GIURISPRUDENZA

Autore: Bianca Pascotto
ASSINEWS 375 – Giugno 2025

In assenza di prove “rassicuranti” il sinistro causato dal veicolo pirata non verrà risarcito

Il trend degli incidenti stradali provocati da veicoli privi di copertura assicurativa e da veicoli il cui conducente si dà alla fuga aumentano, e parallelamente aumenta il carico dei sinistri e dei risarcimenti che il fondo di garanzia deve gestire e pagare ai danneggiati attraverso la longa manus delle imprese designate.

Se la presenza del FGVS ci conforta, sapendo che negli sfortunati casi sopra indicati possiamo attingere ad un sistema normato da anni in Italia e recentemente implementato dalla normativa unionale, è bene non illuderci che tutta la procedura risarcitoria vada a buon fine.

Nel caso di sinistro provocato da veicolo non identificato, il danneggiato – come sempre – deve fornire la prova del danno sofferto e nulla gli verrà risparmiato in tal senso, dovendo egli dimostrare il fatto storico (il sinistro) la dinamica, l’impossibilità di identificazione del veicolo investitore e la sua esclusiva o parziale responsabilità.

Non è un compito facile e a volte è del tutto impossibile se non si dispone di un testimone oculare o di un sistema di videoregistrazione installato sulla pubblica via o sul veicolo. La severità richiesta nel fornire la dimostrazione del citato sinistro è giustificata dalla comprensibile facilità con la quale si può “aggirare” il sistema e pretendere il pagamento di danni che esulano dalla fattispecie prevista dall’art. 283 lett. a) del codice delle assicurazioni private e i liquidatori delle imprese assicurative ne sanno qualcosa, vista l’italica attitudine a gabbare il prossimo. La giurisprudenza negli anni ha aumentato il rigore con il quale si valuta l’onere probatorio a carico del danneggiato e la recente ordinanza della Corte di Cassazione1 è la conferma del consolidato orientamento.  

Il caso

Un bimbo, in sella alla propria bicicletta nei pressi di casa, viene attinto da un veicolo posto si in fase di soprasso sulla medesima corsia. Il veicolo investitore non si arresta e fugge, senza possibilità per i presenti di rilevare il numero di targa. Il bimbo riceve le cure dal Pronto Soccorso e consegue la guarigione clinica dopo circa 4 mesi dall’evento. I genitori presentano querela contro ignoti a distanza di 2 mesi e 12 giorni dall’evento, querela che viene archiviata. La compagnia designata dal FGVS respinge il danno e viene promossa causa avanti al Giudice di Pace di Napoli. Escusso l’unico testimone e acquisita la relazione medico legale disposta dall’impresa assicuratrice, il giudice di pace respinge la domanda attorea per mancata prova del sinistro e deferisce la teste in Procura per falsa testimonianza. Appellata la sentenza, la richiesta attorea non trova miglior sorte, nonostante l’intervenuta sentenza di assoluzione con formula piena della testimone. Ne segue il ricorso per la cassazione della decisione del tribunale partenopeo.  

La soluzione della Corte

Due sono i motivi di doglianza. Il ricorrente si rammarica che il giudice d’Appello non abbia considerato la pretesa risarcitoria corroborata dalla necessaria prova sulla verifica del sinistro, richiedendo al danneggiato di “provare in modo certo e rassicurante” l’evento di danno e precisando, altresì, che in caso di sinistro causato da veicolo sconosciuto, si esiga “una prova particolarmente rigorosa”.

Il tribunale di Napoli avrebbe fatto mal governo del principio della massima tutela approntata a favore del danneggiato dalla normativa italiana e dalla normativa comunitaria, interpretando dette norme in maniera restrittiva anziché nella modalità più favorevole al soggetto debole. Del tutto erronea, poi, è stata la valutazione del tessuto probatorio dedotto in giudizio perché il tribunale (i) non ha tenuto in alcuna considerazione la testimonianza offerta, nonostante la teste sia stata completamente “riabilitata” con assoluzione piena, (ii) non ha apprezzato la documentazione dimessa in causa, quale il referto di pronto soccorso e la querela contro ignoti, (iii) e, ab contrariis, ha elevato ad elemento probatorio fondamentale per la decisione, il documento depositato tardivamente dalla compagnia, denominato “scheda Ivass”, (la quale con ogni probabilità conteneva l’informativa in merito all’inattendibilità della testimone ndr).

