Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

 

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Aoggi non ci sono date fissate per il prossimo incontro necessario a discutere del piano di salvataggio di Eurovita. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, la palla ora è in mano alle banche distributrici delle polizze della compagnia che dovranno definire nel dettaglio le modalità del loro intervento a copertura di eventuali riscatti anticipati dei clienti. La novità è che a intervenire dovranno essere non solo i principali istituti citati in questi mesi, ma una rosa ben più ampia di una quindicina di distributori. Solo una volta messo a punto il loro piano di intervento, le cinque compagnie di assicurazioni chiamate in campo da Ivass e dal ministero dell’Economia potranno a cascata definire le loro condizioni.
L’aumento delle catastrofi naturali in giro nel mondo sta provocando fenomeni curiosi nel settore assicurativo. Nei giorni scorsi a muoversi è stato addirittura Warren Buffett. Il re Mida degli investimenti, in tempi stretti, ha deciso di aumentare l’esposizione di Berkshire Hathaway, la sua controllata assicurativa, agli uragani in California portandola da 2 a 15 miliardi di dollari. Perché il cambiamento climatico, con l’aumento di tempeste e alluvioni in tutto il mondo, sta creando anche occasioni di business nel mercato, oltre che inevitabili perdite. In Florida, dopo i danni record provocati alla fine dello scorso anno dall’uragano Ian i premi assicurativi sono letteralmente lievitati, tanto da spingere Buffett all’azione ampliando la sua esposizione. Perché il mercato legato alle catastrofi naturali, come altri, è fatto di cicli e dopo grandi perdite le compagnie ( e i riassicuratori come anche nel caso della Berkshire Hathaway) alzano i premi per riequilibrare i loro bilanci. Un fenomeno simile sta succedendo nel mercato dei cat bond, le obbligazioni emesse dalle compagnie assicurative legate alle perdite provocate dai danni delle catastrofi naturali.
La Commissione Ue ha deciso di non varare un divieto totale sugli inducement, ovvero sulle commissioni che vengono retrocesse dai produttori di uno strumento finanziario (per esempio i fondi) ai distributori che fanno anche la consulenza (come le banche). La volontà della commissaria Ue per i Servizi finanziari Mairead McGuinness di introdurre lo stop è stata criticata dai maggiori Stati Ue (in primis dalla Germania) e da banche, assicurazioni e fondi. Così la Commissione è stata obbligata a fare un passo indietro nell’ambito della cosiddetta Retail Investment Strategy, che dovrà essere discussa ora da Parlamento e Consiglio Ue. All’inizio partirà uno stop alle commissioni soltanto per le attività execution-only nelle quali non c’è alcun tipo di consulenza. In Italia questo già in gran parte avviene quindi non si attendono conseguenze rilevanti, mentre l’impatto sarà maggiore in Germania e Francia. Inoltre sarà rafforzato il principio del best interest del cliente contenuto nella Mifid. Infine sarà aumentata la trasparenza sul pagamento degli inducement. In seguito partirà una seconda fase nella quale sarà valutato l’impatto sul mercato. Dopo tre anni dall’entrata in vigore della direttiva la Commissione scriverà un rapporto al Consiglio e al Parlamento Ue. Se le misure adottate non saranno state sufficienti a migliorare il quadro per i clienti, la Commissione considererà proposte alternative tra cui un divieto. Bruxelles ha previsto anche misure per gli influencer della finanza, i cosiddetti finfluencers, per i quali resteranno responsabili le società di investimento.
In un contesto di crisi multifattoriali che ha messo a nudo le nostre dipendenze e vulnerabilità strategiche, l’economia globale si trova di fronte a un nuovo corso. Energia russa, farmaci cinesi, microchip taiwanesi… la globalizzazione ci aveva resi dipendenti. Ne è una delle cause l’estrema concentrazione dei siti produttivi di settori e know-how strategici di tutto il mondo. Il 75% dei principi attivi farmaceutici venduti in Europa e l’80% di quelli commercializzati negli Stati Uniti provengono oggi da Cina e India, contro il 20% di 30 anni fa. L’80% dei semiconduttori e il 90% dei componenti dei pannelli fotovoltaici sono prodotti in Asia
Con il nuovo piano industriale Mediobanca ha scelto di muoversi in continuità rispetto al passato, ma con alcune battute di accelerazione e con un occhio di riguardo per la remunerazione degli azionisti. Il piano pone particolare enfasi sul business assicurativo, rappresentato da quel 13,01% di Generali per cui è stato reso stabile il beneficio patrimoniale derivante dal Danish Compromise. «Tutte le grandi banche europee oggi hanno un business assicurativo che consente di evitare una correlazione tra i ricavi e il ciclo economico», ha spiegato Nagel ricordando che «anche il regolatore ha compreso l’importanza di questa strategia». Come in passato, il banchiere non ha comunque escluso una discesa nel capitale delle Generali, nel caso in cui si presentassero opzioni di m&a. «Se trovassimo opportunità migliori e più solide industrialmente non avremmo esitazioni a farlo – ha spiegato Nagel – ma non toccheremo l’esposizione senza investirla in modo più redditizio e solido». A questo proposito negli ultimi anni si è più volte affacciata l’ipotesi di uno scambio azionario con la compagnia triestina per aggiudicarsi la controllata Banca Generali. Ipotesi che però non è si è finora mai concretizzata.

