DANNI AMBIENTALI
Autore: Leandro Giacobbi
ASSINEWS 375 – Giugno 2025
Una riflessione per comprendere la complessità
dell’evidente insufficienza di copertura assicurativa del mondo imprenditoriale italiano
A distanza di tre mesi dalla pubblicazione del Report “Pool Ambiente 2024”, rammentando che è stato presentato il 27 febbraio scorso e che si tratta del “primo” documento con il quale il Pool Ambiente ha voluto “riscrivere le priorità per la tutela dell’ambiente e della nostra salute” (sottotitolo del Report), riteniamo opportuno tornare sul tema.
Infatti, la sua uscita è avvenuta in concomitanza con il dibattito sulla nuova normativa che ha introdotto l’obbligo assicurativo per le imprese contro i danni da calamità naturali: il decreto ministeriale n. 18/2025, il cui impatto mediatico ne ha parzialmente oscurato la portata e la rilevanza.
Ciò che accomuna questi due eventi assicurativi, seppur distinti, è la stessa criticità di fondo: la grave insufficienza della copertura assicurativa nel settore industriale. In questo contributo, approfondiremo i dati del Report per analizzare la reale situazione dei rischi ambientali e riflettere sulle cause di questa carenza di coperture nel mercato assicurativo italiano, valutandone le prospettive future.
Ridotta propensione alla copertura assicurativa
Secondo l’indagine commissionata da Facile.it all’istituto EMG Different, a settembre 2024, solo il 6,2% delle micro e piccole imprese intervistate dichiarava di avere una polizza contro terremoti, inondazioni, alluvioni, esondazioni e franamenti. A questa percentuale si aggiunge un 4% di imprese che ha riferito di essere coperto solo parzialmente.
Per quanto riguarda i rischi ambientali, la situazione è ancora più critica. Il Report evidenzia
una percentuale allarmante: appena lo 0,45% delle imprese italiane dispone di una copertura completa per i danni ambientali.
Questo dato è il risultato di un’analisi che ha coinvolto quasi tutti gli operatori del mercato assicurativo ambientale. Tuttavia, va precisato che l’elaborazione è basata esclusivamente
sui dati del 2021. Il Pool Ambiente, comunque, si è impegnato a fornire aggiornamenti
annuali per monitorare l’evoluzione del settore.
Interessante è anche il documento EIOPA: Dashboard sul gap di protezione assicurativa per le catastrofi naturali, che è il primo cruscotto europeo che illustra il divario di protezione assicurativa per le catastrofi naturali. Ebbene, EIOPA evidenzia le tre
aree di rischio nel periodo 1980-2023 con le maggiori perdite non assicurate e l’Italia
compare per ben due volte.
Portafoglio delle polizze per danni all ’ambiente in italia (2021)
Volendo approfondire il portafoglio per i danni all’ambiente in Italia, riproduciamo la tabella 5.2 del Report, che ci permette di conoscere con maggior dettaglio le polizze presenti in portafoglio per settore merceologico.
Il dato che emerge, immediatamente, tenuto conto della potenziale pericolosità delle lavorazioni, è l’incidenza decisamente bassa per il settore petrolifero e per quello chimico.
In ogni caso, il report dedica un approfondimento per i settori più significativi che riportiamo, qui di seguito, in sintesi.
- Rifiuti. Il 19,12% è la percentuale di imprese del settore rifiuti con una polizza per i danni all’ambiente. La spiegazione di questa maggiore penetrazione delle coperture ambientali è senza dubbio da ricondurre all’obbligo in vigore nella Regione Veneto dal 1999 per le imprese del settore rifiuti di sottoscrivere una polizza assicurativa e una fidejussione a favore della Regione per i danni all’ambiente.
- Chimico. Solo il 6,97% delle imprese del settore chimico dispone di una copertura assicurativa completa per i rischi ambientali, un valore superiore alla media nazionale. Questo dato riflette la maggiore regolamentazione e i controlli più rigidi nel settore, che incentivano una cultura del rischio e l’uso dell’assicurazione. Tuttavia, resta una percentuale bassa, soprattutto considerando la pericolosità intrinseca di queste attività.
- Petrolifero. Nel settore petrolifero, solo il 3,52% delle imprese dispone di una polizza ambientale. Questo dato considera anche i distributori stradali di carburante e i depositi di carburanti, classificati da Istat nella categoria Civile, Commerciale e Turismo. Tuttavia, poiché alcune aziende stipulano un’unica polizza per più distributori o depositi, si tratta di una stima approssimativa.
- Attività presso terzi. Lo 0,85% rappresenta l’incidenza delle polizze assicurative relative ad attività svolte presso terzi, che includono principalmente lavori edili, bonifiche e manutenzioni. Sempre più frequentemente, i committenti richiedono espressamente agli appaltatori la presenza di una copertura assicurativa, anche per il rischio di danni ambientali.
