Conosciamo Anna Fasoli, sempre cogitante e elaborante pensieri non peregrini sulle sorti della professione agenziale. Ha il vantaggio notevole di farlo dall’interno, in corpore vili , come si diceva un tempo.

Sta infatti vivendo con lucida consapevolezza e comprensibile ansia le criticità in cui versa la compagnia per cui storicamente ha sempre lavorato (con annesse e connesse le fusioni, le trasformazioni e i passaggi di proprietà).

Dalla giornata del 12 giugno ha tratto lo spunto per inviarci le sue considerazioni, che evidentemente intende confrontare e condividere con i colleghi e con quanti hanno a cuore soluzioni ovviamente positive del difficile momento.

Soluzioni che – come donna concreta e razionale – amerebbe venissero non sulla spinta delle deviazioni emotive ma da una presa di coscienza circa il valore dell’affermazione del ruolo dell’agente nella società, attraverso una continua aspirazione alla crescita professionale. Ma davvero!

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Il primo dato a colpire è stato quello dell’affluenza: notevole, in questa occasione, notevolissimo. A Milano gli Stati Generali del GAM e del MAGAP, in rappresentanza di tutti gli agenti Milano Assicurazioni, iscritti ai gruppi, hanno riempito la sala l’11 giugno, Il tema si presentava come molto scottante e altrettanto impellente, vicino, molto vicino alla vita quotidiana di ognuno.

Di mezzo c’è infatti una vendita, che dovrebbe comportare uno smembramento. Ecco che i termini stessi sottolineano la sensazione epidermica, che fa sollevare il coro. Separazione, allontanamento, dis-appartenenza: gli ingredienti per scatenare il bisogno di vicinanza ci sono tutti.

Una reazione che è umana, naturale. Una reazione che non può sedarsi quando paura e incertezza irrompono nella vita di tutti i giorni.

Ha scritto, con grande acume (e sollevando infinite critiche) il sociologo americano Edward O. Wilson: “La gente deve avere una tribù. In un mondo caotico la tribù le assegna un nome in aggiunta a quello proprio e un significato sociale, e rende l’ambiente in cui vive meno infido e inquietante”.

Insomma il gruppo funziona come antidoto alla paura, alla spersonalizzazione. Il gruppo diventa un “moltiplicatore emotivo”, un “incubatore di energia”.

Eppure qualche volta, questa grande intensità sollevata può trasformarsi in una macchina di suggestione.

 

Spinte positive, ma uso non sempre costruttivo

Se una critica sorge, e può applicarsi anche alla riunione agenti, è nel modo in cui quella spinta di coesione del gruppo rischia di indirizzarsi.

Qualche volta, infatti, si tratta di un’unità non verso …, bensì contro.  Insomma, la forza scatenata è difensiva. Non si attiva, cioè, per cercare soluzioni creative, per proporre strade alternative, dopo analisi accurate. Invece si scatena una sorta di reazione viscerale, ad alto contenuto istintivo, che indirizza lo spirito di appartenenza ad alzare mura, a barricarsi testardamente per mantenere lo status quo.

In quell’istante il dialogo, vero e proprio, si interrompe. Al suo posto interviene la bagarre.

Di nuovo, Wilson lo esplicita con grande acutezza: spesso si nutre verso il gruppo di appartenenza un istinto a privilegiarlo, basato più su un pregiudizio che su un’effettiva valutazione. Nel gruppo scatena la “coesione contro”, un’unità che non è mediata dalla ragione, da principi analizzati e condivisi, ma dal bisogno di schierarsi contro un nemico comune, che incute terrore. È questo che fa del gruppo, in fondo, l’evoluzione moderna del tribalismo primitivo.

 

In concreto, per noi agenti basterà?

La domanda che sorge spontanea a  questo punto è se davvero una simile forma di unità sia produttiva per la nostra crescita come agenti assicurativi. Se, insomma, abbia delle chance di sbrogliare i nodi problematici attuali, dando l’input per una soluzione realizzabile e con il minor numero di danni possibili. O se, al contrario, esasperi la dialettica di scontro.

