RCA
Autore: Marco Rossetti
ASSINEWS 375 – Giugno 2025
Denuncia di sinistro e “modulo CAI” anche in digitale, ma solo tra un anno
1. Un nuovo regolamento
Con il Regolamento 25 marzo 2025 n. 56, (in Gazz. uff., 7 aprile 2025 n. 81) sono state introdotte nuove regole in materia di prova documentale in ambito di assicurazione della
r.c.a..
Le nuove regole riguardano due documenti: il certificato di assicurazione e la denuncia di sinistro.
Chi si fosse aspettato novità epocali non si illuda: il Regolamento in larga parte riproduce il precedente Regolamento ISVAP 6 febbraio 2008 n. 13 (in Gazz. uff., 15 febbraio 208 n. 39), con alcune eliminazioni (la parte dedicata al contrassegno è stata eliminata, essendo divenuta superflua dopo la c.d. dematerializzazione del contrassegno assicurativo) ed alcune aggiunte: in particolare, la apparente novità è che tanto il certificato assicurativo (art. 127 cod. ass.), quanto la denuncia di sinistro (art. 143 cod. ass.) potranno essere redatti e trasmessi con modalità digitale.
Dico “apparente” perché da circa 25 anni tutti gli atti negoziali privati (e tali sono sia il certificato assicurativo, sia la denuncia di sinistro) possono essere redatti in forma digitale
con effetti equipollenti a quelli dei documenti cartacei (art. 2712 c.c., come modificato dall’art. 23 quater del d. lgs. 7.3.2005 n. 82).
Ma su questo punto e sulle riflessioni di sistema che esso suggerisce mi soffermerò al termine di queste pagine. Ora occupiamoci dei contenuti del Regolamento 56/2025, iniziando dalla sua efficacia soggettiva e temporale.
2. Ambito applicativo
Dal punto di vista temporale il Regolamento è entrato in vigore l’8 aprile 2025. Tuttavia le imprese assicuratrici avranno un anno di tempo (e dunque fino all’8 aprile 2026) per adeguarsi alle nuove regole in tema di denuncia di sinistro in formato digitale. Dal punto di vista soggettivo le nuove regole (sia sul certificato, sia sul modulo “CAI”) si applicano alle imprese (e dunque, per secundam, agli intermediari che ceroperino per conto di esse od in rappresentanza di esse) aventi sede in Italia o nello Spazio Economico Europeo1, ed in quest’ultimo caso tanto se operanti in regime di stabilimento, quanto se in regime di libera prestazione di servizi. La previsione ricalca l’abrogato art. 3 del Reg. ISVAP 13/2008, e reitera lo stupore già suscitato dall’esclusione dall’ambito applicativo del regolamento delle imprese svizzere.
Infatti, sebbene la Svizzera non faccia parte del SEE (i cittadini svizzeri bocciarono con un referendum l’adesione del loro Paese al SEE), ha comunque stipulato con l’Unione Europea numerose convenzioni bilaterali succedanee degli accordi SEE. Tra queste, l’Accordo 10 ottobre 1989 “concernente l’assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita”, i cui artt. 5, 10 ed 11 impegnano le parti contraenti a rilasciare l’autorizzazione all’esercizio alle imprese assicuratrici aventi sede nel territorio dell’altra parte, se soddisfano i requisiti previsti dall’Accordo stesso. Il possesso di tali requisiti tuttavia è attestato dall’autorità di controllo del Paese dove l’impresa ha sede: quindi l’impresa Svizzera che si presenti in Italia, munita del “certificato” rilasciato dall’Autorità Federale di Vigilanza sui Mercati Finanziari (FINMA) ha diritto di svolgere la propria attività in Italia: è arduo comprendere perché a tali imprese non debbano applicarsi le norme sul certificato e sul modulo CAI2.
