Il settore può crescere anche in condizioni difficili come le attuali Per Poggi, executive partner di Accenture, le compagnie possono partire con una proposta immediata, fatta di prodotti semplici e industrializzati a 360 gradi 

di Gabriele Capolino

Il grido d’allarme l’aveva lanciato proprio dalle colonne di MF-Milano Finanza (v. numero del 22/4), Tommaso Cucchiani, presidente di Allianz: dall’approvazione della legge Bersani, alle compagnie i conti non tornano più, e questo è un male anche per il sistema Italia.

 

Una soluzione? Per il top manager del colosso tedesco bisognava contenere il costo dei sinistri e individuare ruoli complementari al welfare di Stato. Andrea Poggi, executive partner di Accenture, è fra i consulenti più ascoltati dagli assicuratori italiani, in questa intervista alza il tiro, proponendo un piano d’emergenza che permetta un’assicurazione di massa, sostitutiva di una serie di spese che il cittadino e l’impresa già sostengono, senza avere garanzie in caso di un evento serio, di quelli che oggi si definisce di default.

Domanda. Ha ragione Cucchiani, alle compagnie i conti non tornano più? Cosa dicono le trimestrali?

Risposta. In effetti il settore mostra alcune difficoltà. Da una prima analisi la redditività è in leggera ripresa, per cui si confermano le attese di un ritorno alla redditività tecnica nel 2011. Comunque, i primi mesi del 2011 sembrano confermare la frenata dei premi Vita (di quasi il 30% per la nuova produzione rispetto al trimestre 2010 e -40% su aprile) e la crescita dei rami Danni è assai lieve.

D. Insomma, un brodino.

R. L’Ania prevede un recupero della raccolta premi nel 2011 tra il 5 e il 6%, trainato da un +7-8% del Vita, in crescita dal secondo semestre dell’anno. Ma preoccupa la fragile ripresa del Danni, anche perché lì ci sono problemi di fondo.

D. Quali?

R. Nell’Auto la crescita è legata agli adeguamenti tariffari, in certi casi impopolari, avviati dalle compagnie in base a indicatori tecnici cresciuti fuori misura negli ultimi anni, e che si mantengono su livelli molto alti e comunque superiori rispetto agli altri Paesi europei: cioè la frequenza sinistri, i molti casi di danni fisici e l’incidenza delle frodi. I rischi diversi dall’Auto continuano a essere poco coperti, per via di fattori strutturali, tra cui i pregiudizi dei cittadini.

D. Che dimensione ha oggi il business assicurativo in Italia?

R. Non grande. La raccolta premi pro capite è 2 mila euro, rispetto ai 3.200 euro della Francia e ai 4.700 dell’Olanda. La penetrazione del business rimane bassa. Questo rende difficile per le compagnie mantenere costi bassi e livelli di redditività sostenibili. Ciò rende cittadini e imprese più esposti ai rischi rispetto a quanto accade nel resto d’Europa.

D. E con l’aria che tira, il cliente non vuole assicurarsi di più.

R. Gli ultimi dati sulla ricchezza delle famiglie sono negativi. La propensione al risparmio è in costante calo. Il cittadino è più in difficoltà, sempre meno propenso alla spesa assicurativa, ma al contempo sempre più a rischio di default, in caso di spese straordinarie e danni non neutralizzati da coperture assicurative che sarebbero poco onerose.

D. Prodotti facili e poco onerosi?

R. Sì. Basti pensare che i cittadini, malgrado la congiuntura, sono costretti a esborsi monetari, in alcuni casi ingenti, per coprire spese legate a danni o ad alcuni bisogni di protezione: per esempio gli incidenti domestici e le prestazioni sanitarie. Se tali esborsi si traducessero in coperture assicurative, da un lato, il cittadino limiterebbe una spesa che viene comunque sostenuta. Dall’altro, la copertura assicurativa proteggerebbe la famiglia da spese impreviste legate a sinistri gravi e straordinari: sempre secondo l’Istat, poco più di un terzo delle famiglie italiane non può far fronte a spese impreviste superiori agli 800 euro.

D. Ma perché il consumatore non si assicura?

R. Perché non è abbastanza incentivato, per l’assenza di riforme, già adottate in altri Stati europei. Perché è storicamente diffidente. E ha scarsa consapevolezza dei rischi. E perché il dialogo con la compagnia deve diventare più frequente. Anche se la soddisfazione aumenta, solo il 15% dei clienti dichiara di sentire vicina la propria compagnia. La domanda c’è ma è assopita, e si risveglierà solo con le necessarie riforme. Non si spiegherebbe altrimenti l’interessamento di alcuni player stranieri al mercato italiano.

D. Come risvegliarla, allora?

R. Con un’azione a livello di sistema, con il contributo fattivo e congiunto di compagnie, istituzioni e collettività. Le riforme di cui parlo sono regolamentari, fiscali e sociali, in ambito Previdenza, Salute, protezione di persona, casa, patrimonio e risparmio.

