di Gianni Gambarotta

In questi giorni si trovano parecchie vicende negative passeggiando per Piazza Affari a Milano. Uno spirito pessimista e propenso alla depressione anche chiudendosi gli occhi e puntando alla cieca sull’indice sarebbe sicuro di centrare un obiettivo a sostegno del suo stato d’animo. Gli aumenti di capitale a raffica che ingolfano il mercato, per esempio; i corvi di Moody’s e colleghi sempre in attesa di veder passare qualche cadavere; le banche popolari entrate in una crisi esistenziale che mette in dubbio persino la loro sopravvivenza come mutue creditizie, così come erano state concepite da Luigi Luzzatti, fondatore della Popolare di Milano nel 1865. La stessa banca che ora, sotto la guida di Massimo Ponzellini, rischia addirittura di finire commissariata. Fra tutte queste e altre vicende, vale la pena di richiamare l’attenzione su un paio di casi particolarmente indicativi perché dimostrano come ancora oggi vengano ignorati gli interessi dei piccoli azionisti, quelli che gli anglosassoni chiamano le minorities, termine che nobilità la loro posizione, lasciando però inalterato il tasso di bidoni cui sono sottoposti. I due casi riguardano il salvataggio (il terzo) della famiglia Ligresti e l’aumento di capitale della Juventus. Il gruppo del costruttore siciliano, come si sa, era sull’orlo del collasso. Un indebitamento sopra i livelli di guardia gravava (e grava) sulle casseforti di famiglia e sulle quotate Premafin e Fonsai, il pezzo forte del gruppo. Dopo lunghe trattative con vari protagonisti (Groupama, Vincent Bolloré, la Consob, ecc) si è deciso che Unicredit, l’istituto più esposto nei confronti del sistema Ligresti, entrerà nell’azionariato Fonsai con una quota del 6,6 per cento ottenuta comprando da Premafin i diritti dell’aumento di capitale della compagnia di assicurazioni. E lo farà pagando un prezzo molto alto, in quanto già fissato negli accordi stipulati alla fine di marzo, e superiore di cinque volte rispetto al prezzo teorico espresso oggi dal mercato. In questo modo Unicredit non ha solo salvato Fonsai, ma ha anche fornito alla famiglia Ligresti i mezzi per conservarne il controllo. Una famiglia che si è distina per una gestione aziendale per lo meno discutibile: nel 2010 Fonsai ha registrato perdite vicine al miliardo di euro. È vero che gli accordi con Unicredit prevedono che l’Ingegnere e i suoi figli non potranno più gestire il business come in passato. E questo è un bene. Però gli azionisti di Unicredit e di Fonsai avrebbero apprezzato un passo in più. Invece gli azionisti di minoranza di Exor non apprezzeranno molto la decisione della cassaforte della famiglia Agnelli di varare un aumento di capitale da 120 milioni per la controllata Juventus (81 milioni la parte di competenza della finanziaria). Scopo dell’operazione è quello di permettere alla società calcistica di ritornare a essere competitiva a livello nazionale e internazionale, dopo gli anni bui della retrocessione e dopo le ultime stagioni non proprio esaltanti (settimo posto nello scorso campionato con esclusione dalle Coppe europee). In un’intervista pubblicata dal Sole24Ore di venerdì 24 il presidente della società, Andrea Agnelli, ha detto che l’operazione sul capitale è stata condivisa da tutto il consiglio di amministrazione, e che metterà a disposizione della società una potenza di fuoco finanziaria di molti miliardi l’anno. Il che vuol dire farla da protagonista anche nel prossimo calcio-mercato. Il che farà certamente contenti i tifosi, compreso il sottoscritto, anche se con un pizzico di scetticismo visto il disastro delle ultime costose campagne acquisti. Lascerà indifferenti (o indispettite) le minorities di Exor: speravano in investimenti più redditizi.