3. Le novità in tema di certificato assicurativo
Il certificato assicurativo (art. 127 cod. ass.) è un documento firmato dall’assicuratore che riassume il contenuto della polizza, e che l’assicuratore ha l’obbligo di consegnare al contraente. L’obbligo di consegna ha natura contrattuale ed il suo inadempimento legittima l’assicurato ad invocare l’exceptio inadimpleti contractus, ex art. 1460 c.c., ovvero a domandare la risoluzione del contratto per inadempimento, ex art. 1453 c.c.3. Si tratta tuttavia di ipotesi del tutto teoriche: infatti la risoluzione del contratto per inadempimento è ammessa se quest’ultimo sia “di non scarsa importanza” (art. 1455 c.c.); mentre l’eccezione di inadempimento è ammessa sempre che il rifiuto non sia contrario a buona fede (art. 1460, comma secondo, c.c.).
Ora, se l’assicuratore ha rilasciato al contraente la polizza, ma non il certificato, è arduo immaginare qual pregiudizio ne possa derivare. Il contratto esiste; la polizza ne è la prova legale (art. 1888 c.c.); il terzo danneggiato dalla polizza può ricavare gli stessi elementi presenti sul certificato, ed anche di più, e di nulla potrà dolersi nei confronti del responsabile-assicurato. Il certificato infatti ha lo scopo di rendere incontestabile rispetto ai terzi danneggiati l’esistenza dell’assicurazione, la sua efficacia e l’obbligo dell’assicuratore di indennizzare i sinistri avvenuti entro i limiti temporali indicati sul certificato stesso (art. 127, comma 2, cod. ass.).
La giurisprudenza ritiene pertanto che il certificato ha una funzione di pubblicità e di incontestabilità: di pubblicità, in quanto finalizzato a dimostrare ai terzi l’avvenuta stipula del contratto; di incontestabilità, in quanto una volta emesso l’assicuratore perde la possibilità di revocarne o contestarne il contenuto, a nulla rilevando che esso non corrisponda esattamente al contratto4.
Il certificato dunque non è la prova del contratto: il certificato è una confessione stragiudiziale in incertam personam (art. 2735 c.c.), che l’assicuratore compie a favore di chiunque dovesse essere danneggiato dal veicolo indicato nel certificato stesso, circa l’esistenza e la durata della copertura. Va da sé che se il certificato, sebbene rilasciato dall’assicuratore, non dovesse coincidere con il contenuto reale del contratto, tale circostanza sarebbe inopponibile al terzo danneggiato, ma legittimerà l’azione di rivalsa dell’assicuratore nei confronti degli assicurati (conducente e proprietario).
Il contenuto del certificato (art. 6 Reg. 56/2025) ricalca le previsioni previgenti (art. 6 Reg. 13/2008), con l’aggiunta di due previsioni: a) se il veicolo assicurato circola con targa provvisoria, il certificato deve indicare quale periodo di assicurazione un periodo non superiore a quello di validità del foglio di via; b) se il veicolo assicurato è stato spedito in Italia da altro Stato membro, il certificato deve indicare quale periodo di assicurazione un periodo massimo di trenta giorni. Gli artt. 4 e 6 del Regolamento contengono un bel florilegio di norme inutili. Ne vedremo molti esempi ancora, ma voglio cominciare ad appuntarli, per trarne poi alcune conclusioni. L’art. 4 del Regolamento 56/25 recita: “L’adempimento dell’obbligo di assicurazione (…) è comprovato da apposito certificato di assicurazione rilasciato dall’impresa di assicurazione”. Mi chiedo quale utilità abbia emanare una norma regolamentare pedissequa rispetto alla previsione di legge: l’art. 127, comma primo, cod. ass., recita infatti: “L’adempimento dell’obbligo di assicurazione (…) è comprovato da apposito certificato rilasciato dall’impresa di assicurazione”.