Sace spa concederà alle imprese colpite dall’alluvione una moratoria fino a 12 mesi sui finanziamenti assistiti da Garanzia Italia e Garanzia SupportItalia. L’anticipo del credito Iva senza vincolo d’importo minimo per i prossimi 6 mesi sarà invece concesso da Sace Fct, la società del gruppo controllato dal ministero dell’economia e finanze che opera nel ramo factoring. Verranno, inoltre, concesse proroghe dei termini delle coperture assicurative e del pagamento dei premi di polizza. Per quanto riguarda il ramo cauzioni verranno sospese le azioni di recupero dei premi arretrati e le azioni di rivalsa su sinistri liquidati. Sono queste alcune delle principali misure approvate dal gruppo Sace, guidato dall’ad Alessandra Ricci, per supportare fino al 31 dicembre 2023 le imprese dell’Emilia-Romagna e delle Marche colpite dalla recente alluvione.

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Una frana quando comincia a muoversi può continuare a farlo per anni. Può cambiare la morfologia di versanti interi, aprire fratture, riattivare vecchi movimenti a riposo da decenni o innescarne di nuovi mai rilevati dall’ufficio cartografico. In pochi minuti può sbriciolare pezzi di strade, case, può «promettere» di scendere a valle e rimanere lì, minacciosa come una pistola puntata. Sui colli bolognesi, nei territori collinari e montani delle province di Modena, Reggio Emilia, Rimini, Forlì-Cesena e Ravenna: il numero delle frane è impressionante. Ammesso che si possa fare una classifica degli interventi al limite del possibile, quella delle frane è oggi una situazione molto più complicata di quella che i soccorritori stanno fronteggiando a valle con campi e paesi tuttora invasi dall’acqua dopo la rottura degli argini e le esondazioni di fiumi e canali. Fino a ieri pomeriggio la Protezione civile ne ha censite — cioè le ha verificate e le sta monitorando con i suoi tecnici e con i droni — 376 «molto significative».

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Mediobanca fa leva su marchio e cultura aziendale per proiettarsi nel 2026. “One brand, one culture”, questo il nome del nuovo piano strategico, focalizza l’istituto sulle gestioni patrimoniali, che nel triennio saliranno da 85 a 115 miliardi di masse, e rilancia la remunerazione degli azionisti, con 3,7 miliardi di euro tra dividendi e buyback, il 70% più che nel piano precedente. Sul 13% dell’assicuratore triestino le novità sono poche: la quota «continuerà a fornire il suo contributo di ricavi e di utili », stimati crescere del 6% medio annuo fino a quota 500 milioni nel 2026. «Tutti i grandi gruppi finanziari europei oggi hanno una forte componente assicurativa, finalmente si è capito, e anche il legislatore ci è arrivato, che bilanciano i rischi e l’assorbimento di capitale – ha detto a riguardo Nagel –. Oggi, razionalmente, dopo il rialzo dei tassi ci sono più ragioni per tenere la partecipazione in Generali che per non tenerla. Poi restiamo aperti a tutte le opzioni, e possiamo cambiare idea se emergono alternative migliori, ma che siano su fatti, non su fantasie». La banca comunque tiene aperta la possibilità, come fa del resto da anni senza che nulla cambi, di vendere o scambiare il pacchetto nel Leone, valutato in Borsa 3,7 miliardi, per «fare grosse operazioni»: anche se l’ad ha aggiunto che «al momento non sono sul tavolo»