La raccolta netta delle diverse forme pensionistiche complementari, definita come saldo tra contributi e prestazioni, è rimasta pressoché invariata, a 7 miliardi. Le risorse gestite sono cresciute del 16 per cento (10

nel 2011), anche per effetto del rendimento positivo degli attivi. Alla fine del 2012 le attività erano pari a 85 miliardi (73 nel 2011): il 36 per cento faceva capo ai fondi negoziali, il 34 ai fondi istituiti prima della riforma del 1993, il 19 ai piani individuali pensionistici (PIP) e il 12 ai fondi aperti.

La dimensione dei fondi pensione italiani è ancora contenuta, sia per il limitato sviluppo della previdenza complementare, sia per l’elevata frammentazione dell’offerta.

Il patrimonio medio dei comparti è pari a 269 milioni per i fondi negoziali, a 38 per i fondi aperti e a 114 per i PIP. La dimensione è maggiore tra i comparti bilanciati e obbligazionari, minore per quelli azionari.

Nel 2012 gli aderenti alle forme pensionistiche complementari sono aumentati del 5,3 per cento, a 5,8 milioni (tav. 18.7); è tuttavia ulteriormente cresciuto il numero degli iscritti che hanno sospeso le proprie contribuzioni. Il numero degli aderenti ha continuato a ridursi per i fondi negoziali (-1,2 per cento); è aumentato in misura modesta per i fondi aperti (3,7 per cento). Gli iscritti ai PIP sono cresciuti ancora a ritmi sostenuti (14 per cento), passando dal 37 al 40 per cento del totale. Il tasso di adesione tra i lavoratori dipendenti del settore privato rimane ridotto: alla fine del 2012 il rapporto tra iscritti e lavoratori era pari a circa il 25 per cento.

Mentre la distribuzione dei fondi pensione dipende in prevalenza dall’iniziativa dei datori di lavoro e delle organizzazioni sindacali o dal canale bancario, i PIP sono offerti soprattutto attraverso forme di vendita diretta (reti assicurative e postali), che perseguono politiche distributive più aggressive e risentono in misura minore della concorrenza dei prodotti di risparmio bancari.

Il rendimento e i costi. – Dopo i risultati deludenti dell’anno precedente, nel 2012 i rendimenti dei fondi pensione sono stati ampiamente positivi, grazie all’andamento delle quotazioni sui principali mercati finanziari. Secondo i dati forniti dalla Covip, il rendimento medio dei fondi pensione (al netto degli oneri di gestione e di quelli fiscali) è stato pari all’8,2 per cento per i fondi negoziali e al 9,1 per cento per quelli aperti. I PIP hanno registrato un apprezzamento di circa l’8,9 per cento per i prodotti unit-linked e del 3,8 per quelli relativi alle gestioni separate.

Negli ultimi dieci anni i fondi pensione negoziali hanno registrato un rendimento medio annuo del 3,6 per cento, quelli aperti del 2,9; nello stesso periodo il trattamento di fine rapporto si è rivalutato in media, al netto dell’imposta sostitutiva, del 2,7 per cento l’anno. Per una valutazione complessiva di queste forme di risparmio occorre tener conto anche di altri aspetti, tra cui la diversa volatilità dei rendimenti e il vantaggio fiscale di cui godono i fondi pensione nella fase di erogazione delle prestazioni.

I rendimenti sono stati positivi per tutte le principali linee di investimento offerte dai fondi pensione.

Guadagni elevati si sono osservati per i comparti che investono prevalentemente in titoli azionari e

per quelli bilanciati; le linee che operano esclusivamente nel comparto degli strumenti monetari o dei

titoli di debito hanno registrato incrementi minori. Il valore delle quote dei comparti garantiti è aumentato in media del 7,7 per cento per i fondi negoziali e del 6,6 per cento per quelli aperti.

