Gli italiani tra 55 e 69 anni d’età al lavoro sono il 62% rispetto al 78% dell’Ocse. E la vita si allunga. Da qui la necessità di rivolgersi anche a forme di previdenza libera 

di Carlo Giuro

 

Come contenere la spesa pensionistica italiana? L’adozione del metodo contributivo e l’innalzamento dell’età pensionabile contribuiscono a calmierare la gobba previdenziale futura ma è necessaria l’adozione di ulteriori misure strutturali. Lo sostiene l’Ocse nel suo recente studio Pension at glance secondo cui è necessario volgere l’attenzione verso l’occupazione nella fascia di età 55/69 anni. In Italia i tassi di partecipazione al mercato del lavoro sono infatti relativamente bassi: il 62% degli uomini rispetto a circa il 78% in media nei paesi Ocse. Questa percentuale scende ulteriormente con l’età: solo il 30% degli uomini di 60-64 anni e circa il 13% nella fascia di età 65-69 rispetto al 54,5% e 29,3%, rispettivamente, in media Ocse. Diventa allora necessario tradurre in pratica l’idea di Welfare to work. Le caratteristiche demografiche sono infatti tali per cui il nostro Paese ha la seconda aspettativa di vita più alta dell’Ocse dopo il Giappone; si tratta di 81,5 anni rispetto alla media 79,3. Con un’età ufficiale di pensionamento bassa e un’aspettativa di vita alta, le donne italiane possono aspettarsi di trascorrere 27 anni in pensione, il periodo più lungo in seno all’Ocse e ben al di sopra della media di 23,3 anni. Per l’uomo italiano, si parla di 22,4 anni e ciò lo colloca al secondo posto della classifica dopo la Grecia. La media Ocse si attesta appena sotto i 18 anni. Diventa allora necessario passare dall’architettura tradizionale dei tre pilastri (previdenza di base, previdenza integrativa collettiva e individuale) a una a cinque pilastri che consideri anche la previdenza libera e l’abbinamento al tradizionale reddito da pensione di attività part time o di tipo collaborativo.

Fondi pensione e pip delimitano l’area delle forme di risparmio agevolate fiscalmente e si caratterizzano per elementi di stretta connessione con la pensione di base. Come mezzo di diversificazione vanno allora presi in considerazione anche altri strumenti come polizze vita, fondi comuni, etf, zero coupon, fondi immobiliari. I confini pensionistici tradizionali vanno poi rivisti in chiave evolutiva nell’ottica del sopra citato Welfare to work, vale a dire la prosecuzione del lavoro dopo il pensionamento. In linea con le politiche europee (il 2012 è dedicato dalla Commissione europea all’invecchiamento attivo) e con il generale innalzamento delle aspettative di vita, il sistema previdenziale italiano ha introdotto la possibilità di cumulare pensione e reddito. A partire dal 1° gennaio 2009 le pensioni che rientrano nel sistema di calcolo retributivo sono cumulabili con i redditi da lavoro. La regola vale oggi per le pensioni di vecchiaia, di anzianità raggiunte con 40 anni di contribuzione e per le pensioni calcolate con il sistema contributivo. Il Welfare to work trova attuazione anche nella normativa in materia di previdenza integrativa. (riproduzione riservata)