Anna Messia
È passata appena una settimana dall’assemblea di Generali del 29 aprile che ha decretato la vittoria di Mediobanca e della lista del board che Francesco Gaetano Caltagirone ha già messo nuove pesanti carte sul tavolo della contesa. Questa volta l’assedio non è indirizzato alla compagnia triestina, dove l’imprenditore, principale azionista privato con il 9,95%, ha dovuto accettare a malincuore la preferenza del mercato (specie i grandi investitori internazionali) per un terzo mandato al ceo Philippe Donnet. Lo scontro, com’era prevedibile, si è spostato direttamente ai piani alti coinvolgendo Piazzetta Cuccia (che di Generali detiene il 12,79%) e smentendo con i fatti le parole dello stesso Caltagirone che aveva continuato a ripetere come un mantra che «Mediobanca non è la nostra partita». Un riferimento implicito al fatto che a muovere in prima linea sulla banca era invece Leonardo Del Vecchio, salito già al 19,4% dell’istituto, e dello stesso lato della barricata di Caltagirone nella partita Generali con il 9,82% di azioni del Leone. Ma il patron de Il Messaggero non è rimasto a guardare neppure su Piazzetta Cuccia. Proprio due giorni prima dell’assemblea di Generali, il 25 aprile, secondo quanto emerso dalle comunicazioni Consob, ha stretto a sua volta la morsa su Mediobanca incrementando la partecipazione dal 3,043% al 5,499%. E se è indubbio che le azioni della banca siano un buon acquisto, che offre ottimi dividendi come spiegato da fonti vicine al costruttore motivando l’investimento «come normale diversificazione», è altrettanto evidente che il mercato interpreta la sua mossa come la prova di un’azione a tenaglia, con il patron di Luxottica, per stringere la presa su Mediobanca, tentare di condizionarne poi le decisioni e cercare di disarcionare infine l’attuale management dell’istituto che li ha sfidati nei mesi scorsi nella battaglia di Trieste. Insieme i due grandi vecchi del capitalismo italiano hanno già poco meno del 25% del capitale di Mediobanca, a un soffio dalla soglia opa e, volendo, Caltagirone potrebbe crescere ancora a ridosso del 10% senza aver bisogno di chiedere alcuna autorizzazione. Lo farà? Di certo non è la liquidità necessaria a mancargli considerando che nel frattempo è salito anche al 3% di Anima sgr. Ma c’è pure chi ricorda che il presidente di Essilux avrebbe in predicato di superare la soglia del 20%. Al momento si tratterebbe solo di ipotesi allo studio, ma c’è chi ritiene che una decisione in tal senso (le consultazioni informali con la Vigilanza sono già partite) potrebbe maturare in vista dell’assemblea della merchant bank il prossimo 28 ottobre. Scenario che aumenterebbe la presa degli ex pattisti del Leone sul maggiore azionista delle Generali e sul suo amministratore delegato Alberto Nagel. C’è di più: il fronte critico si rafforzerebbe ulteriormente se a queste quote si aggiungesse anche il 2,1% dei Benetton che, sempre a Trieste, hanno votato per la discontinuità nella governance, schierandosi sulla sponda opposta a Mediobanca. All’ordine del giorno dell’assemblea di ottobre non ci dovrebbero essere temi particolarmente caldi, visto che l’attuale consiglio e il mandato di Nagel scadranno solo ad autunno del 2023. Ma l’appuntamento resta sensibile, così come la data di fine settembre, entro la quale i pattisti di Piazzetta Cuccia possono comunicare le disdette dall’accordo di consultazione (oggi fermo al 10,7%). Tra l’altro c’è chi sottolinea come neppure la partita Generali sia ancora del tutto chiusa. L’imprenditore capitolino continua infatti a muoversi in pressing sulla Consob chiedendo all’authority di pronunciarsi sul prestito titoli del 4,41% che Mediobanca ha fatto pesare in assise delle Generali, portandosi al 17,2%. Le armi di Caltagirone sembrano però spuntate alla luce del fatto che la differenza di voti a Trieste a favore di Donnet è stata di quelle senza appello: di oltre il 10%. Ben superiore quindi al pacchetto del prestito titoli della merchant anche aggiungendo eventualmente le azioni De Agostini (1,44%) che erano già state vendute dal gruppo di Novara ma che sono rimaste valide per il voto del 29 a favore dello status quo desiderato da Mediobanca. E in ogni caso Consob, senza una norma primaria che regoli in Italia lo strumento del prestito titoli, difficilmente riuscirà a pronunciarsi sulla delicata materia. L’autorità di controllo continua però a tenere sotto osservazione la questione con una riunione in programma martedì 10. Va poi considerato che il prestito di Piazzetta Cuccia arriverà a scadenza a fine maggio. Ma in ballo c’è anche un’opzione su circa il 3% di azioni Generali in mano a Caltagirone, con la controparte che potrebbe esercitarla e comprare i titoli il prossimo 17 giugno nel caso in cui le azioni valessero meno dello strike-price pari a 18,5 euro. E in questi giorni il titolo, a causa del crollo dei mercati, viaggia sotto i 18 euro. Insomma, come molti osservatori si attendevano, le spade non sono state riposte e anche se le ostilità, sotto gli occhi vigili dell’authority presieduta da Paolo Savona, stanno per spostarsi stabilmente a monte della catena societaria Mediobanca-Generali, pure Nagel ha le proprie carte difensive da giocare. Come? Incrementando la percentuale del capitale costituito dai soci storici a sostegno del management fra il 16 e il 18%. Secondo alcune fonti, infatti, entro fine anno potrebbero esserci ulteriori arrotondamenti fino al 2% nel patto light, senza considerare che fuori accordo parasociale c’è un 5% di capitale storicamente vicino agli azionisti stabili e che potrebbe accorrere alla bisogna in appoggio esterno a Nagel. Senza considerare anche i decisivi investitori istituzionali che in Piazzetta Cuccia sono più numerosi del 35% presente a Trieste. La dura legge del mercato di cui tener conto. Il Leone insegna. (riproduzione riservata)
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