Rendite finanziarie tassate al 20%, stipendi statali più magri, nuove sforbiciate ai bilanci dei ministeri. Lo Stato è a caccia di 60 miliardi per raggiungere il pareggio entro il 2014 e poter tranquillizzare così i mercati. Mettendo mano al sistema-previdenza 

di Paola Valentini

Per indorare la pillola Giulio Tremonti giura che anche i politici piangeranno lacrime amare. Niente più vitalizi a deputati e senatori, i ministri faranno in fila al check-in dei voli di linea e ci sarà una bella sforbiciata ai rimborsi elettorali. Non si risaneranno con questo i conti pubblici ma, visto che ricchi e poveri dovranno tutti preparare i fazzoletti, almeno il mal comune se non proprio gaudio un po’ di consolazione lo concederà ai poveri mortali che dovranno sorbirsi la maxi-manovra in arrivo.

Quarantacinque miliardi in quattro anni, secondo le previsioni più ottimistiche, ma in realtà la cifra potrebbe superare i 60 miliardi. Un piano che, soprattutto per ragioni politico-elettorali, partirà in modo soft: 3 o 4 miliardi di correzione per l’anno in corso, 5 nel 2012 e poi la botta forte da circa 20 miliardi l’anno per il biennio successivo (quello che riguarderà la prossima legislatura). Del resto, visto che la speculazione ha rimesso l’Italia nel mirino, non c’è tanto da scherzare. Chi si era illuso di poter rinegoziare qualcosa con l’Europa si è dovuto amaramente ricredere.

 

Il documento approvato dal Consiglio europeo, lo stesso che ha deciso la nomina di Mario Draghi alla guida della Bce, è netto. Gli Stati dovranno rispettare la piena attuazione del patto di stabilità e crescita.

 

Nessuna deroga. D’altra parte a far paura non è la severità dei governi nordici, quanto quella dei mercati. Che proprio non fanno sconti. Nella bufera seguita all’avviso di Moody’s di venerdì 24 giugno di aver messo sotto osservazione 16 banche italiane lo spread tra Btp e Bund è salito fino alla quota record di 214 punti base. E bisogna ricordare che ogni punto percentuale in più di rendimento da pagare sui titoli di Stato pesa sulle casse pubbliche per 16 miliardi d’interesse, rendendo più arduo il compito di far quadrare i conti. Il premier Silvio Berlusconi si vanta di non aver finora messo le mani nelle tasche degli italiani, ma con la prossima manovra ciò potrebbe non essere più vero. Già, perché, se non proprio nelle tasche, almeno nelle buste paga qualche dito si sta per infilare. Di certo in quelle dei dipendenti pubblici che guadagnano più di 30 mila euro. Per loro si profila una sforbiciata del 5%, oltre al blocco completo del turnover. E, nonostante i tagli dolorosi degli anni passati, anche i bilanci dei ministeri e dei Comuni dovranno alleggerirsi ancora e non di poco.

Quanto ai risparmiatori, dovranno mettersi l’anima in pace. I capital gain non saranno più tassati al 12,5% ma tra il 18 e il 20%. Colpa della tanto deprecata armonizzazione delle rendite che il centrodestra contestava quando a volerla fare era il governo di Romano Prodi e che ora, sotto i colpi della crisi, dovrà essere varata dall’esecutivo guidato dal Cavaliere. Ovviamente anche l’aliquota sui conti correnti scenderà dal 27% alla nuova soglia. In questo quadro è comprensibile che si sia riaperto anche il cantiere-pensioni, nonostante le riforme che negli ultimi anni hanno rivoluzionato il sistema previdenziale italiano con interventi all’avanguardia rispetto agli altri Paesi europei.

D’altronde che una misura in materia fosse necessaria per risanare il bilancio italiano lo aveva dichiarato anche Assonime, l’associazione delle società per azioni, che in documento sul riequilibrio dei conti pubblici qualche giorno ha sottolineato come, «nonostante gli sforzi fatti, questi mutamenti non sono sufficienti a porre il sistema pensionistico su un sentiero di sostenibilità nel lungo termine, perché le riforme delle pensioni intraprese negli ultimi anni prevedono di stabilizzare la spesa pensionistica, ma a un livello più alto che negli altri Paesi europei. La situazione demografica e il basso livello di occupazione femminile sono le cause principali dell’elevato livello della spesa pensionistica per vecchiaia e dei trattamenti di reversibilità, pari al 14,1% del pil contro una media Ocse del 7%».

 