- Siderurgico, metalmeccanico e trattamento metalli. Lo 0,46% è la percentuale di incidenza delle polizze in questo settore, sicuramente molto modesta, rispetto ad attività con un rischio di danno all’ambiente in genere significativo.
La situazione italiana tra obbligo assicurativo e incentivazioni
Il quadro emergente dal Report è tutt’altro che rassicurante, soprattutto considerando le potenziali implicazioni dei rischi ambientali. Secondo una comunicazione pubblicata sul sito della Regione Lombardia al 30 aprile 2024, nella regione risultano 1.077 siti contaminati, dove sono attualmente in corso attività di bonifica o completate, ma in attesa di certificazione, e 3.067 siti già bonificati. Non si può dimenticare, inoltre, che la Lombardia è stata teatro di uno dei più gravi disastri ambientali della storia: l’incidente di Seveso del 10 luglio 1976, quando da un reattore della fabbrica di cosmetici Icmesa si sprigionò una nube di diossina, una sostanza altamente tossica. L’evento è considerato uno dei peggiori disastri ambientali mai avvenuti. A questo punto il dibattito per uscire da questo cono d’ombra sembra focalizzarsi sull’imporre alle aziende un obbligo assicurativo, come è stato realizzato per i rischi catastrofali, oppure incentivare i comportamenti virtuosi delle imprese. Va segnalata, in questo senso, la proposta di legge n. 445 datata 24 ottobre 2022 che, allo scopo di prevenire e ridurre i casi di contaminazione ambientale, riconoscerebbe un credito d’imposta di importo pari al 20% delle spese sostenute nel medesimo anno dai soggetti per la stipulazione di contratti di assicurazione aventi ad oggetto il rischio di danno all’ambiente, fino all’importo massimo annuale di 1.500 euro per ciascun beneficiario.
Conclusione: la partnership pubblico-privato
Come evidenziato nel Report, ANIA auspica che interventi analoghi al Decreto CATNAT vengano estesi al più presto, non solo alle abitazioni civili, ma anche ad altre tipologie di rischi catastrofali. L’obiettivo è ridurre la dipendenza dagli interventi pubblici post calamità, che, finanziati dalla fiscalità generale, sono spesso condizionati dalle congiunture economiche e si limitano al ripristino dell’esistente, riducendo al minimo gli investimenti a lungo termine. Allo stesso tempo, la soluzione dell’obbligo assicurativo crea una totale mutualità per cui rende l’assicurazione più sostenibile da un punto di vista economico. In definitiva, l’approccio è quello di trasferire al settore “privato/assicurativo” il peso economico del finanziamento post calamità, ma questo richiede una riflessione su diversi livelli.
Ad esempio,
- il ruolo degli intermediari e della loro retribuzione. L’obbligo assicurativo costituisce una grande opportunità, ma riduce i costi di “ricerca del cliente”. Come rivedere, allora, gli oneri di acquisizione dei contratti, dato che l’intermediazione si gioca sul prodotto, sull’entità del suo premio e la consulenza in caso di sinistro, perché la domanda diventa, con l’obbligo assicurativo, forzata;
- la definizione dell’obbligo assicurativo. Il decreto ministeriale n. 18/2025 sui rischi catastrofali rappresenta un esperimento perfettibile. Non avere previsto una sanzione “certa” per le imprese inadempienti, ma solo il mancato accesso ad agevolazioni o contributi pubblici, rende l’obiettivo della totale mutualità di difficile realizzazione. È certo che se ad assicurarsi sono solo le aziende maggiormente esposte ad un determinato evento, gli assicuratori faranno fatica a garantire una adeguata copertura finanziaria e il livello dei premi rimarrà elevato;
- l’integrazione dei fattori ESG nella valutazione del rischio. Questo elemento è stato correttamente sottolineato nel Report da Flavio Sestilli, Presidente AIBA Associazione Italiana Brokers di Assicurazioni e Riassicurazioni. L’integrazione dei fattori ESG (Environmental, Social, Governance) nella valutazione del rischio sta diventando un elemento chiave per la competitività delle imprese. Come già avviene nella valutazione del merito finanziario, la considerazione di questi parametri in ambito di coperture assicurative in corso, dovrebbe essere valutata per riconoscere un rating assicurativo a ciascuna impresa. Il livello del rating dovrebbe favorire l’accesso ad incentivi economici statali, non solo in sede di sinistro, ma anche sui costi assicurativi delle polizze e sugli investimenti messi in atto per la prevenzione.
È indubbio che il 2025 si sta contraddistinguendo per un dibattito costruttivo sul binomio attività economica e rischio assicurativo. L’auspicio è quello che ha segnalato con notevole nitidezza nel Report, Flavio Sestilli, e cioè l’esigenza di tutelare i beni comuni, le risorse idriche, il suolo, il paesaggio, ecc. e tutto ciò non può essere lasciato alla sola iniziativa privata e all’opportunismo di chi per troppo tempo ha scaricato sulla collettività le “esternalità negative” del proprio operato.
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