Dal primo luglio i sottoscrittori di comparti italiani pagheranno la tassa sul capital gain quando venderanno la quota e non più giorno per giorno. Così, in caso di performance positiva, il guadagno sale. E anche dare la pagella al gestore sarà più facile

di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Chi ha investito in un fondo comune di diritto italiano 20 anni fa, oggi può contare in media su una performance positiva del 148,8%. E su questa distanza un solo prodotto su 73 presenta un risultato in rosso. A dieci anni, invece, su 354 comparti 204 presentano un risultato positivo con una performance media assoluta del 5,8%. Questo il quadro degli oltre 800 fondi di diritto italiano al big bang del risparmio gestito made in Italy. Dal 1° luglio, infatti, i fondi comuni italiani saranno liberi dalla zavorra della tassazione sul maturato, che finora li ha penalizzati, per passare al regime che tassa il realizzato, lo stesso criterio già previsto per i prodotti di diritto estero. E dovranno chiudere i conti con il fisco per ripartire da zero. Con quote lorde dal 1° luglio in poi. Una rivoluzione chiesta a gran voce da Assogestioni, l’associazione dei gestori guidata da Domenico Siniscalco, e contenuta nel decreto Milleproroghe varato a inizio 2011 che renderà i fondi italiani più leggeri e competitivi. Ora sarà più semplice capire se il proprio gestore è stato più o meno bravo dei concorrenti o del mercato. Un’analisi condotta da Numeria per Milano Finanza ha messo a confronto il regime che prevede il prelievo del 12,5% ogni giorno, rispetto al sistema che impone la tassa solo al momento della liquidazione della quota. A parità di performance realizzate dal money manager, finora il fondo estero poteva esibire un risultato annuo più alto. Mentre dal punto di vista della performance del fondo, l’effetto dipende dal periodo di permanenza. Nell’esempio analizzato da Numeria su cinque anni la differenza tra la performance di un fondo tassato ogni giorno e uno che paga le imposte solo al momento della liquidazione della quota è di circa lo 0,7%. Certo, se l’orizzonte temporale si allunga questa differenza cresce. E può arrivare al 5% per un orizzonte superiore ai 30 anni. Diverso il discorso per chi invece ha un fondo con una performance negativa. Con il regime della tassazione del maturato, infatti, il fondo in perdita si vede riconosciuto un credito d’imposta che va a incrementare il suo patrimonio complessivo, riducendo gli effetti negativi della perdita. Con un ribasso del 30%, per esempio, il valore del fondo cala da 100 a 70, ma per effetto del credito d’imposta di 3,75 il patrimonio contabile sale a 73,75. Quindi il fondo a tassazione del maturato perde meno rispetto al risultato lordo di un fondo o di un indice. Con il regime della tassazione sul maturato, il sottoscrittore di un fondo in perdita aveva così il vantaggio di monetizzare il credito d’imposta, incassando i 73,75 euro dell’esempio, mentre con la tassazione del realizzato porta a casa solo i 70 euro, con un credito d’imposta da recuperare di 3,75 euro. Ma ecco nel dettaglio che cosa accadrà alle quote dei fondi di diritto italiano dal 30 giugno, data spartiacque tra vecchio e nuovo regime. In quel momento la sgr calcolerà il risultato di gestione di ogni fondo e in caso di performance positiva verserà l’imposta del 12,5% sulla plusvalenza. Il risultato negativo maturato a tale data è invece utilizzabile dalla sgr in compensazione. A fronte della compensazione è quindi automaticamente riconosciuto un maggior valore della quota pari al 12,5% dell’ammontare della perdita compensata, senza che sia richiesto alcun intervento o iniziativa da parte del risparmiatore. Le perdite che non risultano compensate alla cessazione del fondo sono attribuite ai partecipanti al fondo che le possono utilizzare in compensazione dei redditi diversi di natura finanziaria successivamente realizzati. Dal 1° luglio partirà poi il nuovo regime con una quota al netto delle tasse pagate