di Andrea Di Biase

Il blitz dei principali soci delle Generali per procedere a un ricambio al vertice della compagnia, sostituendo l’attuale group ceo Giovanni Perissinotto con il top manager di Zurich Mario Greco, rischia di avere conseguenze imprevedibili anche sugli equilibri al vertice di Mediobanca. Anche se, come ha sottolineato venerdì 1° giugno Leonardo Del Vecchio, l’iniziativa di procedere alla rimozione di Perissinotto è stata presa dal patron della Luxottica assieme all’ad del gruppo De Agostini, Lorenzo Pellicioli, il fatto che Alberto Nagel e Renato Pagliaro abbiano avallato la mossa dei due grandi azionisti del Leone, cui si sono accodati anche Francesco Gaetano Caltagirone e la Fondazione Crt, ha aperto un terzo e pericolosissimo fronte per la banca di Piazzetta Cuccia, dopo quelli ancora non chiusi relativi a Unipol-FonSai e RcsMediagroup. Qualunque dovesse essere l’esito del confronto in seno al cda delle Generali, anche se è molto probabile che il fronte avverso a Perissinotto possa avere la meglio, è ragionevole attendersi che nei prossimi giorni gli attacchi, mediatici e non, già in atto nei confronti del management di Mediobanca, possano aumentare di intensità. Un primo assaggio lo si è avuto proprio venerdì con la diffusione su agenzie di stampa e siti internet della lettera inviata dallo stesso Perissinotto ai consiglieri delle Generali, in cui quest’ultimo, dopo aver negato per anni in tutte le sedi ufficiali l’esistenza di un’egemonia di Mediobanca sul Leone, ha accusato Piazzetta Cuccia di continuare a voler «mettere i propri interessi sopra quelli della compagnia», di averne impedito lo sviluppo per linee esterne attraverso aumenti di capitale, per il timore di diluirsi e perdere influenza e, infine, di aver tramato contro di lui per il solo sospetto di aver appoggiato l’iniziativa di Roberto Meneguzzo e della Palladio Finanziaria volta a contendere il controllo di FonSai a Unipol, ostacolando così i piani di Piazzetta Cuccia. Sospetto che Perissinotto ha bollato come «irrazionale », esprimendo comunque le sue perplessità sulla «visione strategica» dell’operazione FonSai-Unipol, e adombrando lui stesso sospetti sulla «salute finanziaria » della compagnia bolognese. Tanto da scatenare la stizzita reazione dell’ad di Unipol, Carlo Cimbri. La presa di posizione di Del Vecchio, che si è attribuito assieme a Pellicioli la paternità dell’iniziativa, precisando anche che «la vicenda FonSai-Unipol non c’entra nulla» con la decisione di sfiduciare Perissinotto, potrebbe dunque non bastare a togliere Nagel e Pagliaro dal centro delle critiche cui sono finiti dopo il filotto di risultati loro favorevoli portati a casa da un anno a questa parte. Dopo essere riusciti a spingere alle dimissioni l’allora presidente del Leone, Cesare Geronzi, capitalizzando abilmente le critiche di Diego Della Valle al banchiere capitolino e riuscendo a portare dalla propria parte gran parte degli azionisti della compagnia triestina, il management di Mediobanca ha visto chiudersi in modo favorevole alcune delle principali partite giocate nei mesi successivi. L’azzeramento del cda della Rcs Quotidiani, dove fino ad allora sedevano, oltre a Geronzi, anche Giovanni Bazoli, Marco Tronchetti P r o v e r a , John Elkann e Diego Della Valle, riportando alla centralità il patto di sindacato di Via Rizzoli, è stato solo il primo passo per arrivare nelle ultime settimane a una ridefinizione complessiva della governance della casa editrice, con la nomina di un nuovo cda composto in prevalenza di amministratori indipendenti, e finalizzato con l’arrivo dell’ex manager Microsoft, Pietro Scott Jovane, nel ruolo di capo azienda. Un risultato raggiunto con il supporto di altri grandi azionisti di Rcs, a cominciare dalla Fiat e da Intesa Sanpaolo, ma che non ha evitato al management di Mediobanca di tirarsi addosso un coro di critiche da parte di coloro, a partire proprio da Diego Della Valle, che sulla governance di Via Rizzoli avevano progetti diversi. Ma la mano di Piazzetta Cuccia è stata determinante anche nel consentire alla Investindustrial di Andrea Bonomi (pochi mesi dopo invitato ad entrare come indipendente proprio nel cda di Rcs) di conquistare la Popolare di Milano avendo la meglio sul fondo Sator dell’ex enfant prodige della stessa Mediobanca, Matteo Arpe. Così come ben visto dalla banca d’affari milanese è stato il passaggio del controllo di Impregilo sotto le insegne del gruppo Gavio. Non per nulla nell’ultimo aggiornamento del patto di sindacato della banca d’affari, il gruppo di Tortona, in ottimi rapporti soprattutto con il presidente Renato Pagliaro, ha ottenuto la possibilità di accrescere ulteriormente la propria partecipazione. Proprio il rinnovo, lo scorso autunno, del patto di Mediobanca, che nei disegni dei critici di Nagel avrebbe dovuto essere il momento per regolare i conti, si è invece rivelato nuovo motivo di rafforzamento. Alla fine anche quella scadenza, nonostante la rumorosa decisione di Della Valle di lasciare il patto, quando fino a pochi giorni prima l’imprenditore marchigiano sembrava pronto ad aumentare la propria quota e a entrare nel cda, è stata gestita con abilità dai manager della banca d’affari, che sono riusciti anche a rafforzare le prerogative di autonomia grazie alla revisione dello statuto in questa direzione. Esemplare a questo