Il Financial Times, nella sua Lex Column che verrà pubblicata oggi, torna a parlare del dossier Unipol-Fonsai. E a mettere in luce la caratteristica spesso barocca delle operazioni italiane, in cui però almeno stavolta, ammette il quotidiano della City, si assiste a un esempio di «takeover competitivo», visto che per il gruppo assicurativo si sono sfidati da una parte il gruppo bolognese Unipol, spalleggiato da Unicredit e Mediobanca, e dall’altro il tandem rappresentato da Sator e Palladio. La fusione a quattro proposta da Unipol, osserva la Lex Column, avrebbe anche un senso industriale: cioè, quello di creare un gruppo con le spalle larghe abbastanza da fare concorrenza a Generali (sul fatto che Mediobanca sia anche controllante del gruppo triestino il giornale glissa). I problemi però sono due: da una parte il fatto «che Fonsai, Premafin e Unipol si stanno dibattendo sotto il peso del debito». Il secondo è che l’operazione «è diabolicamente complessa, per soddisfare gli interessi in competizione delle parti coinvolte, ed è sbilanciato a favore di Mediobanca (che ha 1 miliardo di esposizione verso Fonsai) e Unicredit, il principale creditore di Premafin. Senza contare che non si conosce ancora il valore di mercato del portafoglio di bond strutturati di Unipol, iscritti in bilancio per circa 5 milairdi di euro, «che potrebbe penalizzare il suo solvency ratio, una misura chiave della solidità finanziaria dei gruppi assicurativi, e che la fusione avrebbe l’obiettivo di rafforzare». Come dire: alla fine tutto questo pasticcio avverrebbe per nulla. Mentre l’offerta di Sator «è più semplice, anche se ci sono dubbi sulla possibilità di finanziarla in condizioni di mercato difficili». L’FT conclude dicendo che il board di Fonsai, messo al centro della scena, «deve agire nell’interesse di tutti gli investitori». E ignorare la cacofonia capace di distrarre che proviene dalla finanza italiana.