L’art. 6, commi 4 e 5, stabilisce che nel caso di veicoli con targa provvisoria o spediti dall’estero in Italia il certificato debba indicare un periodo di copertura non superiore a quello consentito dalla legge. A che serve questa norma? A nulla. In primo luogo perché il certificato non è il contratto, ma un riassunto del contratto, ed è ovvio che non può contenere indicazioni difformi da quest’ultimo. Se dunque la durata del contratto è stabilita dalla legge, è inutile emanare un regolamento per stabilire che… la legge deve essere rispettata. In secondo luogo perché il certificato ha valore confessorio. Se dunque in esso è indicata una certa durata, maggiore di quella consentita, la discrepanza sarà inopponibile al terzo danneggiato (art. 144 cod. ass.).
4. Meritiamo conditores migliori
Un cenno a parte voglio dedicarlo, sine ira ac studio, all’art. 5 del Regolamento (anch’esso mutuato tal quale dal previgente art. 5 del Reg. 13/2008). Ivi infatti è contenuta una statuizione singolare. Vi si stabilisce che se il contratto di assicurazione r.c.a. è stipulato con la forma della coassicurazione “e le imprese coassicuratrici si sono obbligate in solido anziché in proporzione della rispettiva quota”, sul certificato basterà indicare la ragione sociale della delegataria, se individuata. Soffermiamoci ora su questo punto: “se le imprese coassicuratrici si sono obbligate in solido”.
A me hanno insegnato che una coassicurazione è tale perché le imprese coassicuratrici sottoscrivono ciascuna una quota di rischio. Dire perciò “coassicurazione in solido” è come dire che la pietra è liquida. La solidarietà infatti – mi scuserà il lettore se lo tedio con delle ovvietà; mi è necessario per svelare l’approssimazione giuridica del legislatore delegato – comporta l’obbligo di ciascun debitore di adempiere per intero l’obbligazione, salvo regresso. Se dunque un assicuratore si obbliga nei confronti dell’assicurato a pagare l’indennizzo per intero, non sta sottoscrivendo una quota del rischio: sta sottoscrivendo l’intero rischio. Si dirà: sì, ma avrà regresso nei confronti degli altri coassicuratori: certo, ma questo non è un effetto della “coassicurazione in solido” (art. 1911 c.c.). Questo è un effetto naturale dell’assicurazione del medesimo rischio presso diversi assicuratori (art. 1910 c.c.), non della coassicurazione.
Insomma: se più assicuratori stipulano un contratto contestuale, impegnandosi ciascuno a pagare il rischio per intero salvo regresso, questo contratto non è una coassicurazione, ma una assicurazione plurima contestuale, in cui la misura del regresso è stabilita dagli assicuratori anziché dall’ultimo comma dell’art. 1910 c.c.. Queste conclusioni la Corte di cassazione le viene ripetendo da mezzo secolo: risale infatti al 1976 l’affermazione del principio per cui “la caratteristica saliente della coassicurazione è l’assunzione pro quota e non solidale dell’obbligo di pagare l’indennità” (così Cass. civ., sez. III, 28.6.1976 n. 2459, in Assicurazioni, 1977, II, 2, 119; nello stesso senso, ex permultis, Cass. civ., sez. III, 26.7.2024, n. 20935).
5. Rilascio del certificato
Nulla cambia sui tempi di rilascio del certificato: cinque giorni dal pagamento del premio (art. 9 Reg. 56/25, che riproduce sul punto l’art. 11 Reg. 13/2008). Si badi che il pagamento del premio può non coincidere con la stipula del contratto (artt. 1899 c.c.). Dunque è il pagamento del premio, non l’accettazione della proposta, il dies a quo per la consegna del certificato.
Novità rispetto al previgente Reg. 13/2008 sono contenute nei commi 2 e 3 dell’art. 9 del nuovo regolamento. Ivi si prevede che:
a) è il contraente che sceglie la forma del certificato: su carta o su “supporto durevole”;
b) se il certificato non è consegnato contestualmente al pagamento del premio, nei cinque giorni successivi al pagamento del premio si considerano equipollenti al certificato i seguenti atti:
b’) la quietanza di pagamento del premio;
b’’) la dichiarazione dell’assicuratore di avvenuta stipula del contratto;
b’’’) la ricevuta del bollettino di conto corrente postale prestampato dall’assicuratore con cui è stato pagato il premio.