I costi gravanti sui sottoscrittori sono rimasti in media invariati. Per un periodo di investimento di 35 anni l’indicatore sintetico di costo (ISC), che misura la riduzione del rendimento percentuale annuo a fronte del complesso dei costi gravanti sul sottoscrittore (ad eccezione delle commissioni di incentivazione), è pari in media allo 0,23 per cento per i fondi negoziali, all’1,1 per quelli aperti e all’1,6 per i PIP.
Le politiche di investimento. – La composizione delle attività dei fondi pensione non ha subito variazioni di rilievo. Alla fine del 2012 il portafoglio era investito per circa il 50 per cento in titoli di Stato e per il 10 in obbligazioni societarie, in prevalenza bancarie; la quota relativa ai titoli azionari e ai fondi comuni era pari, per entrambi, a circa il 15 per cento; la parte restante era costituita da strumenti monetari (tavv. 18.3 e 18.8). Gli investimenti in titoli non quotati e in fondi chiusi, mobiliari e immobiliari, erano pressoché nulli.

Rispetto ai paesi dove la previdenza complementare è più sviluppata, il portafoglio dei fondi pensione italiani è caratterizzato da una quota ridotta di titoli del settore privato, in particolare di investimenti in attività meno liquide (quali le obbligazioni non quotate e i fondi di private equity). Tali differenze sono in parte riconducibili alla presenza limitata nel mercato italiano di intermediari e servizi di investimento specializzati e alla ridotta dimensione dei fondi pensione, che rappresenta un ostacolo per il pieno sfruttamento delle economie proprie dell’attività di investimento. La gestione di attività non tradizionali richiede, infatti, l’adozione di strumenti specifici per la valutazione e il controllo dei rischi e strutture di governo societario più complesse.

I limiti agli investimenti previsti dall’attuale assetto regolamentare sono ampiamente sopra le quote osservate. La normativa per i fondi pensione istituiti dopo la riforma del 1993 non prevede limiti per i titoli di debito o di capitale quotati nei principali mercati regolamentati, purché siano emessi da soggetti residenti in uno dei paesi OCSE. Con riferimento ai titoli non quotati, o quotati in mercati minori, vi è un limite pari al 20 per cento del patrimonio del fondo per il complesso dei titoli di debito e di capitale; entro tale soglia le azioni non possono superare il 10 per cento. Le regole sono molto più stringenti per i titoli emessi da soggetti residenti in paesi non OCSE. La normativa prevede, inoltre, che gli investimenti in fondi comuni chiusi non possano superare il 20 per cento del patrimonio del fondo pensione e il 25 per cento di quello del fondo chiuso.

Sulla base delle informazioni raccolte dall‘OCSE, i limiti relativi agli investimenti dei fondi pensione sono molto differenti tra i diversi paesi. In Germania la normativa distingue tra Pensionfond e Pensionskasse; per i primi non esistono limitazioni regolamentari, mentre per i secondi è fissato un limite massimo di investimento per le azioni (pari al 35 per cento per quelle quotate e al 15 per quelle non quotate), per le obbligazioni (50 per cento) e per i prestiti (50 per cento). In Francia i prodotti pensionistici gestiti dalle compagnie assicurative (che rappresentano una parte rilevante del risparmio previdenziale) devono rispettare dei limiti per gli investimenti in azioni (65 per cento per quelle quotate e 5 per quelle non quotate), in obbligazioni (5 per cento, ma solo se derivanti da cartolarizzazioni) e in prestiti (10 per cento).

Gli enti di previdenza privati. − Secondo dati forniti dall’associazione di categoria (ADEPP) e relativi a 19 enti, nel 2011 la raccolta netta delle Casse (enti che erogano prestazioni di previdenza obbligatoria in prevalenza a liberi professionisti) è stata pari a 3,1 miliardi, in linea con quella dell’anno precedente. Si sono registrate entrate contributive per 8,1 miliardi e uscite legate alle prestazioni per 5,0 miliardi. Il numero degli iscritti contribuenti è rimasto sostanzialmente invariato, a 1,7 milioni.

Il patrimonio complessivo degli enti era di 46 miliardi, pari al 2,9 per cento del PIL; circa un quinto del patrimonio era investito in attività immobiliari. Tra le attività finanziarie la quota di titoli di Stato era pari al 17 per cento; quelle di obbligazioni societarie, fondi comuni mobiliari e azioni erano, rispettivamente, il 24, il 19 e il 3 per cento; la parte restante era costituita principalmente da fondi immobiliari e strumenti monetari.

Fonte: Banca d’Italia, Relazione annuale