Iniziano a entrare nel vivo le manovre in vista del rinnovo del patto di sindacato di Mediobanca. Tanto che, secondo alcune indiscrezioni, già in questi giorni potrebbe partire un primo giro di contatti tra i soci. Nulla è ancora deciso, anche se i vertici dell’istituto di Piazzetta Cuccia di recente hanno fatto trapelare l’intenzione di voler diluire la composizione del patto di sindacato, dall’attuale 45% a circa il 30-35 per cento. Operazione che avrebbe effetti a cascata per esempio sul comitato nomine della banca d’affari, ovvero la cabina di regia per la gestione delle partecipazioni. Resta da vedere, però, se e quanto le intenzioni del vertice di Mediobanca, in particolare dell’ad Alberto Nagel, troveranno ascolto e consenso nei soci, piccoli e grandi. Certo, al finanziere bretone, Vincent Bolloré, non ha fatto piacere intuire che non è più particolarmente gradito il suo notevole peso in Piazzetta Cuccia, dopo le prese di posizione come vicepresidente di Generali in antitesi con l’operato del group ceo del Leone, Giovanni Perissinotto. Ma l’uscita di scena di Cesare Geronzi sta facendo maturare qualche progetto di alcuni azionisti della banca d’affari milanese che non fanno parte del patto di sindacato.
Gli azionisti che sono potenzialmente interessati a contare davvero più di ora in Mediobanca sono le fondazioni bancarie, che detengono pacchetti di titoli non proprio trascurabili. C’è infatti la Fondazione Cariverona presieduta da Paolo Biasi con il 3,14 per cento, la Fondazione Carisbo presieduta da Fabio Roversi Monaco con il 2,48 per cento e la Fondazione del Monte dei Paschi di Siena presieduta da Gabriello Mancini a quota 1,93 per cento (i dati sono tratti dagli ultimi bilanci disponibili degli enti). Già nel 2008, quando Piazzetta Cuccia abbandonò il sistema di governance duale per ristabilire quello tradizionale sotto la spinta dell’ex presidente Geronzi, le fondazioni (all’epoca erano quelle di Padova, Bologna e Siena) pensarono di poter entrare nel patto di sindacato. Ma trovarono, tra l’altro, un ostacolo robusto e palese: lo stesso Geronzi, che anche successivamente come presidente di Generali ha riservato severe critiche agli enti creditizi (secondo lui svolgono un ruolo ambiguo nei rapporti con gli enti locali e la politica). Così alle fondazioni azioniste, che non entrarono nel patto, fu riservato soltanto l’unico posto disponibile alle minoranze sui 23 membri del consiglio di amministrazione e l’espressione di un membro del collegio sindacale, appannaggio di Carisbo. Il posto nel cda andò alla Fondazione Mps che presentò l’unica lista di minoranza con il candidato Marco Parlangeli, direttore generale della Fondazione senese fin dal 2003.
Ma adesso alla presidenza di Mediobanca c’è Renato Pagliaro, Geronzi non sorveglia più dal Leone di Trieste e Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit che è primo socio di Piazzetta Cuccia, è un uomo di certo non ostile verso le fondazioni bancarie, anzi. Chissà se questa volta il patto di sindacato di Mediobanca sarà rifondato con l’apporto degli enti creditizi.