Secondo i dati di Cassa forense del 2010, dei 216.728 avvocati iscritti agli albi solo 156.934 sono iscritti all’ente di previdenza di categoria (circa il 72%, dieci anni fa erano circa il 75%). E questo accade perché gli «assenti» non raggiungono il reddito minimo necessario per l’iscrizione, cioè 9 mila euro annui (750 euro mensili).

 

Nel lanciare l’allarme sulla «proletarizzazione» dell’avvocatura il presidente dell’istituto pensionistico di via Quirino Visconti, Marco Ubertini, ha ricordato che questi avvocati «non solo vivono con un reddito mensile inferiore a quello giudicato dall’Istat come soglia di povertà (1.000 euro al mese), ma non godono di alcuna copertura previdenziale e assistenziale, né di ammortizzatori sociali». Ma non solo. Per effetto del principio sancito dalla legge 335/95 (riforma Dini) non possono esistere prestazioni professionali ai quali non corrisponda un contributo previdenziale. Il che significa che, presto a tardi, questi oltre 50 mila professionisti saranno iscritti alla gestione separata dell’Inps.