Parte la caccia all’1,15% delle Generali che la famiglia Ligresti dovrà cedere perché l’Antitrust dia il proprio benestare alla ristrutturazione del gruppo. E tutti scommettono su un fatto: Diego Della Valle si prepara a essere della partita. Il paletto dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato è stato posto perché Unicredit, nell’ambito del piano di riorganizzazione del gruppo Fondiaria-Sai, entrerà nel capitale della compagnia assicurativa con il 6,6 per cento. Ma la banca di Piazza Cordusio, con una partecipazione dell’8,7%, è già primo socio di Mediobanca, che a sua volta custodisce la quota di riferimento del 13,2% del Leone. Da qui la richiesta dell’Antitrust, rivolta alla famiglia Ligresti, di uscire dal salotto buono delle Generali. E l’indiziato numero uno a salire potrebbe essere appunto l’imprenditore marchigiano.
Titolare di una quota praticamente nulla di azioni del gruppo triestino, negli ultimi mesi Della Valle non ha fatto mistero di volere contare di più. E in parte è già riuscito nell’intento. Basti pensare che la guerra mediatica lanciata dal padrone di Tod’s nei mesi scorsi contro l’allora presidente della compagnia del Leone, Cesare Geronzi (lo aveva definito «arzillo vecchietto»), si è conclusa con l’uscita di scena di quest’ultimo e la nomina di Gabriele Galateri al suo posto. Tra l’altro, Della Valle è già impegnato in un’altra importante partita nei salotti, quella su Rcs, alla quale partecipa anche l’imprenditore della sanità, Giuseppe Rotelli. Anche quest’ultimo, secondo alcune interpretazioni, potrebbe essere tra i potenziali acquirenti della partecipazione messa in vendita dai Ligresti, proprio per mettere un piede in un’altra stanza dei bottoni della finanza italiana.
Negli ambienti finanziari si punta invece poco sull’ipotesi che l’1,15% del Leone, che sulla base della chiusura di ieri in Borsa (-1,96% il titolo) vale circa 250 milioni, possa seguire una pista estera. In primo luogo non sembra essere tra i papabili il vicepresidente e azionista con lo 0,13%, Vincent Bolloré, perché considerato troppo vicino a Geronzi. Poco probabile, poi, che a comprare sia il ceco Petr Kellner, che ha il 2,02% della compagnia ma i cui conflitti di interesse con la stessa ultimamente hanno già creato abbastanza problemi. Non dovrebbero rientrare tra gli indiziati nemmeno i fondi, per la maggior parte stranieri, che assemblano già quasi il 13% del capitale del gruppo triestino. Un eventuale rafforzamento al 14% circa li porterebbe a superare Piazzetta Cuccia. E sembra difficile ipotizzare che l’ad di Mediobanca, Alberto Nagel – che ha avuto l’ultima parola nella cacciata di Geronzi – sia disposto a cedere il passo.
Insomma, una soluzione all’italiana resta quella più plausibile. Quanto agli altri soci forti del Leone, la Effeti, la holding composta da Fondazione Crt e Ferak che ha in mano il 2,3%, non appare interessata a salire nel capitale. Stesso discorso per Cariplo, che ha l’1,52% delle Generali e che ora è concentrata a crescere in Intesa Sanpaolo. Sembra da escludere anche la possibilità che a rilevare l’1,15% sia Francesco Gaetano Caltagirone, che già detiene il 2,2% della compagnia triestina. «L’ingegnere – sostiene chi lo conosce bene – in genere acquista direttamente sul mercato. E in questo caso la quota sarà ceduta attraverso una trattativa privata, con le azioni a premio rispetto ai corsi di Borsa». Non dovrebbero essere della partita nemmeno la Delfin della famiglia Del Vecchio (il patron Leonardo è recentemente uscito dal cda di Generali), che ha l’1,87%, e il Gruppo De Agostini, socio al 2,43%: hanno sempre detto che la partecipazione è di finanziaria e non straegica.