di Roberta Castellarin e Paola Valentini

A sei anni dall’avvio delle linee garantite dei fondi pensione è il momento di tirare un po’ di bilanci visto che sono scaduti i primi mandati di gestione. Tra l’altro nei nuovi spuntano alcune novità di rilievo sul fronte dei costi e dei rendimenti, quindi dell’efficacia nel garantire un’adeguata copertura alla pensione pubblica.

Aspetti che interessano molti lavoratori visto che questi comparti, operativi dal luglio 2007 per accogliere il trattamento di fine rapporto dei lavoratori che aderivano con il silenzio assenso alla previdenza complementare, hanno attirato un quarto degli aderenti ai fondi negoziali e a quelli aperti, con punte del 72% nei piani individuali di previdenza (pip). In quest’ultimo caso a dominare sono le linee di gestione dal profilo di rischio più contenuto, in particolare le gestioni separate, che sono garantite. «Il momento storico in cui è avvenuto l’avvio dei pip può spiegare tale evidenza. In una delle crisi di mercato più violente della storia, la capacità di offrire rendimenti sicuri, grazie anche alla peculiarietà delle gestioni assicurative, in particolare la valorizzazione al costo storico anziché al mark to market, potrebbe avere guidato le decisioni dei lavoratori a favore delle linee con gestione separata», spiega il Mefop, l’associazione per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione.

Il problema è che con i tassi in ribasso oggi le gestioni garantite dei pip non riescono a raggiungere rendimenti elevati e sono troppo costose per le società che le offrono. Inoltre quest’anno non c’è più neanche l’effetto spread, che nel 2012 aveva fatto registrare ai fondi aperti e negoziali, che invece valorizzano gli asset a prezzi di mercato, rendimenti anche a doppia cifra.

 

Il problema è sottolineato anche dalla relazione annuale 2012 di Covip, dove si legge: «Con riferimento alle gestioni con garanzia di risultato, sono venute in evidenza le difficoltà incontrate nel corso della crisi nell’individuazione di titoli in grado di realizzare adeguati livelli di rendimento. L’accrescimento del rischio che, conseguentemente, avrebbe finito per gravare sul soggetto tenuto alla garanzia ha peraltro indotto a una ridefinizione dell’offerta, con un abbassamento del livello del risultato garantito o la rinuncia all’assunzione di mandati garantiti. Ciò anche per la difficoltà, in relazione alla generalizzata situazione del mercato, di rivedere al rialzo i livelli commissionali; elemento che tuttavia, secondo alcuni operatori, avrebbe potuto consentire gestioni più dinamiche».

 

Lo stesso fenomeno lo ha rilevato anche l’analisi Mefop. «Il mercato delle garanzie offerte dai fondi pensione, in particolare quelli di origine contrattuale, sta attraversando una fase di transizione. Si sono infatti concluse, sono attualmente in corso o sono in procinto di essere avviate numerose gare per il rinnovo delle gestioni garantite avviate nel 2007, che giungono a scadenza proprio in questi mesi», spiega Mefop.

Un rinnovo che avviene dopo la forte turbolenza sui titoli di Stato italiani, su cui le gestioni garantite sono molto esposte.

Peraltro il mercato del debito sovrano tricolore non è ancora tornato alla tranquillità degli anni precedenti la crisi e la volatilità resta alta. Ecco perché il Mefop rileva che «le attuali condizioni di mercato, segnatamente le perturbazioni sui tassi di interesse del debito sovrano italiano, ostacolano il mantenimento delle garanzie offerte dai gestori nel 2007». Non a caso dalla fase di rinnovo stanno emergendo alcune tendenze di rilievo. «Da inizio anno due fondi chiusi hanno rivisto il tipo di garanzia offerta, sostituendo il rendimento minimo, in un caso il Tfr e nell’altro caso un tasso del 2,5%, con la restituzione del capitale versato dall’aderente», spiega Mefop.