su cui verranno calcolate le future performance. Mentre per il fisco, invece, i capital gain saranno determinati su una quota lorda per evitare una doppia imposizione. Quindi, se al 30 giugno la quota lorda sarà 100 e il sottoscrittore vende a 150, la tassa sul capital gain del 12,5% si pagherà sul 50 di plusvalenza a prescindere dall’effettivo costo di sottoscrizione o acquisto sostenuto da parte dell’investitore. «Ciò consente di escludere da un lato che redditi già assoggettati a imposizione in capo al fondo possano essere nuovamente assoggettati a ritenuta al momento della distribuzione, dall’altro che la base imponibile della ritenuta possa essere ridotta per perdite già utilizzate in compensazione da parte del fondo», dice Stefano Tellarini dello studio specializzato sulla consulenza tributaria Maisto e Associati. Il documento conclusivo della task force di Assogestioni costituita per l’implementazione della riforma della tassazione dei fondi ha inoltre chiarito che il nuovo sistema di tassazione si applicherà a tutti gli organismi di investimento collettivo istituiti in Italia, che investono il patrimonio non solo in asset finanziari ma anche in beni per i quali esista un mercato e il cui valore sia determinabile con certezza almeno ogni sei mesi. Se questo è tutto chiaro, mancano però alcuni tasselli che dovrà chiarire l’Agenzia delle Entrate. Un tema è infatti quello legato ai fondi a distribuzione dei proventi. «Vi sono vari aspetti che dovranno essere chiariti dall’amministrazione finanziaria. Per esempio, il regime transitorio che prevede l’assunzione del valore al 30 giugno quale costo di sottoscrizione o acquisto non sembrerebbe applicabile ai proventi realizzati tramite la distribuzione periodica dei proventi da parte del fondo in costanza di partecipazione. Se il Nav del fondo è pari a 100 al 1° gennaio e a 150 al 30 giugno, non vi sarebbe alcuna ritenuta applicabile in caso di riscatto della quota per 150 successivamente al 30 giugno, mentre i medesimi proventi di 50 sarebbero assoggettati a ritenuta se distribuiti in costanza di partecipazione con conseguente doppia imposizione», dice Tellarini. Un altro tema è quello degli switch, ossia il passaggio da un fondo a un altro della stessa famiglia. Attualmente l’operazione di switch non ha alcun impatto fiscale per le sicav estere mentre per i fondi italiani, tenuto conto del regime di tassazione per maturazione, viene di fatto tassata. Ma Assogestioni ha sollevato il dubbio che «la riforma potrebbe, tra l’altro, comportare una modifica all’impostazione fino a oggi adottata, nel senso di considerare fiscalmente rilevanti le operazioni di switch aventi a oggetto quote o azioni di fondi italiani ed esteri», si legge nel documento conclusivo della task force. In realtà, la risposta arriva dall’Europa perché nello schema di registrazione della direttiva Ucits IV c’è già una norma che prevede la tassazione degli switch per tutte le tipologie di fondi, anche quelli esteri. Per le gestioni patrimoniali in titoli e in fondi resta in piedi il vecchio regime. Come spiega Tellarini: «La modifica normativa non riguarda le gestioni patrimoniali individuali. Tale regime continua a prevedere una tassazione sul risultato maturato al termine di ciascun periodo d’imposta. L’inclusione di quote di fondi comuni italiani in rapporti per i quali trova applicazione il regime del risparmio gestito potrebbe quindi portare a una tassazione degli incrementi di valore delle quote maturati ma non realizzati anche in seguito alla riforma del regime fiscale dei fondi. D’altra parte, il regime del risparmio gestito consente di compensare i risultati positivi e negativi derivanti dalle quote di fondi comuni di investimento italiani. Diversamente, tale compensazione sarebbe preclusa in quanto si tratta di risultati rientranti in categorie reddituali differenti». Continuano a essere tassati sul maturato anche i fondi pensione che hanno un’aliquota agevolata dell’11%. (riproduzione riservata)