di Gabriele Capolino
Qualcuno ha azzardato un paragone calcistico alla decisione di Francesco Gaetano Caltagirone di dimettersi dal cda delle Generali 28 soli giorni dopo essere stato eletto. Un’analogia con l’abitudine dei calciatori che perdono una finale importante e nella premiazione ricevono al collo la medaglia del secondo classificato, per poi togliersela pochi secondi dopo. La notizia del passo indietro aggiunge un altro tassello al clima pesante in cui si sono svolti finora i lavori del nuovo board. I tre consiglieri di minoranza, appunto Caltagirone, Flavio Cattaneo e Marina Brogi, non hanno infatti votato a favore dell’attribuzione delle deleghe all’a.d. Philippe Donnet, rifiutando anche una prima apertura a una vicepresidenza alla professoressa Brogi. La spaccatura, che molti considerano la reale motivazione delle dimissioni di Caltagirone, è legata al nuovo assetto di governance emerso nel corso della riunione del 12 maggio, che non prevedeva quel comitato per le operazioni strategiche fortemente invocato da Caltagirone. Operazioni che invece sarebbero state direttamente discusse e approvate nel plenum del cda.

Questa decisione ha provocato il rifiuto dei consiglieri di minoranza a entrare nei comitati interni previsti, ribadendo la necessità di creare un comitato endoconsiliare per esaminare preliminarmente eventuali operazioni a valore strategico. A quel punto, il cda ha incaricato il comitato per le Nomine e la Corporate Governance «di predisporre una proposta in merito, alla luce del benchmark di mercato». Tale organo è formato dal presidente Andrea Sironi e dai consiglieri Clara Furse, Diva Moriani e Luisa Torchia. Secondo un’anticipazione di MF-Milano Finanza del 25 maggio, si starebbe guardando al modello francese e in particolare di Axa, in cui esiste un comitato per istruire le operazioni di M&A ma al contempo è data un’ampia delega in autonomia all’a.d. per operazioni fino a un certa soglia. Tentativo di mediazione evidentemente non apprezzato da Caltagirone. È venuto quindi meno il tentativo di mediazione annunciato subito alla sua nomina dal presidente Sironi: l’unico squarcio di sole in un clima da inverno scandinavo è stata l’approvazione unanime della trimestrale. Lunedì 30 è prevista la convocazione del comitato nomine di Generali, appunto in esecuzione del mandato. Si vedrà. Ma il mercato, scettico per definizione, ha interpretato in un altro modo le dimissioni di Caltagirone, ovvero come prodromo di una cessione delle sua quota. E ipotizzando l’arrivo di molte azioni in vendita, lo stesso giorno il titolo ha chiuso a -2%. Dal quartier generale di Caltagirone è stato reso noto informalmente che la quota resta strategica e non ci sono ipotesi di dismissione. Un elemento in più per comprendere l’accaduto è contenuto in un documento del 28 marzo scorso, un prospetto informativo di sollecitazione di deleghe di voto presentato dalla VM2006, una srl del gruppo Caltagirone, in vista dell’assemblea Generali. La società dichiarava di avere il 2,562% del capitale ma a pagina 10 del prospetto, il promotore dichiarava di avere in proprio e tramite altre società del gruppo «contratti derivati che conferiscono allo stesso il diritto o la discrezionalità di vendere azioni ordinarie dell’Emittente (le Generali), tramite consegna fisica». Questi derivati riguardano 39,5 milioni di azioni Generali, circa il 2,5% del capitale. In pratica, gli operatori dell’ex consigliere hanno montato attraverso delle opzioni dei cosiddetti short sintetici, con scadenza 17 giugno 2022. È possibile che essi si limitino al 2,5%, ma sul mercato il numero di contratti aperti su scadenza giugno (cosiddetti open interest) risulta essere maggiore: circa altri 10 milioni di titoli. Non è dato sapere però quale sia la paternità di questi strumenti. Che cos’è uno short sintetico? Si realizza quando viene venduta una call (opzione d’acquisto di un titolo) esercitabile a un prezzo (cosiddetto strike) di N euro e si acquista contemporaneamente una put (diritto di vendere lo stesso titolo) con lo stesso prezzo strike N della call. Alla scadenza delle opzioni (o anche prima, se le opzioni sono del tipo americano) si andranno a vendere titoli al prezzo strike prescelto. Se il titolo dovesse essere più alto rispetto allo strike, si verrà esercitati sulla call corta e si andranno a vendere titoli al prezzo strike N. Se il titolo dovesse essere più basso, si eserciterà la put lunga e si venderanno titoli al prezzo strike N. In pratica, possedendo titoli e montando uno short sintetico, si decide già il prezzo e la data di uscita dalla posizione, rimanendo assolutamente neutrali dal punto di vista delle fluttuazioni del prezzo dell’azione sottostante. Ora, un’operazione del genere con scadenza a metà di giugno è giuridicamente diversa ma filosoficamente affine a quella decisa di Mediobanca per aumentare il peso in Generali, ovvero il ricorso a un prestito titoli sul mercato con annesso diritto di voto, con scadenza del prestito poco dopo la data d’assemblea. Questo prestito titoli è stato duramente contestato eticamente e giuridicamente da Caltagirone, con tanto di ricorso all’autorità di controllo, ma senza esito. Verosimilmente per fine giugno anche parte della posizione azionaria di Caltagirone dovrà essere smontata, a meno che, come si dice in gergo, non venga «rollata», posticipando le date di scadenza. Possibile ma tecnicamente, secondo gli esperti di mercato, abbastanza complicato. Secondo le regole che normano le transazioni condotte da chi ha un ruolo ufficiale nelle società quotate – inclusi quindi i consiglieri – l’acquisto o la vendita anche di una sola azione deve essere comunicato al mercato. Viceversa, da semplici soci, si può non comunicare alcunché al mercato fino a quando non si superano o si scende al di sotto di soglie previste da Consob. Il consigliere Caltagirone, nel caso di smontaggio dei contratti derivati, avrebbe dovuto comunicare a tutti la diminuzione della quota, mentre da semplice socio potrà non dir nulla fino a quando non scenderà sotto al 5% di Generali, dal suo attuale 9,95%. (riproduzione riservata)
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