L’ufficio studi di Mediobanca lancia l’allarme: dopo quelle già pesanti del 2011, nuove svalutazioni degli avviamenti potrebbero profilarsi all’orizzonte per le principali banche italiane. «Nonostante le importanti svalutazioni di attività immateriali spesate nel 2011 da alcuni istituti italiani – scrivono gli analisti della divisione R&S Mediobanca nello studio sulle principali banche internazionali diffuso ieri – essi presentano ancora intangible con incidenze sui mezzi propri al di sopra della media europea, pari al 21,3 per cento». Nel dettaglio, Intesa Sanpaolo si posiziona al 31,5% e Unicredit al 28,6 per cento. Piazzetta Cuccia osserva come al 31 dicembre sia la banca guidata da Enrico Tomaso Cucchiani sia quella guidata da Federico Ghizzoni avevano a bilancio intangible per oltre 15 miliardi: 15,04 per Intesa e 15,68 per Unicredit, somme comunque già dedotte dal patrimonio di vigilanza. E, ancora, mettono in guardia gli esperti di Mediobanca: «Si tratta di poste, rivenienti per lo più da passate acquisizioni, cui si presta di norma poca attenzione, ma che possono incidere in modo rilevante sui risultati economici se il contesto macreconomico resta negativo e le quotazioni di Borsa depresse». E sembra essere proprio questo il caso, se si considera che, tra la fine del 2009 e metà giugno 2012, le banche italiane hanno subìto cadute pesanti a Piazza Affari: Intesa ha ceduto il -59,1% e Unicredit il 64,6%, preceduta in negativo solo da Crédit Agricole (-73,4%) e Dexia (-96,5 per cento). Solo Commerzbank in Europa, nel periodo di riferimento, ha registrato una crescita, del 7,1 per cento. In media, calcolano gli analisti di Piazzetta Cuccia, la Borsa valuta gli istituti europei a 0,5 volte il patrimonio netto, multiplo che sale a 0,7 considerando il netto tangibile. «Per Intesa e Unicredit – osservano da Mediobanca – i multipli sono particolarmente bassi», nell’ordine delle 0,3 volte. Una considerazione che fornisce agli analisti un assist formidabile per tornare alla teoria di cui sopra: «Le società con multipli più bassi sono quelle per le quali sono maggiormente probabili futuri abbattimenti del goodwill». Nel frattempo, entrambe le maggiori banche italiane, visto il non semplice contesto, sono alle prese con il nodo del taglio dei costi. Proprio ieri, il consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo ha accettato all’unanimità la proposta del presidente Giovanni Bazoli di riduzione di un terzo della componente fissa del compenso a partire dal prossimo primo luglio. Per il 2 luglio, invece, le organizzazioni sindacali hanno indetto il primo sciopero dell’era Cucchiani. In sostanza, annullando i contenuti dell’accordo siglato il 29 luglio 2011, la banca ha chiesto ai delegati dei lavoratori di ridurre il costo del lavoro di 250 milioni, cifra che corrisponde ai mancati risparmi dovuti all’impossibilità di 3mila dipendenti di aderire al fondo esuberi a seguito delle nuove regole per il pensionamento (volute dal ministro Elsa Forbero, ironia della sorte ex vicepresidente del cds di Intesa). I sindacati hanno rifiutato la proposta e da qui la decisione di scioperare. Intesa sta inoltre lavorando a una generale riorganizzazione che potrebbe comportare anche la chiusura di filiali (la cifra circolata è di mille). In questa direzione, secondo un analista interpellato da F&M, potrebbe muoversi a stretto giro anche Unicredit, sebbene due giorni fa l’ad Ghizzoni, nel preannunciare una riorganizazione imminente, abbia preso tempo affermando che di sportelli ne sono stati chiusi già 800 negli ultimi anni.