di Marcello Bussi

«Non si può escludere a priori una manipolazione». Così fonti vicine alla Consob hanno commentato l’attacco alle banche italiane avvenuto venerdì 24 giugno poco prima di mezzogiorno, in coincidenza con l’annuncio della nomina del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi alla presidenza della Bce. Non appena è cominciato il tracollo dei titoli bancari, che ha lasciato a bocca aperta molti operatori, la Consob si è messa subito al lavoro. Dalle prime indagini dell’autorità di vigilanza è risultato che un ruolo importante lo hanno avuto gli stop loss, i meccanismi automatici di vendita che scattano al raggiungimento di certe soglie. L’ondata di ribassi è stata amplificata dalle particolari condizioni del mercato in quel momento, in particolare dalla scarsa liquidità. In condizioni normali, a fronte di un movimento così violento (Unicredit e Intesa Sanpaolo sono state sospese per eccesso di ribasso), il mercato si sarebbe rapidamente corretto da solo. Ma i titoli bancari sono stati lasciati cadere a causa dell’incertezza che circola da giorni sui mercati, in particolare su Piazza Affari. Certo, la Grecia continua a pesare, anche se ormai la soluzione della rinegoziazione volontaria dei titoli di Stato ellenici da parte delle banche private, che comporta l’allungamento delle scadenze sembra ormai a portata di mano. Inoltre l’avvicinarsi degli esiti degli stress test su 90 banche europee, che dovrebbero essere diffusi il 13 luglio, ha scatenato voci e indiscrezioni sulla possibile bocciatura di qualche banca italiana. L’Autorità Bancaria Europea (Eba) ha infatti reso più severi gli stress test, annunciando di avere ampliato l’area di simulazione per meglio riflettere le attuali turbolenze provocate dalla crisi greca. L’Eba non è entrata nei dettagli. Ma è girata voce che abbia simulato un hair cut del 50% sul debito sovrano dei Paesi periferici di Eurolandia. Anche in questo caso, però, si tratta di comportamenti fisiologici del mercato quando ci si avvicina a una scadenza importante, che in altre occasioni avrebbero portato a movimenti meno devastanti. E queste voci non spiegherebbero comunque l’attacco alle banche italiane, visto che l’esposizione al debito greco degli istituti di credito tedeschi e francesi è nettamente superiore. Il fatto è che lo scossone di venerdì 24 è arrivato dopo un’opera di martellamento iniziata da Moody’s venerdì 17, quando l’agenzia di rating ha annunciato a mercati chiusi di avere messo sotto osservazione per un possibile downgrade il rating sovrano dell’Italia. Da lì, a cascata, lunedì 20 Moody’s ha fatto lo stesso con le principali società a partecipazione statale:Enel, Eni, Finmeccanica, Poste e Terna. Giovedì 23 è poi arrivata la mazzata sulle banche: ben 16, tra cui Intesa Sanpaolo, Mps e Banco Popolare, sono state messe sotto osservazione per un possibile taglio del rating, mentre per altri 13, tra cui Ubi eCredito Emiliano, l’agenzia ha abbassato l’outlook da stabile a negativo. Nell’occasione, l’agenzia si è premurata di avvertire che altre banche come Unicredit eBpm non sono state prese in considerazione perché hanno già outlook negativo o sono già state messe sotto osservazione per un possibile taglio. Come ciliegina sulla torta, poco prima della chiusura dei mercati venerdì 24, Moody’s ha messo sotto revisione in vista di un possibile peggioramento il rating sui covered bond emessi daCarige, Montepaschi, Banco Popolare, Cassa Depositi e Prestiti e Intesa Sanpaolo.

 

Dopo una settimana di trattamento-Moody’s è inevitabile che si sia aperta una breccia ove potrebbero essersi gettati a capofitto gli speculatori. Le fonti vicine alla Consob hanno usato il condizionale. Ma al tempo stesso hanno rivelato che le indagini saranno lunghe, anche perché potrebbero richiedere la collaborazione di autorità di vigilanza di altri Paesi, nel caso si sospettasse, per esempio, un ruolo importante giocato nell’attacco dalla piazza di Londra. Perché è inutile nascondersi dietro un dito: è probabile che la pressione di Moody’s abbia spinto qualche grosso operatore a mettere in piedi una marpionata per farsi un bel gruzzoletto. Ma qualche osservatore pensa che Moody’s da sola non sarebbe riuscita a provocare tutto questo caos. Perché anche chi ha il compito istituzionale di difendere il sistema ci ha messo del suo, sia pure involontariamente e magari per eccesso di zelo. Al momento del crollo dei titoli bancari molti hanno pensato all’imminente downgrade dell’Italia da parte un’agenzia di rating (Standard & Poor’s si è rifiutata di fare commenti). E qualcuno ha ricordato le dichiarazioni fatte la settimana scorsa addirittura dal presidente dell’Eurogruppo, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, che ha parlato di rischio contagio della crisi greca non solo per l’Irlanda e il Portogallo, ma anche per i Paesi a elevato debito pubblico, come il Belgio e l’Italia, che potrebbero essere colpiti anche prima della Spagna. Il giorno dopo Juncker ha parzialmente corretto tali affermazioni, sostenendo di essere stato frainteso. Ma, si sa, nella memoria di solito restano le prime dichiarazioni, non le rettifiche. Anche la volontà dell’Eba di rendere più severi gli stress test rischia di andare in senso opposto, esponendo maggiormente le banche agli agguati della speculazione in questo periodo di attesa dei risultati. Diversi operatori, poi, hanno osservato in mattinata era uscito un lancio di agenzia, secondo cui l’aumento di capitale da 1 miliardi di Ubi Banca era stato sottoscritto per oltre il 75%, inducendo alcuni operatori a ritenere che si sarebbe concluso con un insuccesso. Poi si è saputo che l’adesione ha superato il 90%. Ma i dubbi sono giustificati dal fatto che le ricapitalizzazioni innescate dalla moral suasion della Banca d’Italia sono troppe e troppo concentrate in un breve lasso di tempo. E quindi la fretta di raggiungere l’obiettivo indicato da Draghi di rendere più solide le banche italiane sta ottenendo il risultato di renderle più deboli nel breve termine, esponendole agli attacchi della speculazione.

 

Il principale imputato è però la Germania della cancelliera Angela Merkel, che sta trattando la crisi greca sulla base di immediati interessi elettorali. Con i suoi tentennamenti l’anno scorso aveva ottenuto il risultato di fare salire il conto provvisorio degli aiuti alla Grecia a 110 miliardi. Adesso si tratta di varare un nuovo round di aiuti di misura equivalente, se non leggermente superiore (si parla di 120 miliardi). Se dal punto di vista teorico il coinvolgimento dei privati, con le banche che accettano volontariamente l’allungamento delle scadenze del debito non fa una grinza, all’atto pratico bisognerà però fare i conti con la reazione delle agenzie di rating, che non sembrano affatto convinte della volontarietà della mossa e sono quindi pronte a decretare il default della Grecia una volta dato il via libera all’operazione, scatenando così sui mercati un terremoto che rischia di essere ancora più devastante di quello del crac di Lehman Brothers. Da quel momento non sarà più solo l’Italia a scontrarsi con le varie Standard & poor’s, Moody’s e Fitch, ma l’intera Eurolandia. Il tempo dirà chi uscirà vincitore dal braccio di ferro. (riproduzione riservata)