Il risparmio finanziario e la ricchezza

Nel 2012 è proseguita la riduzione della propensione al risparmio delle famiglie (consumatrici e produttrici), all’11,4 per cento del reddito disponibile (7,9 per le sole famiglie consumatrici; cfr. il capitolo 8: La domanda, l’offerta e i prezzi). Il calo si è riflesso sugli investimenti in attività finanziarie, ma per effetto della riduzione delle passività il saldo finanziario è cresciuto rispetto all’anno precedente, all’1,1 per cento del PIL. Si tratta di un livello nettamente inferiore a quello registrato fino al 2009.

Il valore delle attività finanziarie è leggermente aumentato, principalmente per il positivo andamento delle quotazioni dei titoli registrato alla fine del 2012. Dopo la forte diminuzione del 2011, lo scorso anno la ricchezza finanziaria netta è aumentata del 2,9 per cento in termini reali, un incremento inferiore a quello dei paesi dell’area dell’euro (3,6 per la media dell’area), del Regno Unito (5,5) e degli Stati Uniti (7,8).

La componente immobiliare della ricchezza italiana è invece diminuita del 4,1 per cento in termini reali per effetto del calo dei prezzi delle abitazioni. Nel complesso, la ricchezza netta è rimasta pari a circa otto volte il reddito disponibile, principalmente per il forte calo di quest’ultimo.

Gli investimenti in attività finanziarie. – Nel 2012 gli acquisti netti di attività finanziarie sono stati pari a 16 miliardi di euro (36 miliardi nel 2011; tav. 14.2), il volume più basso dal 1995, da quando si dispone di serie storiche continue. Il flusso di investimenti più rilevante, pari a 51 miliardi, ha riguardato i depositi a scadenza, che hanno beneficiato di una riduzione dell’aliquota fiscale sui relativi interessi (cfr. il capitolo 17: L’attività delle banche e degli intermediari finanziari). Tra i disinvestimenti, sono state ingenti le vendite nette di titoli pubblici italiani (-28 miliardi), sia a breve sia a medio e a lungo termine, e quelle di obbligazioni estere (-25 miliardi). Queste ultime sono state quasi interamente compensate dagli acquisti di quote di fondi comuni esteri: nel complesso il peso delle attività emesse da non residenti sul totale dell’attivo è rimasto stabile al 9 per cento.

Sebbene per volumi inferiori rispetto all’anno precedente, è proseguita la riduzione delle quote di fondi comuni italiani (-6 miliardi). Le famiglie hanno invece effettuato acquisti netti positivi (7 miliardi) di azioni emesse da residenti. Grazie all’andamento favorevole del valore dei titoli, il peso delle attività più rischiose (azioni e fondi comuni) sul totale è aumentato rispetto all’anno precedente, raggiungendo il 28 per cento, a fronte del 29 degli strumenti della raccolta bancaria e del 19 delle riserve assicurative e previdenziali.

L’indebitamento

Nel 2012, per la prima volta negli ultimi quindici anni, i debiti finanziari delle famiglie consumatrici e produttrici italiane si sono ridotti, sebbene per un ammontare contenuto (0,7 per cento della consistenza alla fine del 2011). L’incidenza dei debiti finanziari sul reddito disponibile (66 per cento) è tuttavia aumentata rispetto all’anno precedente a causa della marcata contrazione del reddito; il rapporto resta basso nel confronto internazionale (tav. 14.1).

A dicembre del 2012 i prestiti concessi dalle banche erano diminuiti dello 0,5 per cento rispetto allo stesso mese del 2011. La contrazione è proseguita nel primo trimestre dell’anno in corso (-0,8 per cento). Nell’area dell’euro si è registrata in media una crescita meno sostenuta nel 2012 (0,7 per cento in dicembre) rispetto al 2011 (2,0 per cento), con forti differenze tra i principali paesi (fig. 14.2).

I prestiti per l’acquisto di abitazioni. – I finanziamenti alle sole famiglie consumatrici per l’acquisto di abitazioni sono rimasti stabili tra il 2011 e il 2012; a marzo di quest’anno sono diminuiti dello 0,3 per cento in ragione d’anno (tav. 14.3). Nel 2012 le erogazioni di mutui sono state pari a 26 miliardi, circa la metà di quelle di un anno prima, anche per la diminuzione di surroghe e sostituzioni.

