di Carlo Giuro

È stato posto in pubblica consultazione fino al prossimo 29 giugno il tanto atteso decreto interministeriale sui limiti di investimento dei fondi pensione sulla regolamentazione dei conflitti d’interesse. Dopo un tentativo che era stato esperito già nel 2008 poi in giunto al capolinea, il nuovo Provvedimento del ministero dell’Economia di intesa con ministero del Lavoro, aggiorna e rivede il decreto del ministero del Tesoro 21 novembre 1996, n. 703. L’obiettivo è quello di adeguare la regolamentazione al mutare dei tempi finanziari e alla evoluzione normativa stessa alla luce del recepimento nel nostro ordinamento della direttiva europea sui fondi pensione. Quali sono le linee guida? La premessa che viene posta è che la revisione della regolamentazione esistente, partendo dall’obbiettivo di perseguire gli interessi degli aderenti e dalla considerazione che l’investimento previdenziale ha una natura peculiare e differente da quello puramente finanziario, si muove verso una maggiore attenzione alle capacità gestionali e ai processi decisionali dei fondi pensione e alla loro necessaria maggiore responsabilizzazione nel controllo e gestione dei rischi, da effettuare attraverso il ricorso a strumenti e modelli di gestione congruenti. In tale prospettiva si tende a superare la filosofia della disciplina esistente, incentrata su precisi limiti quantitativi agli investimenti con una esplicitazione puntuale delle tipologie di attività finanziarie in cui il fondo può investire e per ogni categoria di strumenti la determinazione delle percentuali massime di investimento a una invece più prettamente qualitativa. Con riferimento ai limiti agli investimenti, afferma il ministero dell’Economia, si ritiene infatti che un approccio incentrato su limiti quantitativi, come quello oggi esistente, non sempre assicura l’efficienza della gestione o una diminuzione dei rischi, esponendo il fondo pensione a risultati sub-ottimali in termini di benefici e tutela per gli aderenti. Il nuovo schema di decreto delinea, quindi, un’attenzione maggiore alla capacità di conoscere e gestire i rischi connessi agli investimenti piuttosto che al mero rispetto di limiti quantitativi. La nuova disciplina si basa sul principio comunitario della persona prudente che, perseguendo l’ottimizzazione del rapporto redditività /rischio, è declinato secondo criteri di adeguata professionalità, attenzione ai processi, conoscenza e gestione dei rischi inerenti gli investimenti. Si sostanzia, dunque, in una protezione degli interessi degli aderenti realizzata attraverso il ricorso a strutture organizzative-professionali, interne ai fondi, e a processi decisionali adeguati e proporzionati alle masse amministrate e alla politica di investimento che il fondo intende adottare. Tali strutture e processi devono assicurare, in maniera trasparente, una comprensione, controllo e gestione continua di tutti i rischi, non solo finanziari e di mercato ma anche, ad esempio, operativi e reputazionali cui il fondo può essere esposto. La capacità organizzativa e professionale del fondo in termini di risk management dovrà precedere qualunque tipo di investimento e dovrà essere presente sin dalla definizione della strategia di investimento che deve individuare gli obiettivi di rischio/rendimento e il limite massimo di rischio tollerabile (budget di rischio, perdita massima potenziale) con riferimento ai singoli investimenti e al portafoglio nel suo complesso. La strategia di investimento dovrà essere motivata e coerente con gli interessi e le aspettative degli aderenti. I fondi pensione operano quindi nel rispetto del principio della sana e prudente gestione perseguendo l’ottimizzazione della combinazione redditività-rischio del portafoglio nel suo complesso, attraverso la scelta degli strumenti migliori per qualità, liquidità, rendimento e livello di rischio; realizzando una adeguata diversificazione del portafoglio finalizzata a contenere la concentrazione del rischio e la dipendenza del risultato della gestione da determinati emittenti, gruppi di imprese, settori di attività e aree territoriali; perseguendo una efficiente gestione finalizzata a ottimizzare i risultati, contenendo i costi di transazione, di gestione e di funzionamento in rapporto alla dimensione e alla qualità dei mezzi amministrati. Ruolo centrale assume la coerenza della gestione finanziaria rispetto al Documento sulla politica dell’investimento previsto dalla Deliberazione Covip del 16 marzo 2012. Andando dal punto di vista concreto alla disamina delle disposizioni, i fondi pensione possono investire in strumenti finanziari, Oicr, depositi bancari, mezzi di pagamento con una prevalenza di strumenti finanziari negoziati nei mercati regolamentati; l’investimento in strumenti finanziari non negoziati nei mercati regolamentati è contenuto in ogni caso entro il limite del 30% del patrimonio. I fondi pensione non investono più del 5% del patrimonio in strumenti finanziari emessi da uno stesso soggetto e non più del 10% del patrimonio in strumenti finanziari emessi da soggetti appartenenti a un unico gruppo. Tali limiti non si applicano per gli strumenti finanziari emessi o garantiti da un Paese membro dell’Unione europea, da un Paese aderente all’Ocse o da organismi internazionali di carattere pubblico di cui fanno parte uno o più Paesi membri dell’Unione europea. L’investimento in fondi chiusi e fondi alternativi (hedge fund) è contenuto entro il limite del 20% del patrimonio del fondo pensione e del 25% del valore del fondo chiuso o alternativo. Tale ultimo limite è riferito al complesso delle disponibilità del fondo pensione. I fondi pensione possono investire in strumenti finanziari connessi a merci entro il limite del 5% del patrimonio purché emessi da controparti di primaria affidabilità, solidità e reputazione. (riproduzione riservata)