proposito è la ridefinzione del comitato nomine (centrale nella predisposizione delle candidature per i cda di Generali, Rcs e Telco). Se prima infatti il peso del manegement era inferiore a quello dei rappresentanti dei grandi soci, oggi in un comitato composto da cinque consiglieri i manger sono tre (Pagliaro, Nagel e il dg Saverio Vinci). Qualcuno, anche alla luce della caduta dei vecchi riferimenti politici dovuti alla fine del governo Berlusconi, ha visto addirittura in tutto questo un possibile ritorno all’antica egemonia di Mediobanca sul sistema finanziario italiano. Un’egemonia, anche allora solo in parte accettata dal sistema, nonostante la banca d’affari fosse guidata da una figura dello spessore di Enrico Cuccia. Figurarsi ora che al suo posto ci sono Nagel e Pagliaro. Anche per questo motivo la sfida lanciata a Mediobanca dalla Palladio Finanziaria assieme al fondo Sator di Matteo Arpe sul riassetto di Fondiaria-Sai viene seguita con particolare interesse dagli avversari di Piazzetta Cuccia. Poco importa se i due scalatori abbiano, allo stato, poche chance di successo. Il solo fatto che alcuni soggetti di mercato abbiano deciso di provare a sfidare Mediobanca, anche solo per frenarne i piani, ha fatto rialzare la testa a quanti stavano aspettando il momento per prendersi la propria rivincita. Per ora non si tratta ancora di un fronte unito da un disegno comune, ma dall’insieme dei soggetti che in tutti questi mesi hanno dovuto lasciare il passo alla banca d’affari e ai propri alleati (a partire dall’Unicredit dove ha un peso importante Fabrizio Palenzona) e che dunque sono in cerca di rivincita. Proprio per questo motivo l’esito della partita in corso sulle Generali diventa decisivo anche per capire quale sarà la sorte del vertice di Mediobanca. Se infatti Perissinotto, che alcuni azionisti accusano, a torto o a ragione, di aver cercato di costruirsi una rete di azionisti lui vicini in grado di sostenerlo (si parla di un recente sondaggio nei confronti dell’Ente Cr Firenze per rilevare una quota del Leone), dovesse riuscire a superare indenne il cda di sabato 2 giugno, con ogni probilità a pagare non sarebbero i grandi azionisti privati, che pure si sono spesi in prima persona per procedere al ricambio al vertice della compagnia, ma proprio l’attuale guida della banca d’affari. Una prospettiva che in Piazzetta Cuccia ritengono difficilmente realizzabile, considerato che
alla vigilia del consiglio sarebbero state raccolte adesioni alla mozione di sfiducia da parte di undici amministratori su 17. Nella serata di venerdì 1° giugno è anche circolata la voce, sulla quale non sono state trovate conferme, dell’esistenza di una lettera, il cui primo firmatario sarebbe il finanziere francese e vicepresidente del Leone, Vincent Bollorè, nella quale consiglieri manifesterebbero il proprio favore al cambiamento, rimanendo comunque liberi di esprimersi in modo autonomo nel corso della riunione del consiglio. Che l’arrivo di Greco al posto di Perissinotto sia altamente probabile è inoltre dato dal fatto che il curriculum dell’attuale manager di Zurich sarebbe stato inviato a tutti i consiglieri delle Generali e che per sabato 2 giugno sono stati convocati anche il comitato nomine e quello remunerazioni. Questo non toglie che nelle prossime settimane in Mediobanca dovranno comunque prepararsi ad affrontare le conseguenze del ricambio al vertice del Leone. Nonostante nella seduta di venerdì 1° giugno, dopo la notizia della volontà dei grandi soci di sfiduciare Perissinotto, il titolo delle Generali abbia guadagnato il 3,34% a 8,49 euro, e quello di Mediobanca abbia chiuso in rialzo del 3,69% a 2,92 euro, molti analisti hanno giudicato negativamente l’iniziativa degli azionisti stabili della compagnia. Secondo gli esperti di Kepler, anche in caso di sostituzione di Perissinotto con Greco, la governance della compagnia triestina resterebbe debole proprio a causa della dipendenza da Mediobanca, che continuerebeb a influenzare la strategia del Leone. Critici anche gli analisti di Cheuvreux, secondo i quali il rimpasto ai vertici delle Generali non rappresenta una soluzione ai problemi della compagnia. Gli esperti del broker francese sottolineano inoltre che la gestione del business da parte dell’attuale management è stata buona, con degli ottimi risultati nella redditività del ramo Vita ed una crescita organica media superiore rispetto ai principali concorrenti. E anche in questo caso la presenza di Mediobanca quale primo azionista viene giudicata più un peso che un valore. Secondo Cheuvreux, in questi anni, il management del Leone si sarebbe lanciato in discutibili operazioni di M&A e attività di investimento non particolarmente redditizie (come l’ingresso in Telco-Telecom Italia), spinto proprio dal suo principale azionista, la cui colpa maggiore sarebbe quella di aver stoppato ogni ipotesi di aumento di capitale, realizzabili quando le condizioni del mercato lo avrebbero permesso, per finanziare eventuali acquisizioni. Un po’ la tesi sostenuta dalla stesso Perissinotto nella lettera inviata ai consiglieri. È dunque possibile che nel corso della discussione in consiglio questi temi possano essere tirati fuori dall’attuale group ceo del Leone per difendersi dalle accuse dei grandi azionisti di non aver saputo far rendere al meglio la compagnia. (riproduzione riservata)