L’aumento dei prezzi costringe aziende e famiglie a intaccare le riserve: in meno di 100 giorni, da dicembre 2022 a marzo scorso, il totale dei depositi bancari è sceso del 2,4%, da 2.065 a 2.015 miliardi.

Le aziende e le famiglie hanno iniziato a intaccare i risparmi per far fronte all’aumento dei prezzi: le “riserve” degli italiani sono diminuite, in appena tre mesi, di oltre 50 miliardi di euro. La discesa è del 2,4% in meno di 100 giorni, dai 2.065 miliardi di dicembre 2022 ai 2.015 miliardi di marzo scorso.

Dai conti correnti sono “spariti” quasi 90 miliardi, ma una parte di questi, circa 40 miliardi, è stata “spostata” su depositi e pronti contro termine, cioè forme di accumulo per le quali viene riconosciuta, dalle banche, una remunerazione: una forma di riparo dagli effetti negativi dell’inflazione, che si trasforma in una tassa occulta sulla liquidità ferma a interessi zero.

È quanto emerge da un rapporto del Centro studi di Unimpresa secondo il quale la riduzione del saldo dei salvadanai è ancora più vistosa se si prende in considerazione l’intervallo di tempo che va da dicembre 2021 sempre fino a marzo 2023: meno 60 miliardi. A soffrire l’incremento del costo della vita e dei prezzi delle materie prime sono tanto le imprese quanto i cittadini: se le prime hanno prelevato dai loro conti correnti 32 miliardi nel trimestre scorso, i secondi hanno attinto ai loro depositi bancari per 25 miliardi. Il saldo è negativo per quasi tutte le categorie di clientela delle banche, con l’eccezione dei fondi d’investimento, la cui liquidità è cresciuta di 11 miliardi, delle onlus (più 56 milioni) e degli enti di previdenza (più 416 milioni).