Per quanto attiene la prima di tali previsioni, l’art. 2, lettera (o), del Regolamento stabilisce che per “supporto durevole” deve intendersi “qualsiasi strumento che: (a) permetta al con traente di memorizzare informazioni a lui personalmente dirette, in modo che siano accessibili per la futura consultazione durante un periodo di tempo adeguato ai fini cui sono destinate le informazioni stesse; e (b) consenta la riproduzione inalterata delle informazioni memorizzate”.
Mi asterrò da facili ironie su certe scelte lessicali (nella definizione appena trascritta rientrerebbero, a ben vedere, anche una tavoletta assira in caratteri cuneiformi od il Marmor Ancyranum), per soffermarmi su questo punto: c’è bisogno di un regolamento amministrativo (con tutto il suo corredo di “pubblica consultazione”, firme e controfirme, pareri e Gazzetta ufficiale) per stabilire che i negozi di diritto privato possano essere formati con modalità digitali, e con queste documentati? No, non ce n’era bisogno. Che un atto di diritto privato inter vivos potesse essere formato con modalità digitali lo consentiva già il combinato disposto degli artt. 20 e 2, comma 3, d. lgs. 7.3.2005 n. 82.
La prima di tali norme infatti stabilisce che ogni documento informatico “soddisfa il requisito della forma scritta e ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata”. L’art. 2, comma 3, del suddetto d. lgs. 82/05 estende tale previsione, dettata per la P.A., “anche ai privati, ove non diversamente previsto”. Dunque, a ben vedere, la vera novità del Regolamento 56/25 non è la possibilità di redigere il certificato su supporto informatico (previsione, per quanto detto, inutile). La vera novità è che la forma digitale può essere pretesa dal contraente e l’assicuratore non può rifiutarla.
6. La denuncia di sinistro
Gli artt. 11-15 del Reg. 56/25 sono dedicati al modulo per la denuncia di sinistro, di cui all’art. 143 cod. ass. Anche in questo caso da un lato vengono reiterate previsioni già contenute nel Reg. 13/2008 (la denuncia di sinistro va compilata sul modello allegato in fac-simile al Regolamento; l’assicuratore ha l’obbligo di consegnarne una copia al contraente al momento della stipula); dall’altro lato vengono introdotte nuove previsioni sulla forma della denuncia di sinistro e sulle modalità della sua trasmissione all’assicuratore.
In particolare:
a) è il contraente a scegliere se farsi consegnare il modulo per la denuncia di sinistro in formato cartaceo o digitale (art. 13, comma 2);
b) la denuncia di sinistro può avvenire tramite un documento informatico, e la relativa scelta spetta “al conducente o al proprietario” (art. 11, comma 2);
c) l’assicuratore ha l’obbligo di creare una “App” (in italiano, un programma informatico) per consentire l’inoltro in via telematica della denuncia di sinistro (art. 14).
Le prime due delle suddette previsioni sono immediatamente vigenti; gli assicuratori avranno invece un anno di tempo per assolvere gli obblighi di cui alla terza previsione. 6.1. Sia consentita una piccola chiosa sulle previsioni sub (a) e (b). La denuncia di sinistro compiuta dall’assicurato è, quanto alla natura, un atto di esecuzione di obblighi contrattuali del contratto (art. 1913 c.c.); quanto agli effetti, essa può integrare gli estremi della confessione stragiudiziale (art. 2735 c.c.).
Nell’un caso, come nell’altro, ci troviamo dinanzi a negozi unilaterali di diritto privato qualificabili come atti di volontà. Vale dunque anche per la denuncia di sinistro quanto già detto al precedente § 5. L’espressa previsione che consente la digitalizzazione di tale atto è superflua, in quanto tale possibilità era già prevista dal combinato disposto degli artt. 2 e 20 del codice dell’amministrazione digitale (CAD). 6.2. La previsione sub (c) invece ha una sua indubbia utilità pratica. Certo, si resta ben lontani dalle previsioni di altri ordinamenti, i quali hanno ben compreso che la digitalizzazione è uno strumento straordinario per prevenire le liti e ridurre i costi assicurativi.