Diversi fattori hanno contribuito al rilevante calo delle erogazioni. La domanda di mutui si è fortemente indebolita per la marcata contrazione del reddito disponibile (4,8 per cento in termini reali; cfr. il capitolo 8: La domanda, l’offerta e i prezzi) e per la ridotta capacità di risparmio delle famiglie. La selettività delle banche è rimasta molto elevata a causa del peggioramento delle prospettive dell’attività economica e, in particolare, di quelle del mercato immobiliare. Le restrizioni sulle quantità, molto forti nel primo semestre, si sono attenuate nella seconda parte dell’anno, quando le banche hanno agito principalmente attraverso i margini applicati sui prestiti, soprattutto su quelli concessi ai mutuatari più rischiosi. Tra il 2006 e il 2012 la quota dei nuovi finanziamenti concessi ai giovani (meno di 35 anni) è diminuita dal 42 al 35 per cento,

quella a favore di extracomunitari dal 10 al 4 per cento. Le condizioni di offerta dei nuovi mutui sono nel complesso rimaste invariate o in lieve peggioramento rispetto al 2011. In base ai dati dell’Indagine regionale sul credito bancario condotta dalle sedi regionali della Banca d’Italia, la percentuale di mutui con un rapporto tra prestiti e valore dell’immobile (loan to value) superiore all’80 per cento è diminuita dal 6 al 5 per cento delle erogazioni; il valore medio del loan to value si è ridotto dal 60 al 59 per cento. La durata media dei nuovi mutui è risultata stabile (22 anni), mentre la percentuale di quelli con durata pari o superiore a 30 anni è aumentata (dal 25,0 al 26,3 per cento delle erogazioni).

I tassi di interesse sui mutui. – Dopo il considerevole aumento registrato nel 2011, lo scorso anno i tassi di interesse sui nuovi contratti di mutuo sono diminuiti, senza però tornare ai livelli della fine del 2010. Il calo è stato più marcato per i mutui a tasso fisso per almeno 10 anni (dal 5,0 per cento di dicembre del 2011 al 4,6 per cento) rispetto ai nuovi contratti a tasso variabile (dal 3,6 al 3,4 per cento). Nell’area dell’euro la riduzione dei tassi di interesse sui nuovi prestiti è stata più accentuata di quella osservata in Italia per entrambi i tipi di mutuo; il divario si è pertanto ampliato (fig. 14.3.a).

Il credito al consumo. – Nel 2012 la variazione del credito al consumo è stata negativa sia per le banche sia per le società finanziarie. Nel complesso in dicembre la contrazione è stata dell’1,2 per cento; la tendenza si è attenuata nel primo trimestre del 2013 (-0,7 per cento; tav. 14.3). È proseguita la forte riduzione dei prestiti finalizzati, in linea con il negativo andamento della spesa per beni durevoli, in particolare per i mezzi di trasporto (cfr. il capitolo 8: La domanda, l’offerta e i prezzi). I prestiti senza finalità specifica concessi dalle società finanziarie hanno continuato a crescere, mentre quelli bancari sono diminuiti dalla seconda metà dell’anno principalmente per la riduzione dei prestiti personali.

I tassi di interesse sul credito al consumo. – I tassi di interesse bancari sulle nuove operazioni di credito al consumo (TAEG) sono aumentati fino al 10,0 per cento a maggio del 2012, per poi ridiscendere in dicembre al livello della fine del 2011, pari al 9,1 per cento. Nei primi mesi del 2013 il costo del credito al consumo ha registrato una nuova tendenza all’aumento (fig.14.3.b). Il differenziale con l’area dell’euro, dove il tasso sul credito al consumo nell’anno è lievemente diminuito (al 6,9 per cento dal 7,2 di dicembre del 2011), ha raggiunto i 2,5 punti percentuali nel marzo 2013, rimanendo su valori storicamente elevati. Vi contribuiscono sia la maggiore ricorrenza in Italia di arretrati di pagamento brevi, che incidono sui costi di recupero del credito, sia le inefficienze della giustizia civile, che si ripercuotono sui costi del contenzioso giudiziario.

