La revoca del mandato a Giovanni Perissinotto a 10 mesi dalla scadenza, che verrà richiesta da Mediobanca, Caltagirone, De Agostini e dalla Fondazione Crt, ha ragioni dicibili ed altre meno, ma tutte destinate a mettere in tensione gli equilibri della finanza italiana, resi fragili dalla Grande Crisi. Le ragioni dicibili si riassumono nella cattiva performance del titolo. L’esposizione al rischio Italia, naturalmente alta nonostante la dimensione internazionale del gruppo, pesa nel confronto con Allianz, Axa e Zurigo. E tuttavia molti degli azionisti principali invidiano la Zurigo, che capitalizza il doppio delle Generali quando, tradizionalmente, valeva qualche miliardo meno. Non a caso si indica in Mario Greco, numero due della Zurigo, il nuovo numero uno del Leone. Perissinotto potrebbe replicare esibendo i risultati della gestione industriale, ricordando antichi stop venuti da Mediobanca e, soprattutto, confrontando le sue tristezze borsistiche con quelle dei suoi critici.
Le ragioni meno dicibili riguardano gli assetti azionari. Riaffiora il dubbio, a suo tempo prospettato da Cesare Geronzi, quando questi presiedeva la compagnia, che l’amministratore delegato stia tentando di costruirsi una cerchia di soci legati da rapporti d’affari con la compagnia, e dunque fedeli al top manager che li aveva favoriti. Si citano l’incrocio azionario con l’oligarca ceco Petr Kellner, le nuove relazioni con la Vtb, la banca russa che a Cipro lavorava per il Kgb, le relazioni con la finanza veneta dei Meneguzzo e dei Marchi, connessa con Forza Italia e con uomini come Marco Milanese.
Per Mediobanca, primo azionista, e per la Fondazione Crt, De Agostini e Leonardo Del Vecchio, altri soci di peso, quelle riserve geronziane, ora nei fatti condivise, non potevano essere sostenute, perché la priorità era quella di regolare i conti con quel presidente che ingombrava. Certo erano respinte dal consigliere Diego Della Valle, l’ariete lanciato contro Geronzi e il suo alleato Vincent Bolloré. Un altro socio di peso, Francesco Gaetano Caltagirone, pur condividendoli, non faceva un uso dirompente di tali argomenti, preferendo misurare la perfomance: quella performance deludente che ha indotto Del Vecchio a reclamare il ricambio alle Generali nella sua intervista al Corriere.
Ma a Perissinotto si rimprovera anche la vicinanza con Roberto Meneguzzo, l’uomo d’affari vicentino della Palladio che con Matteo Arpe, un ex di piazzetta Cuccia, ha attaccato Mediobanca sul fronte delicatissimo del salvataggio Fonsai. Questa vicinanza si manifesta apertamente nella partecipazione di Generali al fondo Vei Capital che Meneguzzo ha in animo di usare nella partita Fonsai. Perissinotto ha fatto conoscere la sua contrarietà, ma senza clamori e senza grandi effetti se è vero che i poteri su Vei Capital li esercita Palladio. Molta curiosità rimane attorno alla quota della società di Meneguzzo oggetto di un portage da parte della Hong Kong Banking Corp (Hsbc): una delle maggiori banche del mondo, si osserva, non rende simili servizi a sconosciuti imprenditori veneti, ma solo a clienti di adeguato livello. E in effetti, visto che li dovrebbe dichiarare all’Isvap se mai chiedesse l’autorizzazione per Fonsai, Meneguzzo avrebbe potuto rendere noti gli utilizzatori finali di Hsbc. Nel mondo che ruota attorno a piazzetta Cuccia c’è anche il sospetto che Perissinotto goda di troppe simpatie nel mondo di Intesa Sanpaolo che si estende oggi al ministro Passera. In effetti, il leader delle Generali è stato un partner leale della banca presieduta da Giovanni Bazoli. E questo gli è riconosciuto.
In conclusione, va detto che le partecipazioni incrociate e i clienti-soci non sono un’invenzione di Perissinotto. La storia di Mediobanca e, su scala e per tempi minori, della Capitalia geronziana è ricca di simili intrecci. Ma bisogna poterseli permettere. Cuccia e Maranghi hanno zittito per mezzo secolo i soci perché Mediobanca dava loro più di quanto ricevesse. Capitalia ha avuto più difficoltà. Mediobanca resiste. Generali è al dunque.
Massimo Mucchetti