di Manuel Follis e Alessandro Mocenni

Il procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex ad di Telecom Italia, Riccardo Ruggiero, per l’ex direttore operativo, Massimo Castelli, e per l’ex ad di Tim Brasil, Luca Luciani, nell’ambito dell’inchiesta sulle sim che, secondo l’accusa, erano mantenute attive attraverso un accreditamento fittizio di un centesimo di euro. Le accuse, a vario titolo, sono truffa aggravata, ostacolo all’attività di sorveglianza e false comunicazioni. Come era prevedibile, il rinvio a giudizio è stato chiesto anche per la stessa Telecom Italia (il cui titolo ha perso il 4,5% a 0,69 euro) in applicazione della famigerata legge 231 che riguarda la responsabilità oggettiva di aziende e persone giuridiche. E così accanto ad accuse circostanziate sulla pratica delle sim false avvalorate da nuove testimonianze, anche la società si trova ad affrontare una richiesta di giudizio a causa di una legge che quasi tutti i politici sono consapevoli da anni che necessita di essere riformata. Una normativa ricca di nodi controversi, dall’inversione dell’onere della prova fino alle modalità sulla custodia cautelare. Quanto all’inchiesta sulle sim, stando ai verbali, i manager ascoltati come testimoni erano a conoscenza del fenomeno delle proroghe delle cosiddette linee silenti. Una prassi «nota e rappresentata sui documenti ufficiali di reporting prodotti per i vertici aziendali». Nel periodo in cui era amministratore delegato di Telecom Italia Riccardo Ruggiero, secondo un teste, «fu varata una politica commerciale molto aggressiva che noi dirigenti delle funzioni commerciali dovevamo realizzare. C’era un piano strategico che definiva i macro-obiettivi economici e di mercato da raggiungere». Il budget per quanto riguarda le carte prepagate «consisteva nel raggiungere un predeterminato numero di acquisizioni annuali». Le carte, precisa il teste, «venivano tenute in vita mediante il prolungamento artificiale dell’esistenza della scheda che avveniva mediante l’inserimento in ciascuna carta telefonica di un apparente credito di un centesimo». «Ho compreso fin da subito che tale attività non era regolare», spiega ancora un testimone. Tuttavia «rientrava nelle linee della politica aziendale e, in ogni caso, vi erano precise direttive in tal senso da parte del top management». (riproduzione riservata)