Secondo l’analisi dell’associazione con riferimento alle tipologie di garanzie prestate, i fondi aperti e i pip prevedono in prevalenza una garanzia di rendimento minimo. La situazione tra i fondi chiusi vede la lieve prevalenza della restituzione del capitale. A inizio 2012, erano invece prevalenti, seppure marginalmente, i comparti che offrivano una garanzia di rendimento minimo.

Un altro problema è che se i tassi resteranno ai minimi, chi aderisce alle linee garantite rischia di avere pensioni magre. Una differenza di rendimento può avere infatti un impatto importante sul risultato finale. Come mostra il grafico elaborato da Itinerari Previdenziali. Un versamento iniziale di 100 euro viene capitalizzato a tre differenti tassi attesi di rendimento (rispettivamente 2%, 2,5% e 3,5%) per mostrare come cambia il risultato finale dopo 35 anni. Con un rendimento del 3,5% i 100 euro dopo 35 anni diventano 333 euro, mentre con il 2% diventano 200. Da qui la necessità di fare una seria riflessione sulle linee scelte, che si rende ancora più urgente quando si analizza la distribuzione per età degli iscritti con riguardo ai diversi profili di investimento. Infatti in base ai dati censiti da Covip a fine 2012 i comparti garantiti e obbligazionari prevalgono nelle scelte di tutte le classi di età, raggiungendo livelli particolarmente elevati (intorno al 75%) tra gli iscritti più giovani. Le scelte di investimento degli aderenti non sembrano quindi ispirate dai modelli di tipo life-cycle, che prevedono l’elevata esposizione azionaria nei primi anni di partecipazione al piano e la sua graduale riduzione all’avvicinarsi dell’età di pensionamento, a causa della diversa propensione al rischio nelle varie fasce di età.

 

Un dato che, insieme alle difficoltà incontrate in questi anni nel mantenere la garanzia offerta, hanno indotto la Covip ad «attivare una riflessione sulla previsione normativa che obbliga a far confluire in gestioni garantite il Tfr oggetto di conferimento tacito. Al riguardo, è emerso particolare favore per una revisione della norma nel senso di allocare questi flussi secondo la logica life-cycle».

Proprio su quest’ultimo aspetto si sofferma anche Mefop: «Alcuni fondi pensione stanno cercando di dare una risposta al rischio di un’insufficiente accumulazione previdenziale, ponendo maggiore enfasi sugli effetti del comportamento inerziale degli aderenti sul montante di cui disporranno al pensionamento. Per ovviare a tali rischi, alcuni operatori hanno avviato strategie di gestione paternalistiche denominate life style».

Queste formule prevedono lo spostamento automatico dell’iscritto dalle linee più rischiose a quelle caratterizzate da minore contenuto azionario, in relazione agli anni mancanti al pensionamento. Al momento un numero esiguo di fondi prevede l’impiego di tali modelli. Sono soprattutto i pip e i fondi aperti a impegnarsi su tali strategie; al contrario tra i fondi chiusi si registra soltanto l’esperienza di un operatore. Ma anche le strategie di life cycle presentano alcune criticità. «La tempistica del passaggio da un comparto all’altro rappresenta un elemento delicato poiché, se effettuato in periodi di elevata volatilità, l’aderente rischia di consolidare le eventuali perdite maturate durante la permanenza nel comparto più rischioso, difficilmente recuperabili trasferendo la posizione su un comparto meno aggressivo», avverte Mefop.

Quanto ai costi, invece, Mefop rivela che la maggior parte dei fondi che hanno rinnovato le linee con il paracadute hanno mantenuto le garanzie degli eventi coperti, ma hanno aumentato le commissioni. E questo è accaduto in particolare nei fondi negoziali. «Da inizio anno, infatti, 11 fondi chiusi hanno aumentato gli oneri commissionali di gestione sui comparti garantiti. La fee media è cresciuta del 10% circa, passando da 0,237% a 0,262%, sottolinea Mefop. (riproduzione riservata)