D. Programma ambizioso. Visto lo stallo politico, non è pura utopia?

R. Per evitare l’utopia, occorre agire subito. La situazione sta diventando insostenibile per i sempre più elevati costi sociali di un sistema assicurativo sottodimensionato mentre in Europa la stessa crisi viene affrontata anche con l’aiuto di un sistema assicurativo incentivato dallo Stato. Pertanto, vista l’urgenza, devono essere le compagnie a prendere l’iniziativa, sostenendo un Piano assicurativo di emergenza. L’obiettivo è duplice: maggiore tutela dei cittadini/imprese e del tessuto sociale ed economico italiano e crescita del mercato.

D. Di che si tratta?

R. Bisogna prevedere una forte promozione e diffusione di soluzioni assicurative, già disponibili, che trasformino in polizze le spese imprevedibili di cui parlavo, per il ripristino di danni non coperti da garanzie in alcune aree facilmente assicurabili: la Salute, la persona, la casa, i beni e l’impresa. Ciò allo scopo di neutralizzare il rischio di default e di esclusione sociale, oltre che di evidenti danni che lo Stato dovrebbe poi risarcire. Inoltre, il Piano dovrebbe promuovere i prodotti che consentono anche di migliorare la gestione dei patrimoni e dei flussi di risparmio nel tempo e garantiscono maggiore tranquillità e fiducia nelle categorie demograficamente più esposte.

D. Si spieghi meglio.

R. Si pensi a quanto si dovrebbe fare in ambito pensionistico, dove si potrebbe agire subito, con le assicurazioni protagoniste nel fornire risposte utili e nell’interesse di tutti. La Riforma Dini e poi l’utilizzo del Tfr hanno permesso penetrazione di previdenza integrativa del 23% sulla totalità dei lavoratori. Ma non basta, tanto più se si considerano i più giovani, i quali faticano a entrare nel mondo del lavoro e, una volta entrati, non riescono ad assicurarsi un’adeguata pensione: solo il 17% degli under 35 avrebbe aderito a una forma di previdenza complementare.

D. Qui le compagnie cosa potrebbero proporre?

R. Se adeguatamente sostenute, potrebbero subito proporre un soluzioni previdenziali integrative sostenibili in termini di costo dai giovani, adeguatamente promosse e con modelli di distribuzione e di servizio dedicati. Ciò porterebbe a un aumento della mutualità.

D. Cosa dovrebbero fare gli operatori?

R. Intervenire sul modello di offerta, sulla distribuzione e sul proprio assetto operativo, con particolare riguardo alla gestione sinistri, da cui dipende la soddisfazione e dunque la fiducia del consumatore. L’aspetto di maggiore urgenza è un diverso assetto distributivo.

D. A cosa allude?

R. All’utilizzo di più canali e al potenziamento della relazione e della consulenza, basato sul ruolo centrale degli agenti e della banca, con gli altri canali (broker, online) a garantire il miglioramento del servizio.

D. Gli agenti restano il riferimento?

R. Certo, ma solo se si procede subito a trasformare le agenzie in modo che svolgano al meglio il ruolo di propulsore della domanda. Gli agenti sono il canale preferito dall’80% degli attuali clienti. È necessario però ammodernare questo canale: per esempio, più del 50% del lavoro d’agenzia riguarda l’amministrazione. Occorre un vero programma condiviso fra le Compagnie e i 22 mila agenti (e i loro 150 mila e più collaboratori) che reindirizzi le agenzie verso le attività commerciali e la piena valorizzazione delle reti secondarie, fulcro della consulenza sul territorio. Servono poi diversi canali di trasmissione tra centro e rete, diverse modalità di governo e remunerazione e incentivi adeguati, ma anche che gli agenti adottino nuove logiche di relazione e di partnership, finora frenate.

D. Qual è il ruolo della banca?

R. La bancassurance può essere un co-protagonista, anche nel mondo della protezione danni auto e non auto, valorizzando il contatto e il rapporto di fiducia che cittadini e imprese continuano ad avere con banche e Poste. In tal modo è possibile un ampliamento del bacino di utenza. Ci sono già segnali precisi: nel 2010 la raccolta Danni presso banche e uffici postali è stata di 1,25 miliardi di euro, il 17% in più rispetto al 2009. Incoraggiante.

D. E le vendite tramite internet e telefono?

R. In Italia si sente ancora la necessità di una relazione fisica con il proprio assicuratore. Però va segnalato che tali canali hanno registrato lo scorso anno una crescita del 19% nei premi Danni. I canali diretti sono essenziali per potenziare l’assetto multicanale.

D. Tutto ciò basterà?

 

R. Purtroppo no, ma è un buon inizio. Stato e istituzioni devono far fare al più presto un salto di qualità al sistema con le necessarie riforme. (riproduzione riservata)