La “scheda Ivass” oltre ad esser stata depositata oltre i rituali termini processuali e priva di elementi che ne confortassero la sua provenienza, dimostra come la compagnia non si sia comportata nel rispetto della correttezza e buona fede; quest’ultima, infatti, fin dall’apertura del sinistro era stata resa edotta del nominativo del teste e quindi già allora ben poteva assumere dall’Ivass le necessarie e dovute informazioni sull’attendibilità del teste.

La “scheda Ivass”, (secondo motivo di ricorso) è stata oggetto di tempestive e puntuali contestazioni mosse dal danneggiato, ma il tribunale non ha speso alcuna motivazione, escludendole dal valutarle, incorrendo così nel vizio di omessa motivazione. Purtroppo per il ricorrente i motivi non superano il vaglio di ammissibilità e dunque non vengono valutati nel merito. Per il Supremo Collegio il giudice d’Appello ha correttamente aderito al costante orientamento giurisprudenziale in merito alla tipologia di prova che deve essere offerta dal danneggiato, in caso di sinistro provocato da veicolo non identificato.

La fattispecie, pur nella sua peculiarità, non deroga, né può derogare ai principi probatori richiesti dalle norme di diritto. Al danneggiato incombe l’onere di dimostrare il fatto che ha generato il danno e, nel caso concreto, questo onere, suo mal grado, deve comprendere non solo la prova dell’evento storico – ovvero che in quel giorno, in quel luogo e con determinate modalità compatibili con i danni arrecati è stato provocato un incidente stradale – ma, altresì, la circostanza che il veicolo responsabile del sinistro non si sia potuto identificare.

Non possono soccorre in aiuto al danneggiato presunzioni per dimostrare la responsabilità del veicolo sconosciuto, ma è necessario che venga fornita una prova certa, credibile, rigorosa, definita addirittura “rassicurante”, proprio per la peculiarità connessa a detta tipologia di sinistro. Tutte queste circostanze non sono state ritenute dimostrate dal giudice di secondo grado e nel giudizio di Cassazione alla Corte è preclusa la rivalutazione del merito.  

Brevi considerazioni

L’onere di dover dimostrare il danno subito per colpa altrui e il conseguente diritto al risarcimento è un principio indefettibile (art. 2697 c.c.) e per certo il sinistro provocato da veicolo non identificato non fa eccezione. Quello che un po’ sorprende è che per detta fattispecie si richieda che la prova sia “rigorosa”, ovvero una prova che possieda un quid in più rispetto a quella prevista ad ogni altra fattispecie di sinistro, circostanza che non pare trovi conforto nelle disposizioni del codice civile.

La prova di un fatto è una ed una sola, non può essere più rigorosa o meno rigorosa, considerato che il fatto va provato nella sua interezza, quale elemento oggettivo dal quale far discendere determinati effetti giuridici. La prova di un fatto, ove non diversamente richiesto dalla legge, può esser raggiunta con vari strumenti probatori e anche mediante le presunzioni legali o semplici; il giudice è vincolato al rispetto delle norme che attribuiscono al mezzo di prova utilizzato il valore di prova piena o semi piena.

Il concetto di “rigore” non è previsto, anche se ben si comprende cosa la giurisprudenza voglia intendere per casi di siffatta specie, ma tra una testimonianza che ha passato il vaglio dell’attendibilità, un referto medico, la compatibilità dei danni da un lato e la sola l’informativa dell’Ivass (è pur vero che non si conosce il contenuto di detto documento) dall’altro, la valutazione delle prove non sarebbe dovuto essere a favore della seconda.

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1 Corte di Cassazione ordinanza del 15 aprile 2025 n. 9845

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