di Sergio Luciano

Molto resta da fare, ma molto è stato fatto: il futuro delle Generali non potrà che essere migliore e il Leone merita di nuovo l’attenzione e l’investimento di tutti. È l’opinione di uno dei finanzieri più severi nel criticarne i ritardi, vale a dire Davide Serra, fondatore e capo del fondo Algebris. Serra nel 2008, con lo 0,6% delle Generali, mosse un duro attacco alla gestione della compagnia e in particolare all’allora presidente Antoine Bernheim. Oggi a buon diritto può affermare: «Io l’avevo detto». Alla notizia dell’arrivo di Mario Greco, Algebris ha ripreso a investire in Generali. E per Serra un po’ del merito delle buone notizie da Trieste va dato anche ai capi di Mediobanca: non l’avranno ascoltato quattro anni fa, ma poi hanno fatto quel che era necessario. Domanda. Dottor Serra, però evidentemente il problema di Trieste non era solo Berhneim, se dopo quattro anni ci hanno rimesso il posto un altro presidente, Cesare Geronzi, e il capo-azienda Giovanni Perissinotto. Risposta. Per capire quel che è successo bisogna rimettere in ordine alcuni passaggi. Nel 2008, secondo noi, c’era a Trieste un presidente che non faceva il suo lavoro, che avrebbe dovuto essere quello di tenere sotto pressione il management, su mandato e nell’interesse di tutti gli azionisti. In realtà era interessato soprattutto a se stesso. Noi ne chiedemmo la sostituzione e i grandi soci dissero no. D. Poi però Bernheim fu sostituito, ma non sembra che ciò abbia segnato alcuna svolta. R. L’arrivo di Geronzi invece fu utile, perché provocò due scelte giuste: l’istituzione della figura del group ceo, indispensabile per dare unitarietà alla gestione, focalizzando sull’estero l’altro amministratore delegato. E la richiesta al management nel suo insieme di una maggiore accountability, insomma di una piena responsabilizzazione. Certo, la compagnia aveva evitato alcuni rischi sistemici come i subprime Usa, ma era troppo concentrata sul rischio Italia, fin da allora eccessivo visto che il Paese già tre anni fa accusava la terza minor crescita economica del mondo. Per non parlare degli errori strategici e, come suole dirsi in Italia, di sistema: l’impegno in Telco o in Rcs, l’acquisizione della Banca della Svizzera Italiana, un’operazione senza senso, una diversificazione inutile. Nel quadro della maggiore richiesta di accountability, Geronzi fu forse troppo diretto, come nel caso dell’operazione con Ptf, dove addirittura si era deciso di non mettere a bilancio una put che rappresentava una passività potenziale per oltre 2 miliardi. D. Quindi lei considera un male il dimissionamento di Geronzi? R. Lui ha provato a fare alcune cose giuste, altre comunque sono state fatte, non dobbiamo negare un sia pur lento processo evolutivo della compagnia. L’attuale consiglio è espressione di azionisti veri e di livello, un Del Vecchio, un Pellicioli, uno Scaroni. Prima c’erano solo avvocati e notai. D. E allora perché il nuovo ribaltone? R. Perché il problema della responsabilizzazione del management, che era poi alla radice delle nostre critiche del 2008, si è posto con una forza non più eludibile. Per un certo periodo le Generali sono state l’azione col più alto indice di short in Europa, cioè gli investitori la vendevano allo scoperto, più che i titoli di Bankia. È una compagnia che non ha quasi più investitori istituzionali nell’azionariato. D. Ma Perissinotto ha detto di essere stato sacrificato alle logiche di potere di Mediobanca. R. Non mi torna. Delle due l’una: o aveva il controllo dell’azienda, e allora è lui il responsabile dell’underperform del titolo, oppure non lo aveva a causa delle ingerenze di Mediobanca e allora avrebbe dovuto denunciare il problema o dimettersi otto anni fa. Troppo facile dire che la colpa è degli altri dopo che sei stato messo alla porta. Senta, aveva meno di 900 mila euro investiti in titoli Generali a fronte di 3 milioni annui di retribuzione. Dunque, era il primo a non credere nella sua azienda. Non si fa così. Guardiamo ai casi apprezzati dal mercato, anche a quelli con luci e ombre, per esempio Alessandro Profumo in Unicredit: avrà anche sbagliato, ma lui non ha esitato a metterci la faccia e la saccoccia. D. E adesso? Lei sembra puntare molto su Greco… R. Con Greco sarà tutta un’altra gestione. Vagnone, per esempio, potrà finalmente lavorare bene in Italia: il fatto di essere stato suggerito dagli azionisti lo ha condannato agli occhi di Perissinotto. Greco è uno dei migliori manager assicurativi in Europa, immagino in sei mesi un turnaround radicale, un profondo rinnovamento del management, una gestione per linee di business come alla Zurich. E grandi risultati: un esempio per tutti, l’immobiliare. Generali ha un patrimonio triplo rispetto, per esempio, a quello di Caltagirone e però rende un terzo. Com’è possibile? Semplice: metà degli immobili è affittato a due euro ad amici e parenti. D. E Mediobanca? R. Chiunque gestisca quella banca, deve tener conto di una storia quasi secolare, che non si cancella in un attimo. Però in dieci anni Alberto Nagel e Renato Pagliaro hanno fatto grandi progressi. Hanno trovato un istituto del tutto dipendente dalle obbligazioni per la raccolta e l’hanno dotato di un polmone come Chebanca! che da zero in pochi anni ha drenato 20 miliardi di depositi. Hanno internazionalizzato il business avviando le branch in Gran Bretagna, Spagna, Francia. E hanno iniziato a razionalizzare le partecipazioni. Senza fare, peraltro, l’aumento di capitale che è stato necessario a quasi tutte le altre grandi banche italiane. Certo, con la crisi che c’è avrebbero dovuto essere già oltre il problema del conflitto d’interesse, che per esempio nel caso di Ligresti avevano eccome. Ma visto che la loro principale partecipazione è in Generali, è essenziale che sia ben gestita quella. E d’ora in poi lo sarà. D. Greco riuscirà a ridurre l’esposizione delle Generali verso il rischio-Italia? R. Non gli sarà facile, ma sono sicuro che agirà al meglio. Se pensiamo che Perissinotto aveva tenuto in portafoglio il 5% di Commerzbank, crollata da 40 euro a 1,5 euro, che aveva mandato a quel paese Del Vecchio appellandosi all’autonomia del suoi poteri, che faceva minacciare di licenziamento gli analisti critici… No, direi proprio che con Greco le Generali abbiano voltato pagina. Il titolo risalirà e gli investitori torneranno a comprare Generali. Come stiamo facendo noi. (riproduzione riservata)