Eppure le riforme del ministro Sacconi del 2009-2010 parevano aver messo la parola fine agli interventi sulla previdenza pubblica. «Legando l’adeguamento dei requisiti di età all’allungamento della speranza di vita Sacconi aveva posto le basi per uno dei più incisivi interventi degli ultimi 20 anni, collocando l’Italia in una posizione d’avanguardia rispetto ai principali sistemi pensionistici europei», dice Andrea Carbone di Progetica, che ha elaborato per MF-Milano Finanza le tabelle con le nuove età di pensionamento in base alle ipotesi allo studio del governo. Le simulazioni si riferiscono all’anticipazione al 2013 dell’adeguamento dei requisiti di età in funzione dell’allungamento della speranza di vita. L’attuale sistema, secondo il regolamento emanato la scorsa estate, prevede un primo adeguamento, al massimo di 3 mesi, dal 1° gennaio 2015 e un successivo aggiornamento triennale dal 1° gennaio 2019. «Per la possibile riforma si ipotizza che il primo adeguamento fisso venga anticipato al 1° gennaio 2013, mentre le successive revisioni triennali decorreranno dal 1° gennaio 2016», sottolinea Carbone. Gli esiti delle simulazioni sono differenziati in funzione della combinazione tra età anagrafica ed età di inizio dell’attività contributiva (ovviamente nell’ipotesi che non ci siano interruzioni nell’accumulo dei contributi, si presume insomma che il lavoratore non abbia periodi di disoccupazione durante la vita lavorativa). Ebbene l’impatto della possibile riforma non sarà uguale per tutti. «Poiché la maturazione di un requisito per l’accesso al pensionamento deriva da regole matematiche (che considerano sistema delle quote, 40 anni di contribuzione, requisiti di vecchiaia, ma anche statistiche quale lo scenario demografico di allungamento della speranza di vita, ndr), gli esiti si distribuiscono in funzione delle combinazioni», aggiunge Carbone.

 

In generale, chi ha iniziato a lavorare molto giovane non dovrebbe essere toccato dalle nuove regole, visto che andrebbe in pensione dopo aver raggiunto i 40 anni di contributi. «I problemi cominciano con chi ha iniziato a lavorare dopo aver conseguito la laurea o comunque intorno ai 30 anni». Si prenda, per esempio, un giovane nato nel 1980 che inizi a lavorare quest’anno, a 31 anni di età. Dovrà attendere la soglia dei 68 anni per ritirarsi in pensione. «Per le donne», puntualizza ancora Carbone, «la distribuzione sembrerebbe più omogenea, perché la maggior parte delle lavoratrici maturerebbe il diritto al pensionamento con il requisito di vecchiaia, legato all’incremento della speranza di vita, con l’eccezione di chi ha iniziato in giovane età». Il quadro però potrebbe mutare molto se venisse portata la soglia di vecchiaia a 65 anni per tutte le lavoratrici e non solo per le dipendenti pubbliche, come stabilito la scorsa estate. «I possibili esiti sarebbero sistemici e coinvolgerebbero la maggior parte delle lavoratrici di ogni età: le conseguenze potranno essere stimate nel dettaglio solo dopo la definizione delle eventuali modalità di aumento a 65 anni. Nel caso delle dipendenti pubbliche, il passaggio del requisito dai 60 ai 65 anni non aveva comportato necessariamente un aumento di 5 anni nell’età pensionabile stimata: gli altri requisiti, come le quote e i 40 anni di contributi, resterebbero infatti invariati», continua Carbone. «Per le donne dipendenti pubbliche la variazione stimabile ballava tra pochi mesi e i cinque anni». La situazione potrebbe mutare anche se venisse anticipato di un anno lo scalino Prodi–Damiano, facendo partire dal 1° gennaio 2012 il sistema delle quote, che permette ai dipendenti di andare in pensione a i 61 anni di età se la somma tra contributi ed età anagrafica arriva a quota 97 (per gli autonomi si parte dai 62 anni di età e da quota 98). «I possibili esiti di questa iniziativa sarebbero tendenzialmente concentrati su coloro che stanno per maturare i requisiti per l’accesso al pensionamento, ritardando per alcuni di essi il momento del ritiro dal lavoro. Non si tratterebbe pertanto di una modifica sistemica del quadro pensionistico, ma di un’azione circoscritta a una fascia precisa di lavoratori», evidenzia Carbone.

 

 

Le elaborazioni di Progetica sono state effettuate sulla base dello scenario demografico Istat storico, basato sui dati registrati negli ultimi decenni, che evidenzia un incremento di sei mesi ogni tre anni della speranza di vita. «In sintesi, le elaborazioni sembrano suggerire che l’anticipazione di due anni dell’entrata in vigore dell’adeguamento dei requisiti di età avrebbe esiti sistemici, che tuttavia non riguarderebbero tutti i lavoratori. Quando presenti, gli impatti sarebbero compresi tra pochi mesi e un anno circa. A parziale compensazione dell’ulteriore permanenza sul posto di lavoro, vale la pena di ricordare che tendenzialmente, differendo il momento del pensionamento, l’importo dell’assegno pensionistico aumenterebbe grazie ai maggiori contributi e al migliore coefficiente di trasformazione in rendita», commenta Carbone. Che conclude: «Appare opportuno sottolineare che l’attuale scenario pensionistico lascia aperte almeno due grandi sfide: la prima riguarda il sistema economico nel suo complesso. Andare in pensione a 65 anni e oltre significa avere strutture aziendali e contrattuali coerenti con tale scenario». La seconda sfida riguarda «la consapevolezza dei cittadini: conoscere la stima, anche in forma di forchetta di oscillazione, del momento del proprio pensionamento e dell’importo dell’assegno pensionistico è alla base di una tempestiva pianificazione della propria stabilità economica futura, attraverso opportune strategie di integrazione pensionistica. Anche se, in particolare per i più giovani, la pensione è un qualcosa di lontano, di difficile da immaginare, il tempo è il più prezioso alleato. Prima si inizia a occuparsi del proprio futuro post lavorativo, maggiori saranno le probabilità di avere coerenza tra le risorse disponibili all’epoca del pensionamento e i propri sogni e progetti per la vecchiaia». (riproduzione riservata)