PER POTER INCREMENTARE LA QUOTA LA HOLDING DOVREBBE DIVENTARE GRUPPO BANCARIO
di Manuel Follis
Colpo di scena nella partita che si sta svolgendo all’interno dell’azionariato di Mediobanca. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza la Bce avrebbe infatti anticipato alla Delfin di Leonardo Del Vecchio che alle condizioni attuali la quota posseduta (19,4%) non potrà superare il 19,9%, soffocando così sul nascere le intenzioni della holding che puntava a spingersi a ridosso della soglia d’opa. Le citate «condizioni attuali» peraltro sono ben difficilmente modificabili. Secondo quanto risulta (e come qualche esperto legale aveva predetto) la Banca Centrale avrebbe posto come condizione per salire nell’azionariato la trasformazione di Delfin in capogruppo bancaria. Un cambiamento di pelle che comporterebbe una rivoluzione impensabile e a cascata genererebbe problemi con la partecipazione in Essilux. Insomma, la quota in Mediobanca di Del Vecchio sembra destinata a rimanere al massimo al 19,9%, il che cambia completamente le condizioni attorno a Piazzetta Cuccia e anzi potrebbe aprire a nuovi scenari. È evidente che il numero uno di Delfin non abbia acquistato il 20% della merchant perché soddisfatto della sua gestione, così come è evidente che non abbia il problema della cessione della quota. Resta la domanda su cosa potrebbe accadere ora, visto che fino a qualche settimana fa tutti i possibili scenari partivano proprio dalle azioni di Del Vecchio. Il principio riportato nell’informativa della Bce peraltro sarebbe estendibile anche ad altri soggetti industriali, come Francesco Gaetano Caltagirone. In tutto questo, come scritto proprio da MF-Milano Finanza, si collocano anche le scelte della famiglia Benetton (che detiene il 2,1% di Piazzetta Cuccia), che sarebbe favorevole a ridefinire gli equilibri in Mediobanca per sostenere lo sviluppo di Generali. Come dire che non c’è la volontà di schierarsi contro l’amministratore delegato Alberto Nagel, ma nemmeno quella di mantenere l’attuale status quo. La domanda resta una: i rapporti tra azionisti sull’asse Milano-Trieste sono tali da permettere alla compagnia assicurativa di esprimere il massimo del suo potenziale? Nessuno potrebbe rispondere affermativamente. E quindi è evidente che sul lungo termine qualcosa andrà cambiato. Seguendo il filo di questo discorso si torna a Del Vecchio e alle future mosse su Mediobanca con una partecipazione «sterilizzata». Può accadere di tutto, compresa ad esempio la ricerca da parte del patron di Delfin di alleanze dentro e fuori Piazzetta Cuccia che sblocchino la partita e ne cambino le sorti. Occhi puntati sull’assemblea del 28 ottobre? Sì, ma quella del 2023, non quella che si terrà tra cinque mesi. La prossima assise dei soci potrebbe rappresentare un primo test attendibile per verificare gli equilibri interni. È possibile che in quella data possa avvenire un tentativo di cambiare alcuni aspetti della governance (c’è chi scommette ad esempio su qualche cambiamento nel regolamento sul prestito titoli). Ma anche se la partita riserverà nuove sorprese, questo è certo, all’orizzonte non si vedono nubi particolarmente minacciose e quindi è difficile immaginare richieste dirompenti che vadano a toccare i vertici di Mediobanca. (riproduzione riservata)

Adesso nella Galassia c’è spazio per la pace
di Luca Gualtieri
Lo scontro che giovedì 12 maggio si è consumato nel board delle Generali è stato accolto con forte apprensione dalla comunità finanziaria italiana. Se nemmeno il verdetto inequivocabile dell’assemblea e la mediazione del neo presidente Andrea Sironi sono bastati a pacificare la governance, il rischio è che una guerriglia prolungata finisca per logorare una delle ultime multinazionali italiane rimaste. Se però fino a ieri l’appeasement era solo un’opzione per Leonardo Del Vecchio, Francesco Gaetano Caltagirone e Alberto Nagel, da oggi appare quasi come una strada obbligata. Il no della Bce alla scalata rappresenta una clamorosa battuta d’arresto per Delfin, tanto più che al verdetto si sarebbe arrivati senza nemmeno avviare la procedura sulle qualifying holdings. Se è difficile immaginare che Del Vecchio possa aggirare i diktat di Francoforte e rompere così la diga del 20%, sul tavolo restano soltanto due soluzioni: liquidare la cospicua partecipazione oppure cambiare passo nella dialettica con il top management. Sia chiara una cosa però: nella city milanese è sempre più diffusa la convinzione che anche Mediobanca debba cambiare passo. Molti ritengono che nel 2020 la scelta di non offrire a Del Vecchio una rappresentanza in cda sia stata un errore tattico e che un approccio più distensivo avrebbe ammorbidito la contrapposizione. Anche le modifiche statutarie varate da piazzetta Cuccia, sebbene apprezzate dal mercato, avrebbero potuto essere più coraggiose completando quel processo di normalizzazione che Nagel ha comunque avuto il merito di avviare. Da qui al 28 ottobre 2023 però c’è ancora tempo. Nei prossimi mesi azionisti e amministratori potrebbero intraprendere un percorso di convergenza soppesando opzioni diverse: da una graduale separazione della merchant dal Leone (magari attraverso una rivisitazione del deal su Banca Generali) all’introduzione di meccanismi di governance più plurali che, a Milano come a Trieste, sappiano contemperare le esigenze del management con quelle delle minoranze. «Non auspico una situazione di perdurante conflittualità, ma di normalità», ha osservato qualche giorno fa il presidente di Unipol Carlo Cimbri. Riflessione che nella finanza italiana molti sarebbero pronti a sottoscrivere. (riproduzione riservata)
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