Cala la quota delle famiglie italiane che riescono a risparmiare, dal 47,2% del 2011 al 38,7% di quest’anno, in diminuzione di oltre 8 punti percentuali.
E’ quanto emerge dall’indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2012, realizzata dal Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo, basata su un sondaggio Doxa effettuato tra gennaio e febbraio, intervistando 1.053 capifamiglia, correntisti bancari e/o postali.
Secondo la ricerca il saldo tra i giudizi di sufficienza e insufficienza del reddito corrente, che aveva toccato il picco (71,7%) nel 2002, scende al minimo storico (45,7%), dal valore di 53,4 rilevato nel 2011 come conseguenza della ripresina del 2010. I piu’ colpiti dalla crisi delle entrate sono i ventenni (-21,4 punti rispetto al 2011), le donne (-8,9), gli esercenti e artigiani (-10,3). Nel 2011 raggiunge il picco (12,5%, ossia un intervistato su otto, in crescita di 3 punti rispetto al 2011) la quota di chi dichiara il proprio reddito del tutto insufficiente al mantenimento del tenore di vita.
La crisi ha colpito anche l’87,5% che dichiara entrate sufficienti o più che sufficienti. Infatti, solo il 15,2% degli intervistati ha dichiarato di non avere avuto alcun impatto dalla crisi. Il 46,2% ha intaccato i risparmi e il 36,9% ha rinunciato all’acquisto di un’auto o lo ha rinviato. Il 24,3% si è messo in cerca di un nuovo lavoro o di una fonte di entrate integrativa, avendo successo solo in un caso ogni tre (6,7% del campione).
“Il tema principale della ricerca”, ha spiegato Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, “è il disorientamento e le difficoltà delle famiglie nel guardare al futuro. Insieme al rigore, serve accelerare sulle riforme e sul tema dell’equità nella distribuzione dei sacrifici e equità tra le generazioni. Bisogna favorire un ritorno alla fiducia”. Se si riuscirà a completare questa svolta, “avremo una minore presenza dello Stato nell’economia, un minor vincolo del debito pubblico e un’economia più moderna ed efficiente”.
Inoltre con la crisi cambiano le motivazioni del risparmio. Scende l’acquisto della casa: valeva il 25,7% nel 2004, il 16,2% nel 2007, il 12,7% nel 2011 e si contrae fino ad appena il 5,5% nel 2012.
Secondo la ricerca, toccano invece il massimo le motivazioni ereditarie o di trasferimento di parte delle ricchezze ai figli: il 19,5% risparmia per aiutarli, pagar loro gli studi o lasciare un’eredità. Si conferma in lenta crescita negli anni la motivazione a integrare la pensione (12,8% nel 2012 e 9,3% nel 2005). Crisi e riforma previdenziale fanno scendere anche dal 26 al 20,5 per cento il saldo sulle aspettative di sufficienza e insufficienza delle entrate al momento della pensione (domanda rivolta ai non pensionati; il valore 2012 risulta inferiore di 37,5 punti al massimo storico del 2002). La riforma è compresa (il 49,5% pensa che sia giusto lavorare più a lungo) ma il 48,9 dichiara che è sbagliato cambiare le regole troppo spesso. I giudizi positivi, peraltro, sono più frequenti tra i giovani. La riforma appare integrata nelle aspettative individuali. Il 43,1% si aspetta una pensione pari o inferiore a 1.000 euro e solo il 9,6 ritiene che sarà superiore a 1.500 euro. Nonostante tale consapevolezza, la quota di sottoscrittori di un fondo pensione, negoziale o aperto, è ancora solo del 10,5 per cento. Il tasso di adesione è maggiore della media fra i trentenni (13,6%), i cinquantenni (14,3%), i residenti nel Nord-Ovest (15,1 per cento), i percettori di un reddito mensile superiore a 2.500 euro (19,6%). Sono preferite (53,2%) le gestioni monetarie, miranti a salvaguardare il capitale. Metà dei dipendenti (50,2%) continua però a scegliere il Tfr, la cui destinazione attesa è in primo luogo sostenere i figli (38%), poi investirlo per avere un reddito integrativo (19,2%), infine impiegarlo per viaggi e hobby (10,3%).
Quasi la metà (47,3%) del campione dichiara che investire è diventato più difficile rispetto all’anno precedente: al primo posto (25,7%) la difficoltà a comprendere il rischio legato ai diversi impieghi. Per questo, il principale obiettivo è la sicurezza (53%, contro il 34 nel 1988). Seguono il rendimento immediato (16,6 per cento, segno della necessità di cedole e dividendi in anni difficili) e la liquidità (15,8%). Trascurabile l’obiettivo di crescita del capitale a medio-lungo termine (7%), sia perché subordinato agli obiettivi prudenziali, sia perché nel passato recente le promesse degli investimenti di lungo termine non sono state sempre mantenute.
Il 21,7% degli intervistati è possessore di obbligazioni, che si confermano il principale impiego finanziario degli italiani (in calo tuttavia, la quota era del 24,6% nel 2011). Del resto, la crisi dei debiti sovrani ha lasciato tracce: scendono dal 23,7 al 17,8 per cento coloro che giudicano le obbligazioni un investimento sempre sicuro e salgono al 28,5 per cento coloro che lo giudicano molto rischioso. La quota dei patrimoni investita in obbligazioni è del 24,2%, senza variazioni significative per età.