Nel Regno Unito, ad es., il Civil Liability Act 2018 (in vigore dal 31.5.2021) ha creato un portale dedicato a favorire le transazioni stragiudiziali aventi od oggetto i piccoli danni alla persona, senza bisogno di ricorrere ad avvocati (Official Injury Claim)5. Da noi nulla di tutto ciò è ancora ipotizzabile: il regolamento infatti impone agli assicuratori di predisporre un programma per ricevere la denuncia di sinistro, non anche per acquisire i documenti necessari alla stima del danno, fornire le relative informazioni, formulare l’offerta. Né sarei così sicuro che una riforma di questo tipo sia auspicabile, in un Paese strano come il nostro. Basterà ricordare la (triste) sorte del risarcimento diretto (art. 149 cod. ass.).
Concepito come strumento di stroncatura degli small claims, gli remarono tutti contro: gli assicuratori, i quali si guardarono bene dall’attuare quel rivoluzionario obbligo imposto loro dall’art. 9, primo comma, d.p.r. 254/06, e cioè fornire al proprio assicurato “ogni assistenza informativa e tecnica utile per consentire (…) la piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno” (in pratica, l’assistenza legale); la parte più cinica ed interessata del ceto forense, che temette (a torto) di perdere le prebende da mezzo secolo garantite loro dal “colpo di frusta”; e non da ultima la Corte costituzionale, che nel ritenere facoltativa e non obbligatoria la procedura di risarcimento diretto ne sancì, con scelta clamorosamente miope, il definitivo insuccesso.
7. Law and Army: una metafora a mo’ di conclusione
Dicembre 1940, Egitto, Sidi El Barrani. Cinque divisioni italiane (sessantamila uomini e 300 pezzi d’artiglieria) fronteggiano tre divisioni inglesi (31.000 uomini con soli 120 pezzi d’artiglieria). Gli inglesi ci prendono di sorpresa (operazione Compass), seminano il panico, in tre settimane conquistano Tobruk, Bengasi e la Cirenaica, annientano l’intera X Armata. Il generale inglese Robert Anthony Eden il 6 gennaio 1941 scrive a Winston Churchill: “never has so much been surrender by so many to so few”6. Molte furono le cause di quella disfatta, ma gli storici di cose militari ne indicano una in particolare. Ufficiali e sottufficiali italiani, senza ordini dei superiori, erano persi. Loro volevano il fonogramma, la circolare, l’ordine di servizio. Sicché, spezzata la catena di comando, le singole unità divenivano masse inerti7.
I loro colleghi britannici e, ancor più, tedeschi, erano addestrati a prendere iniziative. La capacità di supplenza era una parte essenziale della loro formazione. Caduto il colonnello, un capitano sapeva benissimo prendere il comando d’un battaglione, così come un sergente quello d’una compagnia. La mancanza di direttive non era, per loro, paralizzante, perché ciascun ufficiale conosceva i fondamenti dell’arte della guerra.
Quanto assomiglia quella tragica vicenda di ottant’anni fa, alla mentalità di tanti burocrati del diritto. Ad ogni stormir di fronte si invoca “la norma”: la legge, il regolamento, la circolare, e poi ancora la nota esplicativa alla circolare, e da ultimo la “lettera al mercato”, la risposta alle “FAQ”. Si esige una norma per stabilire come si fa la denuncia di sinistro; si vuole una norma per stabilire cosa scrivere dentro il certificato di assicurazione; si domanda una norma per stabilire che il certificato prova il contratto.