La ricchezza e il debito delle famiglie nel confronto con i paesi dell’area dell’euro

Sulla base della prima indagine armonizzata sui bilanci delle famiglie dell’area dell’euro (Household Finance and Consumption Survey, HFCS), nel 2010 la ricchezza netta media per famiglia in Italia era pari a 275.000 euro, un valore inferiore a quello registrato in Spagna (291.000), poco più alto di quello francese (233.000), e superiore a quelli tedesco (195.000) e olandese (170.000; fig. 14.4). La disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza netta è in Italia minore che in Francia, Germania e nel complesso dell’area dell’euro; è maggiore rispetto alla Spagna e ai Paesi Bassi.

Diversi fattori influenzano le evidenze relative all’ammontare della ricchezza nei paesi considerati. L’elevato valore di quella italiana dipende anche dalla maggiore numerosità media dei nuclei familiari. In termini pro capite i divari si riducono fortemente: dal 18 al 5 per cento con la Francia, dal 41 al 15 con la Germania; quello con la Spagna si annulla. Sui divari fra paesi incide anche la diversa composizione della ricchezza lorda: in Italia la quota rappresentata da attività finanziarie era pari nel 2010 al 10 per cento, più bassa di quella registrata per la media dell’area dell’euro (17 per cento) e di quella tedesca (21 per cento). La sottostima del valore dichiarato, che usualmente si riscontra per le attività finanziarie, può generare una valutazione per difetto della ricchezza complessiva tanto maggiore quanto più elevato è il peso della componente finanziaria.

Inoltre, le caratteristiche illiquide dell’investimento in abitazioni ne accrescono il rischio. In Italia tale rischio è più marcato, a causa della più ampia incidenza della ricchezza reale su quella complessiva, soprattutto nelle condizioni di debolezza che caratterizzano attualmente il mercato immobiliare.

Nonostante l’alta percentuale in Italia di famiglie proprietarie dell’abitazione di residenza, e il suo elevato valore medio, l’indebitamento è contenuto nel confronto internazionale, sia per la minore diffusione del debito, sia per il basso valore delle passività per famiglia (fig. 14.5).

La vulnerabilità delle famiglie indebitate

Nel 2012 l’onere per il servizio del debito delle famiglie si è ridotto in conseguenza sia della diminuzione della consistenza del debito sia del calo dei tassi di interesse (0,5 punti per il tasso medio sui debiti in essere). Vi hanno contribuito anche la diffusione di contratti flessibili, che consentono di modificare l’importo della rata senza costi addizionali, e un aumento del ricorso alla moratoria concordata tra l’ABI e le associazioni dei consumatori. In base a simulazioni sui dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane (IBF), si stima che la quota di debito detenuta dalle famiglie vulnerabili, de finite come quelle che hanno un reddito inferiore a quello mediano e un servizio del debito superiore del 30 per cento al reddito, sia stata nel 2012 di poco superiore al 16 per cento, un dato analogo a quello del 2010.

I dati dell’HFCS evidenziano che in Italia le famiglie indebitate, per ragioni familiari o professionali, sono caratterizzate da indicatori di sostenibilità del debito migliori rispetto a quelli della media dell’area dell’euro.

Gli indicatori di rischiosità del credito delle famiglie hanno registrato un lieve peggioramento. La quota dei prestiti scaduti da oltre 90 giorni e quella dei finanziamenti in situazione di temporanea difficoltà (incagli) sono aumentate, raggiungendo rispettivamente l’1,2 e il 2,6 per cento dei prestiti non in sofferenza nel primo trimestre del 2013 (0,9 e 2,1 per cento alla fine del 2011; fig. 14.6.a); l’incremento è stato più forte per il credito al consumo e per gli altri prestiti diversi dai mutui per l’acquisto di abitazioni. Il flusso annuo di nuove sofferenze rettificate in rapporto ai prestiti vivi, che segnava un calo nei primi mesi del 2012, è successivamente aumentato, raggiungendo l’1,5 per cento nel marzo 2013. Nel complesso, il ritmo con cui i prestiti alle famiglie sono transitati verso classi di maggiore rischio, al netto dei miglioramenti, ha registrato solo un contenuto aumento (2,5 punti da 2,4 nel 2011). La selettività delle banche nella concessione dei mutui si è riflessa in un tasso di ingresso in sofferenza dei mutui accordati nel periodo 2009-2011 nettamente più basso rispetto a quello dei periodi precedenti (fig. 14.6.b).

Fonte: Banca D’Italia, Relazione Annuale

Per le tavole e immagini si rinvia alla pubblicazione integrale in allegato