Ripercorriamo brevemente gli eventi che hanno condotto all’11 giugno: il gruppo Unipol, cui ora appartiene Milano Assicurazioni, riceve dall’ISVASS l’ordine tassativo di ridurre la quota di mercato assicurativo detenuto. Attualmente esiste un surplus.

Ai vertici l’onere di trovare la soluzione, in termini finanziari, legali e concreti.

Si apre così, emotivamente, lo spazio della “diffidenza”: agenti e compagnia sembrano d’un tratto muoversi su posizioni non identiche. I “figli” e la “madre” hanno interessi in parte disallineati, perché la madre non può più solo pensare a proteggere loro, deve anche rispondere alle istanze del mondo esterno.

Tuttavia il dialogo “in famiglia” prosegue, si insiste da entrambe le parti per la trasparenza, ma, si sa bene, non tutto può essere sempre condiviso, anche perché qualcosa, del dialogo, rischia di essere interpretato male, o magari c’è obbligo per uno dei soggetti di mantenere il segreto, pena responsabilità gravissime.

Insomma si scatena un meccanismo molto simile a quanto, nel piccolo spazio domestico, tutti conosciamo e abbiamo sperimentato.

Ma quando questa dinamica psicologica tracima nello spazio professionale, l’effetto può rivelarsi esplosivo. Con costi elevati per tutti i soggetti coinvolti.

Che cosa intendo? Mi riferisco al rischio di travisare fatti e parole, di dare ad affermazioni concrete significati reconditi. Si può determinare, cioè, quel clima di “caccia alle streghe”, di cui la mente umana è abile ricamatrice. Ma un conto è se fantasmi e chimere restano sulla scena shakespeariana dei palcoscenici estivi, un altro se piombano sulle pagine di comunicati e quotidiani nazionali.

 

I “figli” devono crescere

Senza nulla togliere alle legittime preoccupazioni degli agenti, coinvolti (loro malgrado) in una fase di transizione, non si può, d’altra parte, però, esigere che tutto rimanga immobile, dentro la Compagnia, dentro “la casa”, se fuori sta infuriando una tempesta, che porta il nome di crisi e che in realtà è uno tsunami economico, capace di riscrivere – e vedremo come solo in futuro – la geografia stessa di un paese, il nostro, ma persino di un continente, l’Europa, che ne uscirà rinnovata, per gli ottimisti, annientata per i pessimisti.

Quello che intendo dire è che a tutti piacciono le certezze, ma non è realistico pensare di vivere e crescere sempre in un clima di certezze. I cambiamenti spaventano, in ogni fase di età, biologica, sociale e professionale. Ma talvolta sono inevitabili.

Allora se energie di gruppo, di appartenenza possono essere potenziate e create, utilizziamole piuttosto che per asserragliarci in posizioni rigide, di privilegio da mantenere, per tratteggiare, uniti, delle strade alternative migliori, per smussare gli angoli dove si fanno troppo aguzzi, per disegnare una scala di priorità negoziale, in cui in cima stiamo gli elementi davvero necessari.

Tutto non si può ottenere. Dico di più: per fortuna tutto non si può ottenere o non si sarebbe mai costretti ad attuare quei meccanismi adattativi che, già lo chiariva Darwin, hanno permesso alla specie umana (anche assicurativa) di evolversi.

Certo, mente e cuore, pensieri e paure vanno spesso per strade opposte, ma ci si deve provare a trovare un equilibrio. O rischiamo di somigliare a quel sonnambulo, di cui parla Wilson, “intrappolato tra i fantasmi del sonno e il caos del mondo reale. La mente cerca il luogo e l’ora precisi senza riuscire a trovarli. Abbiamo creato una civiltà da guerre stellari con emozioni dell’età della pietra, istituzioni medievali e una tecnologia fenomenale”.

Ma il controllo delle emozioni tramite il pensiero logico e la conoscenza professionale, quello, è davvero passato di moda?