Gli investitori in azioni negli ultimi cinque anni sono il 12,5 per cento del campione (valore identico al 2011). Gli investitori nel risparmio gestito sono il 10,9%, in lieve calo sul 2011: da sempre la dinamica del settore ha risentito delle oscillazioni dei mercati, e così è avvenuto anche quest’anno. Tra i possessori, il 18,3% è un nuovo sottoscrittore. Le due ragioni principali di sottoscrizione sono affidare i propri risparmi a esperti (27%) e ridurre i rischi degli investimenti (26,1 per cento).
Il credito al consumo si conferma strumento cui ricorre una proporzione non irrilevante delle famiglie: il 18,5% sta rimborsando una rata per acquisti finanziati a credito ma solo il 2,6 più di una. La propensione cresce al crescere del reddito, il che è segno di sostenibilità. Sono finanziati a credito l’automobile (49%) e l’arredamento o ristrutturazione della casa (16,5%). Per il 70% dei sottoscrittori occorre al massimo un anno di entrate per estinguere il prestito.
L’82,1% degli intervistati si avvale di una sola banca, il 6,1 ne usa almeno due. In generale, il rapporto con la banca è marcato da significativa fedeltà. La percentuale di patrimonio finanziario tenuta ‘liquida’ sul conto sale ancora nel 2012 per effetto della crisi. Coloro che lasciano l’intero patrimonio sul conto corrente passano dal 9,1 al 15 per cento; coloro che detengono in forma liquida almeno metà delle proprie disponibilità passano dal 9,3 al 12,3%. Il 23,6% utilizza la banca anche come consulente per gli investimenti. Il 92,9% possiede almeno una carta Bancomat e i servizi fruiti online sono in aumento dal 26,3 per cento (2011) al 30,7 per cento del campione. Il 9,9% si dichiara ‘molto’ soddisfatto della propria banca e la stragrande maggioranza (74,6 per cento) ‘abbastanza’ soddisfatto.
Per il 55,1% degli italiani le istituzioni non sono affidabili nella difesa del risparmio. Secondo lo studio a non avere fiducia in nessuna istituzione è il 61,4% dei residenti nelle grandi città, il 58,7 dei quarantenni, il 63,7 degli intervistati meno istruiti, il 57,4% de pensionati, il 58,8% dei dipendenti e il 60,4% di coloro che guadagnano meno di 1.600 euro mensili.
“E’ un dato preoccupante”, ha commentato Andrea Beltratti, presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, durante la presentazione, “occorre che le istituzioni lavorino e comunichino ciò che fanno. E’ una sfiducia che rischia di diventare una sfiducia in noi stessi e nella nostra società. Un altro elemento negativo che emerge da questo studio e’ il grado di confusione che c’è sull’euro. C’è il rischio che questa confusione rischia di impedire di capire e di conoscere la realtà”.
Secondo Beltratti l’euro non è la causa della crisi. ‘La moneta unica ci ha dato stabilità economico-finanziaria. I tassi sono al 6% non perché c’è l’euro. Senza l’euro salirebbero all’11-12%. La moneta unica ha aiutato a capire quali sono i punti di debolezza di questa struttura ‘europea ‘e sono convinto che l’Europa uscirà ancora più forte’ da questa crisi.
Nel 2012 l’approfondimento annuale ha riguardato un campione di 1.002 baby boomer, ossia i nati tra il 1951 e il 976. Secondo lo studio solo il 4,5% dei boomie si e’ dichiarato non indipendente nei dodici mesi precedenti l’intervista. In media i baby boomer contano su 1,7 fondi di entrate stabili, l’83,1% ha un reddito da lavoro e in quasi un caso su due si ha in famiglia anche il reddito di un coniuge o di un convivente. L’11,3% dichiara redditi da case o investimenti, il 4,1 redditi da un’azienda. I boomie che ritengono di essere regrediti nel reddito superano quelli che si giudicano progrediti. A dichiarare di non essere stati toccati dalla crisi sono il 17,3% degli early boomie (nati tra il 1951 e il 1960),il 17,1% dei median (1961-1970) e il 15,6% dei late boomie (1971-1976). I meno colpiti sono stati i single senza figli (21,2% quelli non toccati), i piu’ colpiti i single con figli (8,6% i non toccati). L’,1% dei boomie ha perso il lavoro nell’ultimo anno.
Infine dallo studio emerge che il risparmio gestito attrae l’11,7% dei boomie, contro il 10,9% del campione generale. La quota di possessori di obbligazioni e’ pari in media al 21,5% (21,7% nel campione generale). Dopo l’ultima riforma previdenziale i boomie si aspettano di andare in pensione a 65,4 anni (early boomie), 65,5 anni (median) e 66,8 (late boomie). A seguito della riforma il 23,8% dei boomie ha dichiarato di aver risparmiato di più. Il 17,6% ha sottoscritto uno strumento previdenziale e il 3,2% ha aumentato i contributi alla gestione integrativa già in essere.