Il giurista medio (sempre più coincidente col giurista mediocre), ivi compreso il legislatoregiurista, senza una norma ad hoc che stabilisca le più minute ed inutili sottigliezze, si sente perduto, come i sottufficiali senza ordini a Sidi El Barrani. Dimentica che non ci vuole una norma per stabilire come si fa la denuncia di sinistro, perché ci sono già gli artt. 1321 e 1322 c.c.; dimentica che non ci vuole una norma per stabilire il contenuto del certificato, perché c’è già l’art. 1888 c.c.; dimentica che non c’è bisogno di (ri)scrivere dentro un Regolamento amministrativo una norma già presente nella legge. Invece questa bulimia normativa cresce, cresce, cresce a dismisura; centuplica le fonti; fagocita ogni capacità razionale di tenere a bada questa marea montante di carte; soprattutto – quel che è più grave – trasforma l’ordinamento giuridico in una selva oscura ed i giuristi in burocrati, annienta le capacità di riflessione e la logica deduttiva; sterilizza la conoscenza dell’ermeneutica.
I giochi, in un futuro prossimo o remoto, saranno chiusi dall’intelligenza artificiale: un ordinamento fatto di metanorme che si autoproduce, all’infuori ed all’insaputa dell’intervento umano. Beninteso, non intendo certo sostenere ora che il povero Regolamento IVASS 56/2025 sia il padre di tutti i mali. Esso è solo una metafora, un’icona, un cammeo, d’una sciagurata epoca in cui l’ordinamento è divenuto un patchwork di testi senza contesto, e nessuno sembra disposto ad accollarsi la responsabilità (ecco il punto: la responsabilità) di cimentarsi a ricavare dai princìpi generali le norme di dettaglio. Ma buone norme in mano a cattivi interpreti producono ben maggior guasti dell’eventualità contraria. Per avere buone leggi, dunque, occorrerebbe innanzitutto avere buoni giuristi. L’ordinamento è fatto di giuristi, non di norme. Lo sapevano i Romani, che prima di inventare il diritto hanno inventato il giurista: constare non potest ius, nisi sit aliquis iuris peritus per quem possit cottidie in melius produci8.
Marco Rossetti
Consigliere della Corte di Cassazione
Terza Sezione Civile
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1 Si ricordi che lo Spazio Economico Europeo è un accordo internazionale tra l’Unione Europea e l’Islanda, la Norvegia ed il Liechtenstein.
2 Per la cronaca, in Italia sono attive diverse compagnie assicuratrici aventi sede in Svizzera: tra queste Helvetia, Nationale Suisse e Swiss RE.
3 Così già Cass., sez. I, 02-02-1993, n. 1256, in Foro it., 1993, I, 2201.
4 Cfr. Cass., sez. III, 08-05-2006, n. 10504, in Foro it. Rep. 2006, voce Assicurazione (contratto), n. 207: “il certificato di assicurazione attesta verso i terzi l’esistenza della garanzia assicurativa e da
questa attestazione nasce l’obbligazione risarcitoria, valevole limitatamente ai rapporti tra terzo danneggiato ed assicuratore che sia stato direttamente convenuto in giudizio”. Dello stesso avviso, in dottrina, ZARDO, Certificato e contrassegno nell’assicurazione r.c. veicoli e natanti, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1998, 21.
5 Sia consentito, sul punto, il rinvio a M. Rossetti, Il danno alla salute, IV ed., Milano 2025, pp. 1358-1359.
6 “Mai così tanto è stato ceduto da così tanti a così pochi” (Montanari, Le operazioni in Africa settentrionale, vol. I, Roma 2000, 423).
7 Per le cause storiche del fenomeno v. ex aliis, Rochat, Le guerre italiane 1935-1943 – Dall’impero d’Etiopia alla disfatta, Torino 2005, pp. 177 e ss.; Riccio e Afiero, Luck was lacking, but valor was not – The Italian Army in North Africa 1940-43, Warwick 2021, pp. 27 e ss.
8 Sesto Pomponio, in Dig., I, 2, 2, 13. Su questo testo si veda il bel commento di Orestano, Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna 1987, 54 e 143.
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